Intervista di E. Joshin Galani
Go Go Diva è il titolo del nuovo album de La Rappresentante di Lista, il progetto di Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, pubblicato da Woodworm Label a fine 2018.
Terzo disco in studio, dopo (Per la) Via di Casa e Bu Bu Sad; la loro definizione globale di questo nuovo lavoro è queer.
Una direzione più pop ed elettronica rispetto agli album precedenti, strabordante di fisicità. La voce strepitosa di Veronica cavalca le canzoni adattando le modulazioni, vestendo i contenuti dei testi.
Con piacere li ho incontrati per entrare nel backstage di questo intenso e curatissimo lavoro.
Go Go Diva parte da un senso di corpo molto femminile, è l’elogio delle cellule in tutte le sue diversificazioni, un disco che urla la vita con la sua potenza. Morrissey scriveva “Does the body rule the mind or does the mind rule the body?” pare che voi abbiate dato una risposta: è il corpo che vince, ha un potere salvifico!
Sì, simbolicamente avevamo la necessità di rappresentare questa potenza fisica, che poi è lo strumento attraverso il quale conosciamo il mondo, facciamo esperienza e le nostre relazioni diventano vive, reali. Quando Veronica ha scritto questa canzone, abbiamo capito che era da lì che dovevamo partire, è rappresentativa per tutto il disco.
I corpi sono anche sulla copertina con posa teatrale, la scritta col rossetto Go Go Diva. Anche nella scelta della stoffa ho trovato teatralità, un lembo ma un lembo di scena. L’ho intesa come un invito a correre dentro il proprio femminile, in un esauribile desiderio di vita, stimolante e stimolata, affamata e straripante, come una dea pagana che corre nella vita, è così?
E’ una lettura molto attenta e giusta, non so quanto fosse l’intento iniziale, ci sono canzoni che capisci soltanto dopo, mentre le canti, le mastichi. Era una spinta che avevamo di manifestare, con tutti gli organi di questo corpo, attraverso noi stessi una sete e fame di vita, un desiderio insaziabile. Rispetto a quello che dicevi tu della dea pagana, nel video, uno dei riferimenti nella faccia tra le gambe di Veronica è la dea Baubo, dea dell’oscenità, una vagina che parla.
Il video di questo corpo ha anticipato il disco, ho trovato la bellezza della pulizia di un viso struccato, una femminilità ma non necessariamente la sensualità, pur essendoci una connotazione sessuale molto forte. Uno specchio di riferimento, tra le gambe, tu sei vestita, non hai abiti da pin up, ma in questa giacca più grossa di te c’è una comunicazione corporale molto forte
Sì, è stato molto difficile riuscire a rappresentare la forza ingombrante del corpo, non si sa come contenerla, non si sa quale abito sia il giusto modo per presentarsi. E’ stata una lunga ricerca con la regista Manuela Di Pisa. E’ stata attenta a cogliere tante sfumature nei nostri testi. E’ stato tutto naturale, non abbiamo voluto mettere troppi filtri, ad esempio il trucco che quasi non esisteva, l’abito che poteva contenere ma anche mostrare. C’è un canto che ha la necessità di essere liberatorio, di non avere fronzoli ed essere gridato, masticato. E’ stato un atto performativo, come un’improvvisazione teatrale.
Fiati ad accompagnare Ti Amo (nanana). Nonostante ci sia quel “Come mai non stiamo bene insieme?” che sembra essere superato dal numero di Ti Amo, ripetuto come un mantra nel testo…
L’amore in Go Go Diva è un amore complesso, che non si ferma alle parole, il ripeterlo in un ritornello diventa una cantilena, come dicevi tu un mantra.
Mi è sembrata la versione 2.0 di Patrizia di Finardi con quel Io ti amo per come mi ami tu…
Perché no? Noi ci ispiriamo molto dalla musica italiana, abbiamo cercato di scrivere canzoni italiane, crediamo molto nella bellezza e nell’eleganza della nostra lingua.
In un post di Facebook avete accennato che i vostri intendimenti scritti su “pizzini” sarebbero serviti per preparare Go Go Diva e che l’avreste fatto con delle sinergie…
La storia dei pizzini è divertente, abbiamo sempre appuntato quello che ci veniva addosso o incontro e che ci attraversava in quel periodo. Post-it, foglietti, memo registrati, pensieri, desideri, appunti, suggestioni, critiche e colpi di fulmine. Abbiamo raccolto tutto questo in un file di word; i testi si sono andati componendo come un puzzle, questa è stata la prima grande connessione. Le canzoni hanno preso forza, le melodie erano perfette per quei testi. Successivamente ci siamo messi alla ricerca dei suoni giusti per ogni canzone, trovando un microclima adatto per ciascuna, la ricerca è stata minuziosa, per accogliere o creare scompiglio nel personaggio al centro nel testo.
