I N T E R V I S T A
Articolo di Luca Franceschini
La vita è tutto un sommato fu un piccolo grande successo per il trio umbro, un Ep di quattro pezzi dall’impronta fortemente Lo Fi, un cantautorato acustico che flirtava a più riprese con De André ed altri autori “impegnati” ma che non disdegnava un certo gusto Pop nelle melodie. In generale non un lavoro facile, ma era il 2014, i Cani erano già al secondo disco ed il famigerato Indie italiano percorreva ancora itinerari obliqui, amava sperimentare soluzioni differenti, non era obbligatorio suonare semplici e piani a tutti i costi.
Il trio di Foligno andò quindi ad occupare uno spazio tutto suo, spopolò con un singolo come Marie Curie ed entrò nel roster di Panico Concerti, che lo fece girare un po’ per la penisola, sempre con una bella risposta di pubblico.
Ultimi, il disco d’esordio, ne confermò tutti gli aspetti positivi ed evidenziò un songwriting ancora più convincente ma ciononostante non andò come sperato. Verrebbe da dare la colpa a Mainstream di Calcutta, a Gazzelle e a tutta l’ondata It Pop che nel giro di pochissimo fece piazza pulita di tutto quello che suonava differente; ma forse le cose sono più complesse di così e trovare spiegazioni risulterebbe un esercizio ozioso.
Poco male. Oggi Il Geometra, cioè Jacopo Maria Magrini, Lorenzo Venanzi e Francesco Bitocchi, hanno deciso di tornare in pista. Ad aprile è uscito Per tutte le madri, il primo pezzo nuovo dopo sei anni di silenzio, a fine estate ne uscirà un altro, Per quel che resta (che abbiamo ascoltato in anteprima), preludio al vero e proprio disco che dovrebbe vedere la luce tra autunno e inverno. Non sarà facile ripartire da dove si era lasciato ma se tutti i brani del nuovo lavoro avranno la qualità di questi due, per lo meno ci sarà da divertirsi.
Nel frattempo abbiamo raggiunto al telefono Jacopo e abbiamo cercato di riannodare i fili.
Considerato che da “Ultimi” sono passati sei anni, la prima cosa che ti chiederei è: che cosa è successo in tutto questo tempo e che cosa vi ha spinto a tornare sulle scene?
Con la pubblicazione del nostro primo disco (che poi al momento è anche l’ultimo, abbiamo fatto solo quello), le aspettative erano piuttosto buone perché “La vita è tutto un sommato”, il nostro Ep d’esordio, era andato molto bene. “Ultimi” però non è andato altrettanto bene, non saprei dirti perché, forse per qualche fattore legato alla comunicazione ma non sono la persona più adatta. Ci siamo quindi dovuti confrontare con le nostre rispettive vite: già all’epoca avevo intrapreso il cammino forense, stavo facendo la pratica, poi avrei dovuto fare l’esame di abilitazione per diventare avvocato, adesso faccio il consulente e quindi ho tutto un aspetto professionale che occupa tanto tempo.
Durante il Covid è però successo che mi sono trovato bloccato da solo a Parma, lontano da casa mia (sono umbro) perché in quel periodo ero lì per motivi di lavoro. È successo che ho ricominciato a scrivere, soprattutto di notte e sono venute fuori le canzoni di questo disco, che avrà poi come tema la figura di Cristo e quelli che sono in generale i valori laici della cristianità.
Si può quindi dire che nel tuo caso la pandemia abbia sortito un effetto positivo, visto che ti ha rimesso in pista dopo così tanto tempo…
Non sono un cantautore molto prolifico, non ho questa esigenza espressiva così netta, scrivo poco e lo faccio solo se sono ispirato, dopodiché la sessione deve aprirsi e chiudersi all’interno della stessa serata, non torno mai su quello che scrivo. Ci sono però dei periodi in cui viene fuori questa enorme produzione quantitativa e durante il Covid è successo appunto questo, che scrivevo tutte le sere, cosa che non mi capitava dal 2014, all’epoca delle prime produzioni de Il Geometra.
Prima di parlare dei pezzi nuovi, ti chiedo se in formazione ci siete sempre voi tre oppure se ci sono stati dei cambiamenti.
Il Geometra, più che una band, è sempre stato un gruppo di amici. Le canzoni nascono chitarra e voce, non c’è poi molto di suonato, le batterie non esistono, ci sono tanti sintetizzatori… siamo sempre noi tre, assieme al nostro produttore, se poi si tornerà a suonare dal vivo sul palco saremo in tre. Non mi dispiacerebbe però allargare il nucleo, aggiungendo magari delle percussioni, di cui sento molto la mancanza, ti dirò. Sono abituato a suonare in una tribute band dei Dire Straits (sono fissatissimo con Mark Knopfler!), in un contesto quindi tradizionale, con chitarra, basso e batteria. Il Geometra al contrario è una situazione più concettuale e meno suonata: mi piacerebbe renderla più analogica, più “legnosa”, per così dire.
