I N T E R V I S T A
Articolo di Joshin E. Galani
Questa è un’intervista che desideravo fare da anni e che le circostanze in alcuni periodi non l’hanno resa possibile. Durante il lock down, dopo i primi live casalinghi di Dente via instagram, guardando l’espressione dei suoi occhi ho pensato potesse essere il giusto momento per chiedere tutto quello che era visibile ed invisibile in quegli sguardi. Sguardi simili ad ognuno di noi, un colore amaro, in quelle giornate che hanno segnato momenti di vita ben precisi per tutti. In questo periodo doloroso e surreale, molti musicisti hanno rinviato le loro uscite discografiche, altri sono comunque usciti, altri si sono trovati a cavallo tra la normalità e il lock down. Il 28 febbraio 2020 è stato pubblicato Dente album omonimo del cantautore, il settimo, che celebra anche il compleanno di Giuseppe Peveri. Un lavoro molto raffinato, che si discosta dalle produzioni precedenti. Ecco la nostra chiaccherata, buona lettura.
Il tuo ultimo disco ‘Dente’ è uscito il giorno del tuo compleanno. Il senso del tempo per te è sempre stato motivo di riflessioni sul suo scorrere, sull’età, e l’arrivare ai 40 anni. Il tuo scoglio anagrafico è superato e globalmente stiamo vivendo un periodo in cui tutti abbiamo una relazione diversa col tempo. Come sono cambiate le tue considerazioni a riguardo, da un punto di vista personale e di visione globale?
Non è cambiato un gran che, ho sempre avuto un cattivo rapporto col tempo, mi sembra di avere un tempo interno diverso rispetto a quello atomico, ultimamente le giornate mi sembrano corte, al contrario di molta gente che in questo periodo di lockdown ha percepito il contrario. Comunque cerco di convivere con il tempo che passa e i segni che lascia su di me e le cose che mi stanno intorno, le cose che cancella, modifica e deforma. A volte ne scrivo per esorcizzare ma non serve a niente perché lui continua a camminare inesorabile.
Parlando sempre di tempo, ne troviamo riferimenti in Cento Anni e Non cambio mai. Nella prima ci sono le domande, nella seconda ti racconti al passato e presente con molta delicatezza. Qual è la difficoltà nel mettere in atto un cambiamento?
La difficoltà principale è che non lo puoi decidere, devi essere predisposto ovviamente ma spesso è un meccanismo inconscio. I cambiamenti presi a tavolino sono spesso fasulli e opportunistici, quelli veri sono naturali e lenti, sono dettati anche dalle persone che ti stanno intorno che ti fanno prendere delle strade a dispetto di altre e in questo modo ti fanno cambiare. Credo sia merito di tanti fattori che si concatenano, di certo rimanere incastrati in ciò che si è, è molto più facile. Io sono favorevole al cambiamento, lo trovo una forma di apertura e intelligenza perché è necessario mettersi in discussione e non è una cosa per tutti.
Un cambiamento sostanziale c’è, in questo nuovo lavoro. Una nuova attitudine compositiva, ti si riconosce sempre nella tua veste di raconteur ma distante da quella vena singolare che ti ha caratterizzato negli anni, dei giochi di parole. Abbandonare parte della propria “identità” è sempre una scelta che richiede coraggio ma immagino mossa da un bisogno profondo. Sentivi di essere troppo connotato in quella modalità espressiva?
Ad esempio questo è stato un cambiamento assolutamente naturale, non mi sono neanche accorto che non stavo più usando giochi di parole. Evidentemente mi hanno un po’ stancato, nelle canzoni pop e nel rap sopratutto oggi se ne abusa e finisce che il troppo stroppia, come si dice. Probabilmente mi ha un po’ stancato non solo perché ne sento tanti ma perché spesso sono privi di un significato, sono giochi fini a se stessi, boutade. Io li ho sempre usati in funzione di ribaltare un significato o dire due cose in una frase ecc…
Un altro grande cambiamento è legato alla musica: elettronica, una virata molto forte. Matteo Cantaluppi ha prodotto questo disco, in passato l’aveva fatto con Tommaso Paradiso, The Giornalisti, Ex Otago. Pare essersi portato con sé lo stile, quelle sonorità e poi averle “Dentizzate”. Com’è stato per te, emotivamente, essere immerso in quel procedere musicale?
