Intervista di Luca Franceschini
Greg Gonzalez indossa una maglietta di “Songs of Love and Hate” di Leonard Cohen per cui ci salutiamo scambiando qualche impressione su questo artista, visto che gli dico che anch’io ne ho una uguale e lui mi dice di averla acquistata ad un suo concerto del 2009, come del resto ho fatto io. È un modo simpatico per rompere il ghiaccio, ma in realtà non ce n’è veramente bisogno. I quattro newyorchesi sono simpatici e alla mano; magari non proprio dei mostri di loquacità e non si può neppure dire che piaccia loro sfoggiare sorrisi a trentadue denti (ma quello forse dipende dalla musica che suonano); eppure, si dimostrano disponibilissimi a lasciarsi intervistare dal sottoscritto, seppure, normalmente, quando una band è in tour, parlare coi giornalisti risulti un’occupazione tra le più odiose (e come biasimarli, del resto?).
Mi chiedono di scegliere io un posto adatto, perché di lì a poco comincerà il soundcheck dei From Kid, che apriranno la serata, per cui la zona tra palco e backstage non risulterà più molto praticabile. Ma il parco Ciani, situato sul lungolago di Lugano, dove questa sera i Cigarettes After Sex si esibiranno (potete leggere il live report qui), offre una serie di spazi tranquilli e gradevoli. E così, comodamente seduti in cerchio sull’erba come gitanti qualunque, iniziamo questa chiacchierata sul passato e il presente di uno dei gruppi che più di tutti ha fatto parlare di sé in questo 2017. È ovviamente Greg Gonzalez (chitarra e voce) a prendere in mano la conversazione per la maggior parte del tempo, dato che la band l’ha fondata lui, scrive tutte le musiche e i testi , praticamente il tutto potrebbe anche essere considerato un suo progetto personale.
Eppure, anche Phillip Tubbs (tastiere), Randy Miller (basso) e Jacob Tomsky (batteria) ci hanno tenuto ad essere presenti. Seppure piuttosto timidi e a tratti fuori posto (soprattutto Randy e Jacob) hanno il piacere di dire la loro, arricchendo una conversazione sintetica, ma senza dubbio interessante. Qui di seguito, il resoconto completo. Se poi volete rispondere alla domanda che in molti si stanno facendo: “Ma questi Cigarettes After Sex meritano davvero tutte le attenzioni che stanno ricevendo?”, allora forse vi conviene ascoltarli…
Greg, per prima cosa mi devi togliere una curiosità: tutti dicono e scrivono che quello appena uscito è il vostro primo disco ma in realtà, spulciando in rete quando vi conobbi per la prima volta, mi trovai a scaricare un album intero che portava il vostro nome e che era indubbiamente suonato da voi (anche se alcuni amici sostenevano il contrario…); eppure, cercando notizie in merito, non ho trovato praticamente nulla, se non qualche menzione telegrafica in qualche oscuro sito. Che è successo? Perché ve ne siete dimenticati? Eppure è un bel disco e credo che un po’ lo pensi anche tu, visto che a Milano ne avete suonato un brano…
Greg – La verità è che la band è nata nel 2008, abbiamo messo insieme abbastanza presto un disco e lo abbiamo caricato su Bandcamp. Nel frattempo ho continuato a scrivere altro materiale, pensando che poi avrei caricato anche quello e così via: un album, un Ep, un album, un Ep. Alla lunga però mi sono stancato di quel disco e mi sono stancato delle cose che stavo scrivendo. Quindi ho tolto il disco da Bandcamp e mi sono rimesso a scrivere. Così, quando nel 2012 il gruppo è ripartito con un’altra formazione, ed abbiamo registrato “Nothing’s Gonna Hurt You Baby”, mi sono reso conto che quello era il lavoro giusto per ripartire; di quello precedente ce ne siamo dimenticati, anche perché a nessuno sembrava essere interessato davvero… poi però è successo che siamo diventati un po’ più noti, il nome ha iniziato a girare, così la gente ha scoperto anche quel primo disco. È stata effettivamente una cosa curiosa, ma mi ha fatto piacere. Anche perché, ormai ho fatto pace con quell’album, sono contento che sia stato riscoperto ed è per questo che oggi suoniamo “Please Don’t Cry: è una canzone molto grigia, penso che in qualche modo si leghi a quello che siamo adesso.
Ma perché ci è voluto così tanto per avere un disco intero, dopo quel primo Ep?
Jacob – Beh, io sono andato via da New York per un po’ di tempo… o è stato prima di “Affection”?