Abbiamo incontrato Roberto Cammarata, collaboratore storico, a Palermo. Per rendere definitivi questi piccoli mondi ci siamo rivolti a Fabio Gargiulo, produttore milanese, completando i brani. Hanno trovato il modo di essere indipendenti. Le sinergie ci sono arrivate come ventate di aria fresca, tutto è fluito nella stessa direzione, siamo sbalorditi di come tutto si sia incastrato in maniera naturale.
Guarda come sono diventata sembra un possibile proseguimento di Giovane femmina. Hanno avuto una genesi comune o sono due episodi a sé stanti?
Molte strofe di Guarda come sono diventata spuntavano qua e là scorrendo tra le frasi, nella forma di una sorta di lista delle necessità, altri desideri invece andavano letti tra le righe.
Ho amato sin da subito un arpeggio che Dario mi aveva fatto sentire. Mentre lo riascoltavo, chiedendogli di suonarlo a ripetizione, Giovane femmina si è presentata già scritta, quasi come se quel giro di chitarra fosse la colonna sonora della sua vita.
The bomba ha dei richiami nella struttura al punk italiano anni 80, pare attraversare i primi Üstmamò piuttosto che i Prozac+. C’è un racconto da telegiornale, bombe muri e quando sembra arrivare il seme della vita a portare speranza, viene distrutta anche quella. “Ti porto lontano prima che sia troppo lontano” chiude il brano, via da dove? dai telegiornali, dai posti violenti…
Andare lontano è per noi andarci anche solo con la fantasia, è potersi creare un mondo a misura, trovare un lontano, una distanza concreta da ciò che non ci appartiene o che non ci rappresenta.
Non si tratta di una fuga, ma di un processo creativo per arrivare a un futuro migliore, lontano dalle convenzioni e dallo stereotipo di se stessi.
Panico, un altro racconto da un telegiornale, molto toccante è musicalmente accompagnata dagli archi, a narrare della tragedia di piazza San Carlo a Torino, nel giugno dell’anno scorso. Ci sono riferimenti a quanto accaduto, tutti ricordiamo ancora la miriade di scarpe allineate. Quando la realtà è così devastante, sembra prendere forma una visione onirica, o di fiaba, la veste della canzone è come se trovasse il modo di raccontare cose bruttissime ai bambini…
Scrivere una canzone significa anche concepire un testo come un insieme di pensieri semplici.
L’unico modo per non soccombere davanti allo scempio che l’uomo fa di se stesso è permettere alla poesia di trasformare il reale.
In Gloria, come in altri brani, c’è un grande uso di elettronica; ho letto che avete iniziato a scrivere in Marocco, c’è stata un’influenza territoriale sul lavoro globale?
Ogni tappa che ci ha portato alla costruzione di questo disco è stata fondamentale.
Il viaggio in Marocco ci ha permesso di chiarirci le idee, ci ha offerto un ritmo diverso da seguire e ha lasciato grande spazio alla fantasia.
Una volta tornati a Palermo, questo tempo ci è stato utile per dare forma al magma di immagini e suoni che avevamo raccolto.
Milano è stata poi la fase di perfezionamento, ma anche di messa in discussione delle scelte fatte.
Ogni luogo ha avuto un ascendente su di noi e sul disco, dall’aria che respiravamo, agli odori, alle persone con cui entravamo in contatto.
L’incontro con professionisti straordinari ha portato nuova energia alle canzoni. Per esempio alcune canzoni sono arrivate fino a Copenhagen per permettere a Davide Rossi di lavorare sull’arrangiamento degli archi.
Go Go Diva apre con il corpo i suoi impulsi, il riconoscerlo e viverselo, e chiude con Woow, un po’ la definizione delle scelte del corpo…
Sì, è come se la voce narrante di Woow fosse la stessa che ha attraversato tutte le storie del disco, partendo appunto da una canzone in qualche modo esteriore, esplosiva che è Questo Corpo. Arriva all’ultima traccia conscia del percorso vissuto e, con quell’esperienza, è capace di poter guardare l’altro negli occhi e dedicargli parole di comprensione e ascolto.
E’ in partenza il vostro tour. Com’è andata la data zero a Berlino del Woodworm Festival?
Il tour inizierà il 1 febbraio da Torino.
L’anteprima berlinese è stato un momento fondamentale di scambio e confronto. Era la prima volta che presentavamo alcune delle canzoni di Go Go diva e ci ritrovavamo in sei sul palcoscenico, infatti è stato come conoscerci di nuovo e vedere le canzoni prendere vita. Avevamo una grande carica addosso e siamo stati invasi da questa sensazione.
Nelle date dell’anno scorso avete proposto la cover di E La Luna Bussò in una versione privata del reggae, che parte molto intima e poi graffiante. Ci sarà spazio per delle cover in questo tour?
Non lo escluderei!
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