In realtà di elettronica non ce n’è tanta, anzi direi proprio poca o comunque non di più di quella che ho sempre usato. Di certo il suono generale è più contemporaneo rispetto a prima dove andavo volutamente a cercare sonorità vintage. Il processo di produzione di sicuro è stato molto diverso e sicuramente aiutato dall’elettronica, dal computer. Ho lavorato al disco in prima battuta con Federico Laini che ha prodotto le canzoni come si fa oggi, quindi davanti a un computer. Abbiamo vestito e arrangiato le canzoni ma poi è stato tutto registrato da Cantaluppi e Ivan Rossi dal vero. Quindi direi che è un disco registrato in modo tradizionale ma creato elettronicamente. Ecco.
È trascorso un lungo periodo di gestazione per questa nuova pubblicazione. È uscito Canzoni per metà, ti abbiamo visto nel tour con Guido Catalano e festeggiare i 10 anni di Anice in Bocca. Nei live sei stato molto ironico rispetto ai brani come lo percepisci ora il tuo debutto discografico?
Un follia che oggi non sarebbe possibile pubblicare. Nel senso che nessuno pubblicherebbe un disco fatto così male 🙂 Quel disco fu registrato in casa con un solo microfono da 20€ collegato direttamente a un computer e un programma gratuito di registratore a 4 tracce, era il 2005 quindi puoi immaginare la qualità. Era tutto poco professionale. Le canzoni erano strampalate, corte, senza struttura e sussurrate, c’era una chitarra (anche lei mezza scassata) e poco altro. Ma c’era un sacco di voglia di fare le cose in qualsiasi modo. L’ho registrato principalmente durante le pause pranzo del lavoro, tornavo a casa, mangiavo velocemente e registravo per mezz’ora tuti i giorni. Era necessario farlo, in quel periodo non avevo altro scopo. Ecco come lo vedo il mio debutto: indispensabile.
In Trasparente canti “Nessuno sa come mi chiamo, nessuno se lo chiede, sono solo un uomo che cammina“. Da sempre hai un rapporto molto divertente con il pubblico, nei live, di grande interazione. Fuori dal palco come sei con chi ti ferma per strada?
Mi fa piacere quando capita che qualcuno mi fermi per farmi i complimenti, non essendo una faccia così popolare o televisiva posso continuare a godermi quei piccoli momenti di soddisfazione e andare in giro per strada o a fare la spesa senza problemi, senza dovermi nascondere. Non so se reggerei una popolarità di quel tipo, di quella che non puoi più vivere in mezzo alla gente, a me piace perdermi in mezzo alle persone, specie nelle grandi città.
Anche se non voglio è il primo video uscito di quest’ultimo lavoro. C’è un fermo immagine che si muove a metà del brano. Ci sei tu in primo piano, in uno dei tuoi gesti classici: la mano tra i capelli. Credo che questo sia proprio il brano manifesto di tutto l’album, il tuo essere quello che sei, il colmare quella distanza tra essere percepiti e semplicemente, essere. E’ così?
Beh si, quella canzone è un po’ il biglietto da visita del disco e di tutto quello che porta con sé, quindi i vari cambiamenti estetici e non che ci sono dentro. È una sorta di presa di coscienza di noi stessi, una sorta di accettazione di quello che si è indipendentemente da come ci vedono gli altri. Siamo anche come ci vedono gli altri ovviamente, siamo più di uno, siamo tanti quanti sono gli occhi che ci guardano perché significhiamo qualcosa. Anche un oggetto inanimato se ci pensi può essere diverso in base a chi lo guarda, tutto dipende da cosa significa per noi quell’oggetto.