Phillip – No, è successo dopo. Il disco l’avevamo già fatto, poi sei partito…
Aspettate, possiamo ricapitolare un attimo i cambi di line up? Perché ho in mente che a parte Greg e Phillip, che ci siete da sempre, gli altri…
Greg – Praticamente la line up che vedi qui esiste dal 2014. Nel 2015 abbiamo registrato “Affection”, che in pratica ha rappresentato il nostro vero e proprio inizio come band.
Cosa è successo esattamente dopo “Nothing’s Gonna Hurt You Baby?” Perché secondo te il disco precedente non lo ha notato nessuno, mentre invece con quel brano siete esplosi? Voglio dire, è un bel pezzo, ma non è che quelli precedenti fossero da meno…
Phillip – Ricordo ancora bene quando Greg mi ha chiamato e mi ha detto: “Sta succedendo, stiamo diventando virali, c’è un pezzo che sta andando benissimo!”. E io gli ho chiesto: “Quale?”. Perché appunto, la penso come te, non mi pareva proprio che avessimo una canzone che fosse decisamente meglio delle altre, mi sembrava che tutte avessero bene o male lo stesso potenziale. È un mistero, appunto, e credo che in qualche modo sia legato a YouTube: ai tempi del primo disco questa piattaforma non era ancora così utilizzata per scoprire nuova musica come invece è successo in seguito. Potrebbe essere stato questo, chi lo sa…
Mi dite qualcosa del vostro processo creativo? So che sei tu, Greg, a scrivere tutte le canzoni, ma come poi collaborate tra voi per metterle insieme, per arrangiarle nella loro forma definitiva? In che misura anche voi tre date il vostro contributo?
Randy – È una cosa spontanea, per la maggior parte. Soprattutto per alcune canzoni che Greg ha portato in studio e che non avevamo mai sentito prima: le abbiamo provate due o tre volte, poi le abbiamo registrate, spesso senza impiegare più di una o due take. Una cosa molto naturale, appunto.
Jacob – Una cosa molto live, sì: parto con un beat, gli altri mi vengono dietro e la facciamo. Poi sai, adesso non siamo più inesperti come all’inizio, abbiamo il nostro stile, sappiamo lavorare ai pezzi, per cui ci applichiamo subito anche a cose che abbiamo appena sentito, riuscendo a tirare fuori un buon lavoro.
Greg – Ci piacciono molto il jazz e il blues, in quei generi conta molto l’improvvisazione, la spontaneità, i dischi li registrano senza star lì troppo a pensare. Ecco, era esattamente quello che volevo anch’io per questo lavoro.
Proprio per questo cerchiamo di non impiegare mai troppe take per ogni pezzo. “Affection” l’abbiamo fatta al primo tentativo, la stessa cosa per “Keep On Lovin You”, mi pare. Gli altri pezzi, non più di due o tre Take. “Nothing’s Gonna Hurt You Baby” in due… dipende da come va, se troviamo immediatamente la vibrazione giusta, allora teniamo quella. È come il jazz, ma anche come la musica che facevano negli anni ’50 o ’60, era quello il feeling…
Ma non mettete proprio nessun overdub? Nemmeno le voci?
Greg – Il primo Ep è stato interamente registrato dal vivo. Poi, da “Affection” in avanti, abbiamo cominciato a fare delle backingtrack a parte; poi io mi sono messo a registrare le voci e qualche chitarra acustica nel mio appartamento. Tutto il resto però continua ad essere fatto in presa diretta.
Quindi immagino che non sarete molto d’accordo con quelli che fanno tutto a casa loro e registrano mille tracce diverse davanti al computer, con un sacco di Cut and Paste. Oggi pare che sia il metodo di lavoro che va per la maggiore…
Phillip – Dipende. Alcuni sono in grado di tirare fuori ottime cose in quel modo. Può essere anche meglio, per certi tipi di musica. Noi registriamo così perché questo è il modo di lavorare che ci riesce meglio, che ci è più congeniale, ma poi ognuno fa quel che è meglio per lui.
Greg – Sì, appunto. Non mi sentirei mai di dire a qualche altro musicista che sta sbagliando a registrare in un altro modo.
Quando ho recensito il vostro concerto di Milano, ho scritto che la vostra musica potrebbe essere molto adatta ad una serie TV, specie il target per i teenager, tipo “13 Reasons Why” o “The OA”. Che ne pensi? Ci avete mai pensato?