Che poi è una cosa che farebbe bene, secondo me: al giorno d’oggi mi pare si sia un po’ persa l’abitudine di suonare dal vivo: sequenze, campionamenti e basi hanno un po’ invaso tutto lo spazio disponibile. Non fraintendermi, ascolto di tutto e mi piacciono tante delle proposte più recenti. Però credo che un live con una sezione ritmica, delle chitarre, delle tastiere, sia molto più d’impatto e molto più coinvolgente. Non so, forse le generazioni più giovani non se ne rendono conto ma la differenza è innegabile che ci sia…
Anch’io ascolto tanta musica, dei generi più disparati e quello che noto e che mi dispiace è che ci sia sempre più uno scollamento tra l’idea del musicista e quella di suonare uno strumento, come se le due cose non fossero assolutamente collegate. Non sono più giovanissimo, ho 31 anni, suono la chitarra da quando ne avevo 10 e per me esprimermi con la musica significa soprattutto quella cosa lì, senza nulla togliere poi al lavoro del producer, ci mancherebbe. Anzi, apprezzo molto quando le due cose si toccano: lo vedi in uno come Zollo, che ha una formazione più rock (ha lavorato molto coi Calibro 35 NDA) ma che si è poi avvicinato a queste nuove rock star che sono i rapper e i trapper ed è riuscito ad unire i due mondi, facendo delle cose molto preziose, per esempio con Ketama126, la Love Gang o Generic Animal. Attenzione che sono il primo a dire che gli assoli di chitarra siano ormai anacronistici, però io non riuscirei mai a creare una canzone senza avere una chitarra in mano.

Beh, se ti può consolare, settimana scorsa ho visto il set di Vipra a Milano e si è presentato con una rock band al completo con tanto di assoli di chitarra in pieno stile ’90, oltretutto suonati dal suo produttore, Mr. Monkey. Scelta strana, per uno come lui ma è stato davvero un gran bel live.
Quando ero ragazzino non ero certo nel club dei più fighi e questa cosa del suonare mi teneva davvero a galla, adesso noto che in generale i ragazzini non sembrano avere più quel desiderio… probabilmente ho detto una cosa da boomer (risate NDA)!
Parlando dei brani nuovi, “Tutte le madri”, che è l’unico che finora avete pubblicato, mi sembra piuttosto diverso dalle vostre cose precedenti: ha un’atmosfera più dolce, sembra in qualche modo più pacificato…
Nella mia scrittura parto sempre da una cellula musicale, che è quella primordiale, e queste prime note si sono abbinate alle parole “dolce figlio mio”, per cui ho pensato che volevo descrivere questo tipo di rapporto che si instaura tra una madre e un figlio. Non è una canzone sulla maternità, quanto piuttosto su questo tipo di amore, che può apparire anche distorto, squilibrato, anche poco razionale. Per dire, un amore tra un uomo e una donna, nonostante tutte le sue particolarità, pone sempre dei paletti: se qualcuno esagera oppure per altri motivi, può andare incontro ad un punto di rottura. Ecco, per una madre col figlio è assolutamente inconcepibile: anche se il figlio fosse il peggiore degli assassini, il peggiore dei mostri, rimarrebbe di base questo sentimento di amore e devozione totale, che è impossibile cancellare. Volevo parlare di questo, soprattutto, al di là che poi magari il pezzo possa apparire melenso (ride NDA). Volevo descrivere l’impossibilità di prescindere dall’amore che una madre vuole al proprio figlio, che nulla potrebbe mai compromettere.
Anche questo quindi ha a che fare coi valori laici del cristianesimo, di cui parlavi prima? Perché mi verrebbe da dire che l’unico amore incondizionato in terra, laddove non sia implicato l’amore di Dio, sia proprio quello della madre…
Sì certo, c’è un legame anche se preciso che non era certo mia intenzione scrivere “La buona novella 2.0” (risate NDA)! Ci sono dei rimandi, soprattutto perché uno dei figli presi in esame è proprio Gesù. Poi c’è “Per quel che resta”, l’altra canzone che hai sentito, che uscirà dopo l’estate: c’è tutto questo richiamo per me molto forte della descrizione delle piaghe d’Egitto come rivalsa del popolo ebraico verso chi li aveva sottomessi; in esse però c’è anche quella cosa tremenda per cui vengono uccisi tutti i primogeniti dell’Egitto e questo è il Dio senza misericordia dell’Antico Testamento, che però viene sempre descritto come il massimo esempio della grandezza della divinità. Io invece non penso che sia una cosa di cui gloriarsi, su cui basare il valore della religione ebraica e poi successivamente di quella cristiana. Ci sono tante contraddizioni, non tutto è lineare. In queste canzoni ci sono anche tante emozioni basse che però vengono temperate da questa grande empatia che secondo me noi occidentali abbiamo in maniera piuttosto naturale, avendo recepito quei valori che a catechismo, a scuola o in famiglia, ci sono stati insegnati. Quelle cose noiose, che abbiamo sempre dato per scontate ma che, dirò una banalità, in assenza di valori di riferimento nel contesto odierno, rappresentano forse gli unici punti di luce. Saranno anche scontate, ma se ognuno di noi le applicasse nelle proprie piccole battaglie quotidiane, compirebbe davvero un gesto rivoluzionario. Ecco, io avrei proprio voluto raccontare questo, nelle mie nuove canzoni.