L’ago della bussola è una canzone molto delicata “L’unico difetto che hai sono io” Una frase che rimescola un po’ le carte rispetto ad Anche se non voglio, cosa ti rimproveri?
Niente, in realtà è un mio classico e goffo tentativo di fare un complimento. Se l’unico difetto della donna che ami sei tu, significa due cose: la prima è che lei di difetti non ne ha e la seconda è che tu sei suo. Mi sembrava una buona dichiarazione.
Parliamo del video di Adieu. Dopo una carrellata di persone trasportate in taxi, tu appari all’ultimo, ultimo anche nella richiesta tanto da rimanere a piedi. Quanto ti piace o pesa dedicare tempo ad un videoclip?
Desidero sempre non apparire nei video ma poi inevitabilmente mi convincono a partecipare. Oggi credo sia un’arte in grande mutamento, il videoclip classico promozionale dove il cantante fa un playback con la chitarra elettrica scollegata sul tetto di un grattacielo non ha più senso, possiamo permetterci di sperimentare di più sicuramente oggi anche per via dei molti canali di distribuzione video che ci sono, non c’è più solo la TV come un tempo.
Ad aprile, per 24 ore, la Cineteca di Milano ha reso disponibile la visione di UPm. E’ un esperimento di diversi anni fa a cura di Enrico Gabrielli a cui hai partecipato con altri settantuno artisti. Si trattava di produrre musica con una disciplina da catena di montaggio. Che esperienza è stata?
Assurda, un esperimento sociale pazzesco. Mi ricordo che nei giorni successivi continuavo a pensarci, è stata un’esperienza molto forte, piena di risvolti e di considerazioni da poter fare. La sensazione che ho avuto durante la giornata è stata proprio di esperimento, mi sentivo una cavia e intorno a me vedevo cavie e sapevo che qualcuno ci stava osservando e studiando. Fantascienza.
In questo periodo di lockdown ci hai tenuto compagnia via instagram, con musica, hai parlato di libri, regalato i tuoi spartiti con regalino da scartare. Grazie! Si sta parlando molto di come potrebbe essere un ritorno ai live, ti sei fatto un’idea di come potrebbe essere possibile?
Il ritorno al live potrà essere fatto solo quando si potrà tornare a vivere come prima, senza preoccuparci di chi abbiamo appiccicato a fianco. Nel frattempo ci saranno palliativi per mantenerci vivi ma niente che possa avvicinarsi all’esperienza di un concerto come lo conosciamo. Se si dovessero fare concerti a numero limitato, con le distanze e le mascherine temo che non sarà una bella esperienza, come andare a fare la spesa o uscire di casa in questi giorni, non una bella esperienza.
Nel momento in cui ci sarà la ripresa dei concerti, i tuoi prossimi live, musicalmente li presenterai in questa nuova veste? Chi ti accompagnerà?
Avevo già fatto le prove del tour ed ero pronto a partire, avevo anche fatto due anteprime live a Milano e Roma a dicembre e avrei portato in giro il disco nuovo con i musicisti che hanno partecipato alle registrazioni più un elemento, una band di 4 persone più me. Anche gli arrangiamenti dei vecchi brani erano pronti ed eravamo tutti carichi. Erano ovviamente coinvolti i tecnici del suono e delle luci, tour manager, merchandiser ecc e oggi il mio pensiero va a molti di loro, non solo a quelli che lavoravano con me ma a tutti, e sono tanti, i lavoratori dello spettacolo che si trovano in una situazione drammatica.
Nelle tue dirette live ho percepito certamente la voglia di mantenere il contatto col pubblico ma anche tanta amarezza, avvilimento per questo cataclisma, denso di dolore e troppe perdite. Riesci ad immaginare, quando arriverà il momento, con che animo salirai sul palco?
Beh quando arriverà il momento di ripartire come si deve, dovrete scansarvi tutti per far spazio al mio animo.
Rispondi