Greg – Penso che sia perfetto. Io stesso sono cresciuto guardando film e serie TV, ho sempre trovato che molti di essi fossero accompagnati da ottima musica. E poi effettivamente ci è già successo: “Nothing’s Gonna Hurt You Baby” è stata usata in un episodio di “The Handmaid’s Tale”…
Davvero? Non la conosco…
Greg – Non è una produzione molto grossa, ma penso che la facciano su HBO Europe… È una bella serie e in particolare trovo che la nostra canzone si sia adattata molto bene al punto in cui è stata utilizzata.
Parli molto di amore, di relazioni, nei tuoi testi. Quanto è una scelta voluta e quanto, perdonami, c’entra anche un po’ l’adeguamento ai cliché del genere? E quanto c’è di autobiografico, nelle cose che scrivi?
Greg – Scrivo da un sacco di tempo e mi è capitato anche di trattare altri argomenti. Però è da un po’ che sono arrivato alla conclusione che la musica che facciamo si sposa meglio con testi che abbiano come tema il rapporto tra due persone. Per almeno l’80% parlo di cose che mi sono successe, di relazioni che ho avuto in passato. Sono storie che mi danno ancora una grande emozione , trovo che riesco a connettermi meglio con la musica, se parlo di cose di questo tipo. Poi a volte, come in “Apocalypse”, uso dei personaggi realmente esisti (in questo caso, una ragazza con cui sono uscito per un po’) ma li colloco all’interno di storie totalmente inventate…
E voialtri cosa dite? Come vi relazionate ai testi? Siete una di quelle band che dite al cantante: “Scrivi quello che vuoi, non ci interessa.)”? Oppure vi capita di leggerli, di commentarli e di dire la vostra?
Phillip – Non ci occupiamo dei testi, però è ovvio che li sentiamo e a noi piacciono come sono scritti. Poi sai, nel mio caso particolare, visto che suoniamo insieme da tanto tempo, riesco a cogliere molti riferimenti. Per esempio, in “Affection”, la ragazza di cui Greg parla la conosco benissimo anch’io, per cui ogni volta che lui canta mi vedo davanti la sua faccia, con gli occhiali da sole, come li portava spesso. Credo che quando si scrivono testi così personali, sia una cosa normale. Ma succede magari che tu senti queste canzoni tantissime volte e poi, improvvisamente, un verso ti si illumina nella testa e per te comincia a significare qualcosa…
Hai scritto un brano che si chiama “John Wayne”. Mi incuriosisce la cosa perché mi verrebbe da chiederti: ha ancora senso usare una figura come la sua in un paragone per indicare una vita spericolata? Nel 2017, col fatto che le icone giovanili sono ben altre? Non suona un po’ “vintage” come scelta…
Greg – In questo caso non parla di me, ma di una ragazza di cui Philip era innamorato. È vero, John Wayne è una di quelle figure iconiche come Marylin Monroe o James Dean, gente che è stata totalmente “Bigger Than Life”. Sinceramente non saprei come rispondere alla tua domanda perché non ho mai chiesto a nessuno dei ragazzi di oggi se conosca o meno John Wayne…
Il vostro artwork è molto scuro, ma sempre tanto suggestivo e riconoscibile. Un po’ quello che facevano gli Smiths, non trovi? Mi spieghi da dove nasce questa cosa? Pensi che userete sempre il nero anche in futuro o cambierete?
Greg – Sì assolutamente, sugli Smiths hai ragione: mi sono sempre piaciute molto le loro copertine, i soggetti che sceglievano, il modo in cui riuscivano a dare un’impronta unitaria al tutto, così che vedevi la copertina di un singolo e riconoscevi subito che era loro. Anch’io quindi ho da subito voluto fare una cosa così per la mia band, utilizzare delle immagini che avessero una loro reale consistenza.
Ma come le trovi? Le cerchi in rete o hai qualche autore che conosci da cui prendi?
Greg – Per il primo Ep e per “Affection” le ho prese da un libro di fotografia e quelle in qualche modo hanno dettato la linea da seguire. Successivamente, abbiamo trovato un fotografo online e adesso collaboriamo con lui nella scelta.
