I N T E R V I S T A


Articolo di Joshin E. Galani

Franz è per me l’uscita più interessante di questo periodo. Ha pubblicato un disco punk nel senso ampio del termine, non nell’impatto sonoro ma nell’attitudine. In un momento in cui aspetto e qualità musicale sono ridotti ai minimi termini, esce questo album che, come il punk, contiene una forte provocazione: il ritorno all’intensità della musica classica, un’orchestra di nove elementi distillata nell’indie, nel pop, nel rock, coniugando linguaggi musicali possenti e raffinati. Ecco di seguito la chiaccherata che abbiamo fatto, stando a casa!

Un racconto di D. F. Wallace narra di due giovani pesci che incontrano un pesce più anziano. Questo si rivolge ai due pesci: “Buongiorno ragazzi, com’è l’acqua oggi?” I giovani pesci continuano a nuotare, dopodichè uno chiede all’altro: “acqua? Che cos’è l’acqua?” Ho pensato a questa storia ascoltanto il tuo disco. È difficile chiedere qualcosa sulla tua attitudine classica perchè è il tuo elemento naturale! Ascoltandolo ho ricevuto uno scossone, finalmente si fa musica! È un po’ nuotare controccorrente scegliere questa direzione musicale?
Caspita grazie! Diciamo che non avevo in mente di fare necessariamente qualcosa di controcorrente. Questo disco nasce spontaneamente dal mio percorso musicale e di vita. Come batterista ho suonato e ascoltato tutti i generi musicali, e da ragazzino prevalentemente punk rock. Poi in Conservatorio mi sono confrontato con la musica classica, e il mio ego, confrontandosi con i fenomeni veri, si è preso un po’ di sane legnate. Mettici dentro il mio amore per Paolo Conte, Battiato e la “trinità” dei cantautori anni ’90 Gazzè, Silvestri e Fabi. Credo che l’originalità del progetto nasca proprio da questo precorso un po’ particolare che ho fatto.

‘Settembre’ è il primo singolo uscito, ha un incedere trainante, spettacolare, a cui non ci si riesce a sottrarre. Hai curato tutte le parti dell’arrangiamento orchestrale, ci racconti dei nove elementi dell’ensemble classico che hanno collaborato a questo progetto?
Certo, anche perchè sono una parte importantissima di questo progetto. Oltre a me che suono il piano e canto ci sono due violini, un contrabbasso, corno, clarinetto, tromba, chitarra classica e percussioni. La vera storia è questa: quando ho scritto il primo pezzo del disco, che è stato proprio Dietro a ogni cosa, ormai due anni fa, non mi ero posto il problema di doverlo poi realmente suonare dal vivo. Poi il pezzo venne scelto alle selezioni di Musicultura e dovetti trovare nel giro di un mese tutti i musicisti per poterlo eseguire. Sono stato molto fortunato a trovare subito un gruppo fantastico tra amici, colleghi e amici di amici. E da allora ho scritto tutti i pezzi per loro.

In generale tutti i brani sono molto “visivi”, non soprende, considerando che hai fondato il Greenman Studio dove componi musica per immagini, sound design e pubblicità. In queste due prospettive del tuo lavoro ti muovi come un gioco di equilibrio tra vista e udito, o ci sono aspetti preponderanti a cui lasci prendere il sopravvento?
Diciamo che è un gioco di contaminazioni: in Settembre, ad esempio è nato dapprima il tema iniziale del pianoforte, poi ho pensato che fosse perfetto per rappresentare l’ipotetica avanzata dei barbari del Deserto dei Tartari e l’ho quindi reso “brutale” con tutta l’orchestra e i glissati dei violini. Quindi ho pensato al tema del soldato al fronte, e ho scritto la parte di pianoforte delle strofe, che sembra una marcetta solitaria; ho immaginato questa corrispondenza epistolare tra lui e la sua amata, lasciata a casa: me lo vedevo sui bastioni, a scrivere, come rapito dalla brezza di settembre e distolto per un attimo dal suo lavoro alienante. Infine ho pensato che quel vento da sud-est dovesse essere affidato al corno e poi al clarinetto e così via…

