I N T E R V I S T A


Articolo di Luci 

Trasformare un momento, quello in cui le nostre vite si son dovute fermare di schianto, in qualcosa che potesse valere la pena ricordare. È nata così una storia pubblicata a puntate sul web da Lory Muratti durante l’isolamento della scorsa primavera. Nella serie di video realizzati le parole scorrono sullo schermo accompagnate da una colonna sonora originale. Presupposto ideale per dare origine a delle canzoni, otto per l’esattezza, che durante l’estate sono diventate il concept-album Lettere da altrove, uscito a fine ottobre.
Questa avventura musicale, letteraria e visiva ha per protagonisti due amanti, che, a causa di una misteriosa epidemia, si ritrovano inaspettatamente imprigionati in un vecchio ricovero barche affacciato su un lago dove l’orizzonte non si spinge oltre la collina sull’altra sponda. La dimensione profondamente intima del progetto ci ha molto incuriositi per cui abbiamo contattato l’autore ponendogli alcune domande in proposito…

Lo spazio in cui si muovono i due protagonisti è anche quello in cui vivi e lavori. Allo stesso tempo è evidente il tratto decisamente cinematico del disco. Autobiografia e finzione quindi si sono mescolate e se sì fino a che punto?
Il confine che separa il piano biografico e la finzione letteraria nelle mie produzioni è sempre molto sottile. Spesso i miei romanzi sono stati inscritti nell’emisfero dell’autofiction, ovvero fra quei lavori che, mescolando personaggi, luoghi e fatti reali con elementi di pura finzione letteraria trovano un loro peculiare equilibrio partendo dalla vita dell’autore. Lettere da Altrove, proprio per la sua natura fortemente narrativa, pur essendo un disco si muove sullo stesso tipo di coordinate.
Il vecchio ricovero barche (brano con cui si apre l’album) ci proietta da subito nel vivo di queste dinamiche dato che è quello il luogo deputato allo svolgersi di tutta la narrazione ed è altresì lo spazio in cui, come accennavi, vivo e lavoro e dove di conseguenza ho fatto muovere i miei personaggi. È lì che mi sono trovato isolato la scorsa primavera ed è lì che ho accolto presenze, memorie, fantasmi e visioni mettendoli in dialogo con i miei giorni deserti per provare a dar loro un nuovo significato.

Il racconto, come sei solito fare è diventato canzone, ma in questo caso invece di evolvere successivamente in un romanzo si è trasformato in un concept. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Penso di aver fatto un giro diverso attorno alle stesse dinamiche espressive. Sul fronte compositivo parte letteraria e musicale viaggiano per me da sempre in parallelo ed è mia consuetudine costruire testo e atmosfere di ogni mia canzone ispirandomi a un racconto o, come accade da diversi anni, alle pagine di un mio romanzo con il quale le canzoni, condividono luoghi, atmosfere e personaggi.
Lettere da Altrove ha seguito un iter leggermente diverso, forse ancora più libero poiché non pre-ordinato da un punto di vista produttivo. La veste in cui sono apparse in origine queste composizioni musicali era infatti quella della colonna sonora abbinata a pillole video all’interno delle quali scorreva il testo di un racconto che, in dieci puntate, è apparso sul web in aprile. Da lì il passo al concept album è stato breve poiché traduzione naturale di quell’esperienza in equilibrio tra musica, parole e visioni che, in questo caso specifico, sentivo di dover “sintetizzare” in una chiave di lettura immediata e “di pancia”. Una forma che la musica può dare più del romanzo. Un romanzo che comunque non escludo possa completare, prima o poi, questo viaggio da Altrove.

Il tuo è uno spoken album. Emerge l’uso particolare, teatrale e profondamente suggestivo della voce che mi sembra riveli l’urgenza di essere ascoltato, non solo sentito. Hai quindi trovato nella condivisione il senso di quanto provato in un tempo vissuto in solitudine forzata?
Lettere da Altrove è ai miei occhi un piccolo film in musica dove convivono la storia, la relativa colonna sonora e il suo narratore. Musica che chiede di essere ascoltata e attraverso la quale propongo infatti un’esperienza di ascolto che, se fino a un po’ di anni fa era data per scontata, si va ora sempre più perdendo. Con questo lavoro faccio quindi la mia parte per rallentare il tempo e creare “corrispondenze” nella speranza che imbattersi in questo lavoro possa essere per chi ascolterà di conforto quanto lo è stato per me scriverlo e realizzarlo.

Come sei arrivato alla scelta delle musiche da abbinare ad un racconto così introspettivo in cui la melodia è perciò fondamentale per amplificare il significato delle parole? Ti sei avvalso anche di collaborazioni esterne?
Le musiche sono nate in modo del tutto spontaneo nelle lunghe session a cui mi sono dedicato, in totale solitudine, durante il periodo dell’isolamento. Un periodo profondamente sentito da un punto di vista emotivo. Ricco di contraddizioni, di inevitabili preoccupazioni, ma in un certo senso molto stimolante come a volte le difficoltà sanno essere. In quel contesto scrivevo e suonavo confondendo continuamente i piani e perdendo piacevolmente di vista quale delle due forme espressive stesse condizionando maggiormente l’altra.
Il disco è quindi figlio di questo approccio in solitaria dove mi sono ritrovato a suonare, arrangiare, registrare e produrre il lavoro in completa autonomia. È stata una sfida intensa che mi ha spinto a confrontarmi con lati del mio essere artista che probabilmente non avevo mai toccato prima. Spingersi oltre i propri confini con la ricerca musicale può regalare scoperte interessanti anche su chi siamo.

