R E C E N S I O N E


Articolo di Antonio Sebastianelli

Tutto ciò che ho avuto nella vita è stato un vaso di Pandora pieno di dolore e miseria. Sono entrato in studio e mi sono ricordato la merda che ho messo via 20 anni fa.” (Mark Lanegan)

Ho ascoltato per anni Mark Lanegan senza mai scrivere nulla su di lui. Lo sentivo vicino, la sua musica riusciva sempre a emozionarmi (e lo fa ancora), ma qualcosa mi teneva a distanza e mi intimoriva. Nell’atto di mettere nero su bianco le mie impressioni qualcosa si inceppava. Come se la “Voce di Ellensburg” fosse una montagna troppo alta da scalare. L’intensità delle sue canzoni infatti, pur non raggiungendo mai il punto di rottura si tiene ben lontana da qualsiasi tipo di catarsi. Come a voler dire: “questo è quanto”. “Questo è quello che la vita mi ha regalato: un vaso pieno di dolore e miseria.” Il suo sguardo si fa più lucido e penetrante proprio quando la pena è così forte che vorresti guardare altrove. La voce, quella voce, pare giungere proprio dal pozzo di cui canta in un suo pezzo, Hotel.

Segnato da un’infanzia che è riduttivo definire instabile e infelice, il nostro a dodici anni già traffica con gioco d’azzardo, alcool e piccoli furti a cui si aggiungerà più tardi il consumo compulsivo di droghe. A ventuno forma insieme ai fratelli Conner gli Screaming Trees, band seminale del Seattle Sound che raccoglie ben poco in termini di vendite. Raggiunge la piena maturità artistica in solitaria con due capolavori che rispondono al nome di Whiskey For the Holy Ghost e Field Songs. Ad un anno appena dal disco precedente torna a farci visita doppiamente, con un nuovo album e in veste inedita di narratore, con l’autobiografia Sing Backwards and Weep. Le tracce del nuovo lavoro potrebbero quasi fare da colonna sonora al libro e sembrano ripercorrerne l’intera carriera. Un centro pieno. Una sorta di ponte che congiunge l’elettronica degli ultimi lavori con il suono scarno, acustico e profondamente americano dei primi album.
L’inizio di I Wouldn’t Want To Say è in linea con il passato prossimo, tra beat furiosi e musique concrèteApples From a Tree, voce di granito scolpita nel silenzio e accarezzata da una sei corde arpeggiata, riporta invece molto più indietro, alle prime prove acustiche degli anni 90. Il viaggio, la ricerca di una stabilità emotiva continua con la splendida Bleed All Over puro spleen laneghiano su ipnotici ritmi 80’s. This Game of Love bazzica territori simili ed è scritta e cantata con la moglie Shelley Brien. Poco più in là ci si imbatte nella piccola oasi di mestizia e grazia quasi nickdrakeiana di Stockholm City BluesSkeleton Key, una sorta di personale via crucis lunga sette minuti, apre la strada al sublime Gothic Western di Daylight In The Nocturnal House e al blues ammodernato di Ballad Of a Dying Rover. Prima dei titoli di coda c’è anche il tempo per una cavalcata nel cuore della notte con il fido pard Greg Dulli in At Zero Below, non a caso la più Gutter Twins del lotto.
Eden Lost and Found arriva a placare e pacificare l’animo. Il predicatore annuncia che la luce del giorno lo sta chiamando, la rivelazione pare vicina mentre l’organo iniziale viene affiancato dal suono di violini ultraterreni. Mark invoca la libertà per ognuno, la luce diviene sempre più intensa. I colori, le forme, i suoni sfumano e si fondono assieme. Poi più nulla. Soltanto silenzio.

Tracklist:
01. I Wouldn’t Want To Say
02. Apples From A Tree
03. This Game Of Love
04. Ketamine
05. Bleed All Over
06. Churchbells, Ghosts
07. Internal Hourglass Discussion
08. Stockholm City Blues
09. Skeleton Key
10. Daylight In The Nocturnal House
11. Ballad Of A Dying Rover
12. Hanging On (For DRC)
13. Burying Ground
14. At Zero Below
15. Eden Lost And Found