L’America a dispetto del titolo inizia con un ritmo mediterraneo; c’è la tromba struggente di Stefano Iascone dei Cacao Mental, nello svolgersi della narrazione c’è la difficoltà del vivere, ed il superare i confini è trovare negli occhi di chi ci sta nel cuore la propria America. A parte l’amore, quali altre sono le tue americhe?
Beh, credo che la vita sia piena di piccole e grandi “americhe“. Do molta importanza sia alle cose grandi come la famiglia, i figli, il lavoro, la musica sia quelle “piccole”: il cappuccino con la brioche della mia pasticceria preferita, il caffè a metà mattina, le camminate nei campi della Brianza o lungo l’Adda e così via.

L’America è anche il secondo videoclip, che hai ideato, montato e prodotto. Ce ne parli?
L’America è una canzone d’amore, e da subito l’ho immaginata come una danza. Nel testo la danza è proprio una metafora della relazione tra le due persone e musicalmente il pezzo è un ballo vicino a un Tango, a una Milonga. In sostanza ne L’America, la danza diventa metafora della storia d’amore che diventa canzone, che diventa video che diventa danza a sua volta. Insomma la quadratura del cerchio 🙂

Il lungo addio per l’argomento che tratta è intrisa del nostro vivere attuale, il perdere la vita in primo piano. Qui si immagina la morte, ma lasci sempre uno spiraglio di positività, l’apprezzare la vita comunque, in tutte le sue difficoltà. C’è sempre aspetto salvifico nei tuo testi, è forse questo che sta “dietro ogni cosa”?
Guarda se potessi ti abbraccerei! Non avrei saputo dirlo meglio. Tempo fa discutevo con Fabrizio, il mio produttore, sul fil-rouge del disco. Per me il concetto è accettare la nostra vulnerabilità, così da poter godere davvero di questa vita che, per quanto dura, rimane piena di bellezza. Mi piace molto questa connotazione “salvifica” che aggiungi tu: la trovo molto calzante.

Ne La canzone popolare citi Orlando di Lasso, anche lui aveva un po’ il male di vivere… Nel sogno che narri nel testo, il compositore ti da indicazioni chiare, ma credo che tu ti sia dato un obiettivo che va oltre, cioè essere popolare ma con la musica classica. Con il tuo gruppo precedente, 7Marzo, facevi cose diverse, come sei arrivato a maturare questo nuovo progetto?
L’aver iniziato questo progetto è stato molto salutare, per me, e anche per i 7marzo, perchè altrimenti avrei tentato di inserire lì tutto quello che scrivevo, e il progetto sarebbe diventato un “caciucco”. Invece così i 7marzo rimangono con una identità ben precisa, e per me sono necessari tanto quanto FRANZ. Anzi, non vedo l’ora di ricominciare a fare anche del sano rock’n roll 🙂

Credo che tu sia l’unico che sulle note di una musica da funzione religiosa, in Dietro ogni cosa citi il punk, il fumo ed i centri sociali! C’è spazio nelle orecchie di un diplomato in composizione al conservatorio per la musica punk?
Assolutamente sì. Ho sempre pensato che tanti pezzi punk (non tutti, come per tutti i generi c’è anche tanta musica bruttissima) fossero denigrati in ambito pop, ma in realtà fossero canzoni molto belle e “ricche” semplicemente con un arrangiamento essenzialissimo. Viceversa ci sono una miriade di pezzi pop insignificanti tirati a lucido da produzioni faraoniche ma che rimangono sempre bruttarelli.

In Fred Astaire citi i Beatles, i Doors, i Pink Floyd, i Genesis. Quali sono i tuoi ascolti di musica contemporanea, fuori dalla formazione classica?
Di italiani mi piace molto Brunori SAS, soprattutto come autore, oltre ai già citati Silvestri Gazzè e Fabi. Le cose più belle che ho sentito in generale negli ultimi anni sono gli Alt-j e Woodkid.

Cosa uniscono i due interludi nell’album?
Mi piaceva l’idea di dividere il disco tramite due pezzetti strumentali che vengono alla fine delle due canzoni forse più intense ed esistenziali del disco e introducono i due pezzi più leggeri. Hanno insomma un po’ una funzione sia narrativa sia dinamica.