Sostieni che la distanza ha un tempo limite, superato il quale, smette di essere foriera di intuizioni e diventa pericolosa per i nostri cuori. Hai compreso quale sia questo limite e riesci a non valicarlo anche in questo presente tornato ad essere “sospeso”?
È difficile tenere sotto controllo il limite e la solitudine da dipendenza. Mi è capitato a volte di spingermi troppo in là nel mio isolamento ed è stato come trovarsi in preda ai crampi nuotando troppo lontano dalla riva. È necessario ricordare che restare da soli può essere fortemente creativo, ma richiede una gestione delle proprie emozioni molto forte. Quello che stiamo attraversando, in quanto comunità divisa da questo assurdo momento, è di conseguenza una ferita che dovremo riparare tendendoci una mano e percorrendo assieme la strada che verrà senza lasciarci separare dalle distanze che stiamo vivendo.

L’acqua del lago si pone in evidenza come un elemento protagonista della storia raccontata, sembra che vi leghi un sentimento forte, quasi ancestrale, un riconoscere la tua essenza quando ti ricongiungi a lei…
È così. È un sentimento antico quello che mi lega a queste sponde e alle acque di lago in generale, quasi un richiamo che sento arrivare da molto lontano. Tutti i miei lavori, in misura più o meno esplicita, vivono di questa dinamica, ma è con questo progetto che prende corpo in modo quanto mai esplicito il rapporto intenso e pericoloso che ho con il lago. Come ogni amore che porta con sé una percentuale di ossessione può nascondere il pericolo di perdersi fra bellezza e cadute seppur il denominatore comune di questa relazione metafisica sia per me da sempre la luce.

“Attendo la pioggia per non dimenticare il nostro posto al sole”, dice tutto di un amore in pochissime parole, questo sei riuscito a fare in Ostaggi del tempo, un pezzo che mi ha emozionata dal primo ascolto. Lo trovo intriso di una struggente, commovente consapevolezza, ma allo stesso tempo apre alla possibilità che cuore e ragione trovino nel ricordo un punto di incontro e di salvezza… Davvero credi sia possibile?
Mi rende sinceramente felice sapere che Ostaggi del tempo sia riuscita a emozionarti da subito perché è in effetti un brano che anch’io sento molto e che ho vissuto in modo davvero intenso. La nostalgia di qualcosa che pur non essendoci più continua a dare un senso al presente nella sua assenza, è la riflessione sulla quale prende vita questo brano dove un tempo fragile e lontano acquisisce forza nel ricordo. Un ricordo che, con il passare del tempo diventa sempre più cristallino invece di offuscarsi. È in questa chiarezza e in questa visione di luce che un cuore provato può far pace con la ragione e che un vissuto particolarmente forte può essere liberato nella consapevolezza che non dimenticare e continuare a vivere possono convivere con ritrovata serenità.

Arrivare a comprendere il senso della propria solitudine, lasciare finalmente andare un amore che non è più, imparare di conseguenza a guardare le cose per quello che sono. Un traguardo importante, la conquista di una verità interiore, al quale il protagonista arriva con l’ultimo, splendido pezzo Dove siamo stati. Rimani quindi fiducioso nelle doti dell’animo umano?
Credo in quello che siamo, nonostante questi tempi emotivamente corrotti, ho piena fiducia nell’animo umano ed ho la speranza che il momento che stiamo vivendo possa aprirci gli occhi su ciò che è davvero importante, su ciò che è necessario dire e fare. Mi sconvolge accorgermi che, ancora in queste settimane, si faccia di tutto per occuparsi di alimentare superficialità. Non è il momento per lasciarsi andare alla paura (che è uno dei mali più grandi che questa società sta instillando in noi), ma è ancor meno il tempo di essere superficiali. In “dove siamo sempre stati” alla paura per la perdita viene sostituito il coraggio che scaturisce dal cercare di dare un senso a ciò che non c’è più.
Parlando più in generale di noi, credo in un possibile risveglio delle coscienze e a tratti lo sto verificando. Segnali incoraggianti mi arrivano per vie inaspettate e questo lavoro mi sta aiutando a scoprire anche i sentimenti degli altri oltre che i miei. Dobbiamo cercare di resistere in un’onda di verità e difenderci da tutto quello che ci vorrebbe sovrappensiero, indeboliti e privi di senso critico.

In questo progetto hai scelto di metterti particolarmente a nudo sia come uomo che come autore per cui immagino che la dimensione dal vivo potrà acquisire un particolare impatto emotivo. Quando sarà possibile hai pensato a questa eventualità? Ti piacerebbe interagire con il pubblico e come?
Portare dal vivo il lavoro sarà di certo un’esperienza per me toccante dato che intendo farlo con lo stesso approccio profondamente umano e libero con cui ho costruito la produzione del disco.
Sarà con ogni probabilità una performance teatral-musicale quella con cui dialogherò con il pubblico portando loro queste Lettere. L’impianto musicale potrebbe anche essere stravolto a favore di una dimensione particolarmente performativa e diretta. È del resto un lavoro nato fuori dagli schemi e che continuerà pertanto il suo viaggio sugli stessi imprevedibili binari.