In futuro non so cosa farò, può darsi che finirò per usare un altro colore, ma per ora credo proprio che andrò ancora avanti col bianco e nero…
Nelle recensioni che mi capita di leggere in giro, vi trovò sempre associati al Dream Pop e allo Shoegaze. Cosa ne pensate di questi accostamenti? Perché, passi per il primo, ma l’ultimo secondo me non c’entra nulla…
Greg – Guarda, per me sono semplicemente canzoni d’amore come le potevi ascoltare nei ’50 o nei ’60. Cose molto romantiche, lente, mellow. Però è vero che nei ritornelli ci sono delle chiare reminiscenze dei Cocteau Twins, un gruppo che amo molto e che ovviamente ci ha influenzato. È roba Pop, comunque. E a mio parere lo Shoegaze non ha niente a che vedere col Pop, anche se posso dirti che amo molto i My Bloody Valentine e che “Loveless” è uno dei miei dischi preferiti. Forse in qualche modo, indirettamente, abbiamo preso qua e là il loro mood, ma mi pare che noi siamo diversi, più “positivi”, direi…
Phillip – Sono d’accordo con Greg. È Pop, in fondo. Voglio dire, mi piacciono molto sia lo Shoegaze che il Dream Pop, ma non direi che facciamo quella musica. Al massimo, abbiamo preso da lì qualche sfumatura, qualche colore, ma non di più.
Randy – Sono bellissime canzoni Pop, se te lo dovessi dire dalla prospettiva di uno che le ascolta e che le suona. Non ci vedo nessuno spazio morto, ma neanche nessun guardarsi le scarpe, direi (Ride NDA)!
Jacob – Bellissime musiche, bellissimi testi, canzoni molto solide. Se vuoi chiamarlo Pop, questo è Pop! Sono canzoni d’amore, alla fine è di questo che stiamo parlando.
Greg, tu hai senza dubbio un timbro di voce e un modo di cantare molto particolari. Quali sono i tuoi modelli principali?
Greg – La mia influenza più importante è sicuramente Francoise Hardy, una cantante francese degli anni ’60, davvero magnifica. In generale direi che nel mio approccio al canto sono stato influenzato molto di più dalle voci femminili che da quelle maschili. Julie Cruise, Enja, nomi così. Non lo so, ho sempre trovato le voci femminili migliori, meglio impostate, più affascinanti.
Ha ancora futuro, secondo voi, la musica legata alle chitarre, quella suonata dal vivo? Che ne pensi del futuro della musica? È vero che è ormai l’hip pop e il suono legato all’rnb a rappresentare l’avanguardia, come capita sempre di più di sentire in giro?
Phillip – Onestamente, penso che ci sia posto per tutti. Non mi sognerei mai di dire: “Questo si, questo no”. Penso che al momento la guitar Music goda ancora di ottima salute, ci sono in giro cose davvero fresche…
Greg – Anch’io penso che ci sia tanta ottima musica in giro, anche nel genere che facciamo noi. Ma queste cose hanno un andamento ciclico: oggi va di moda l’hip pop, in passato andava di moda la Disco Music, domani potrebbe cambiare tutto…
Randy – La musica dipende dal songwriting, non dalle mode. Se è scritta bene, non c’è ragione per cui non debba rimanere, che usi le chitarre o i sintetizzatori non ha importanza. Noi facciamo musica semplice, sicuramente, ma la musica che facciamo mi piace tantissimo e, sinceramente, non vorrei essere in nessun’altra band.
So che vivete tutti a New York…
Greg – Tecnicamente sì, ma in realtà siamo sempre in giro in tour per cui non è che ci stiamo poi molto, ultimamente…
Però tu, Greg, e Phillip, vi siete trasferiti lì da El Paso, in Texas. Sono curioso di sapere che com’è stato l’impatto con una realtà così diversa…
Phillip -Beh, El Paso non è per niente una tipica città del Texas! Si trova sul confine messicano, sono quasi tutti ispanici, è in mezzo al deserto ma c’è un bel feeling da piccola città, c’è un’atmosfera molto amichevole, è anche molto provinciale, tantissime persone non si sono mai mosse da lì in tutta la loro vita. Per cui, non poteva esserci niente di più radicale che trasferirsi da lì a New York!
Greg – New York è grandiosa, è il centro del mondo, El Paso è una bella città ma è molto isolata, un posto dove tutto è in Slow Motion, per così dire…
Phillip – Però è un ottimo posto per crescere una famiglia!
Ma vi siete trasferiti per la musica?
Greg – Sì, ci eravamo stancati di suonare sempre davanti a nessuno, non stavamo andando proprio da alcuna parte. Per cercare di combinare qualcosa di serio, dovevamo per forza spostarci a New York!
Randy – Vivo a New York da più di dieci anni, trovo che ci sia davvero molto di speciale in questa città e nella gente che ci vive. Davvero, al momento non desidero andare da nessun’altra parte!
Per concludere, se pensate che ci sia qualcosa che non vi ho chiesto, ma che vi piacerebbe dire comunque…
Greg – Niente di particolare, va benissimo così!
Phillip – Hai fatto un buon lavoro, complimenti!
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