R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Se mi avessero detto che Pharoah Sanders a 80 anni compiuti avrebbe inciso un disco con un famoso disk-jockey britannico e con la London Symphony Orchestra giuro che non ci avrei mai creduto. QUEL Pharoah Sanders? Uno degli eroi sopravvissuti del free, il Farrell Sanders soprannominato Pharoah dal “figlio del sole” Sun Ra? Colui che fu citato da Ornette Coleman come il miglior sax tenore al mondo!  Questo anziano musicista, negli anni ’60, si ritrovò compagno di suoni di John Coltrane e di Don Cherry nonché dello stesso Coleman, alle soglie della fioritura di un genere musicale come il free jazz che a volte poteva valere tutto e a volte niente, battezzando centinaia di giovani musicisti alla ricerca di quel “sheets of sound” in cui un turbinare di scale, l’accavallarsi di note veloci e rabbiose caratterizzava l’estetica ispida della musica nera di allora. Se accantoniamo sia il lavoro live uscito l’anno scorso, con un concerto registrato però nel 1975, e sia un singolo pubblicato nel 2019 con la collaborazione di Joey DeFrancesco, si contano dieci anni e più dall’ultima vera presenza discografica di Sanders, per cui questo ritorno a fianco di Floating Points (Sam Sheperd), è da leggersi come un’inaspettata parusia, un ritorno alla luce che merita veramente tutta la nostra dovuta attenzione. .

Floating Points è un brillante ragazzo dottore in neuroscienze, musicista di formazione classica, disk-jockey, alchimista di suoni elettronici e titolare di una propria etichetta discografica, la Eglo Records. In questo Promises si mantiene ad una rispettosa distanza dal maestro americano, creandogli però intorno un efficace supporto di piano, organo e tastiere più vari effetti elettronici. S’innesca in questo modo, dalle battute iniziali, un arpeggio onnipresente che accompagna il sax fino alla fine dell’opera e che disegna un alone tridimensionale su cui il caldo soffio di Sanders vi si adagia con una certa grazia. Non è più tempo di tempeste sonore. La nave si è ancorata in una rada nascosta dai venti e quindi niente più ansie tonali, niente fughe in avanti. Giusto in qualche momento sembra ricomparire l’antico demone che torna ad agitarsi ma è solo per un breve frangente, poi tutto si cheta, la musica scorre via come uno zefiro sulle onde, increspandole appena. La London Symphony Orchestra si mantiene dietro le quinte per quasi tutto lo svolgimento dei nove movimenti, salvo fiorire di suoni nel sesto, prendendosi il suo spazio in regale magnificenza, allargandosi come un cielo che si sgombri di nuvole e lasci trasparire l’azzurro più profondo. In effetti Promises è una lunga suite, suddivisa in nove movimenti senza soluzione di continuità, molto omogenea e con pochi scuotimenti interiori, caratterizzata da una calma pensosa quasi stupefatta. Una “sehnsucht” di matrice romantica, lo struggersi di un lontano ed irrealizzabile desiderio di annullamento nell’infinito. Sembra quasi un paradosso scrivere di certe impressioni parlando di un musicista con il passato di Sanders. Non dimentichiamoci però che dentro la musica di allora, in fondo a quel vaso di Pandora dopo che tutta la rabbia del mondo se ne era fuoriuscita, rimaneva un’aspirazione quasi mistica, un “ascensione” verso piani ineffabili della realtà e forse un avvicinamento verso il Divino che ha acceso la devozione e l’amore di Coltrane, ad esempio, negli ultimi anni della sua vita. Il suono del sax è strepitoso, carico di calore e colore, lievemente rauco, pervicacemente espressivo da far battere forte il cuore in certi attacchi – nel passaggio dal canticchiare sottovoce di Sanders del quarto movimento all’entrata improvvisa del quinto – insomma una meraviglia. Sheperd è un acquarellista che spande il colore nell’aria con una pennellata rarefatta, l’orchestra un grembo materno che accoglie il tutto in un ”regressus ad uterum” con un bellissimo tappeto fiorito di violini che appaiono ben disegnati nel movimento numero sei. Un disco benedetto da un connubio fortunato e ben equilibrato. Chi l’avrebbe mai detto che questa eterogenea mescolanza umana e spirituale avrebbe alfine funzionato così bene?

Tracklist:
01. Movement 1
02. Movement 2
03. Movement 3
04. Movement 4
05. Movement 5
06. Movement 6
07. Movement 7
08. Movement 8
09. Movement 9