“Per quel che resta” in effetti ha un feeling molto più drammatico ed è più in linea con le tue vecchie composizioni…
Ci sono molte suggestioni, immagini anche separate che mi sono passare per la mente, tutta una serie di cose che compongono le miserie o a volte le piccole gioie della vita, con tutte le sue contraddizioni. È un flusso di coscienza, libero e senza dubbio pesante in alcuni passaggi ma spesso mi esprimo secondo queste modalità, non sono mai leggero, non mi appartiene. Certo, mi piace ricercare un po’ di ironia e di leggero sarcasmo ma risultare di essere piacevole o addirittura piacione in quello che canto è una cosa che non mi viene naturale, credo che risulterei piuttosto ridicolo nel cercare di farlo adesso. Ovviamente mi rendo conto che questo comporta una targhettizzazione piuttosto precisa del pubblico a cui è diretto il lavoro ma mi rendo anche conto che non ho certo l’obiettivo di diventare famoso, mi piacerebbe piuttosto essere considerato rilevante e credibile per una piccola nicchia di pubblico.
A proposito di questo, credo che una delle possibili ragioni dietro il vostro insuccesso sia che probabilmente siete usciti in un periodo particolare, quando la scena indipendente stava andando incontro ad un grosso cambiamento e il pubblico forse aveva bisogno di una narrazione più semplice. Un pezzo come “Biblioteche comunali”, per dire, forse aveva riferimenti troppo complessi per quello che all’epoca stava divenendo l’ascoltatore medio…
Quello che mi piacque tantissimo di noi in quell’epoca era soprattutto la libertà espressiva, il fatto che con pochi mezzi si riuscisse ad arrivare non a tantissime persone ma ad un consistente gruppo di fan sparsi a macchia di leopardo un po’ per tutta Italia. I pezzi di quell’ep non erano di facile ascolto ma mi aveva colpito molto il fatto che andavamo in giro a suonare e ovunque, dalla provincia di Varese al Molise, c’era qualcuno, ragazzini e giovani adulti, che cantavano le canzoni: è un’emozione che auguro a qualsiasi artista di provare, prima o poi. Al netto di questo, è ovvio che la nostra non sia una proposta semplice però ti devo dire che ascolto anche tantissima musica leggera e sono convinto che tutta questa leggerezza degli ultimi quattro o cinque anni non ci abbia fatto troppo bene dal punto di vista musicale…

In che senso?
C’è stata una ricerca eccessiva, un tentativo spasmodico di assomigliare a qualcuno che negli ultimi anni, grazie a questa leggerezza, ha raggiunto il successo. Penso a Calcutta, che pur nella semplicità e nella leggerezza di quel che canta è rimasto comunque un artista con la a maiuscola, è rimasto se stesso, senza mai snaturarsi. E parliamo sempre di uno che è diventato famoso cantando: “Ricordati, le olive sono buone” (ride NDA) non c’è poi questa immediatezza, c’è un certo ermetismo in quello che ha sempre cantato, anche nelle sue cose più commerciali. Prendi ad esempio: “Apro il giornale, c’è Papa Francesco e il Frosinone in serie A”. Ci vuole coraggio per scrivere in una canzone Pop un verso del genere, un grande coraggio. Male invece chi è venuto dopo e ha cercato di imitarlo in maniera un po’ così, che spesso è risultata triste e grottesca.
Nell’Ep c’era un pezzo intitolato “Faremo la fine dei Supertramp”: ovviamente è una battuta però non pensi che, col senno di poi, si sia rivelato profetico? Dopotutto anche voi non siete riusciti a stare lontano dalle scene…
Il destino era già scritto, ci ho pensato tante volte (ride NDA)! Quei quindici minuti di celebrità, quel piccolissimo clamore che si creò attorno a quell’ep, fatto in casa, con mezzi di fortuna, sono stati una delle più belle soddisfazioni che ho avuto in vita mia, non solo in ambito musicale. Fu una cosa che facemmo quasi per ridere e invece è uno dei ricordi più belli che ho. Tanto è bastato, dunque, perché potessimo dire: “Riproviamoci!” anche se adesso è molto più complicato perché non sono più uno studente universitario, lavoro dodici ore al giorno, è tutta un’altra vita! Pensiamo però di avere ancora tante cose da dire e quindi ci proviamo!
Sui pezzi pesa molto anche il lavoro di produzione, veramente bello e con una gran cura dei dettagli…
Lui ha una grandissima dote, che è proprio questa enorme attenzione alle piccole cose. Ci sono alcuni elementi, nella scrittura o nei testi, che lui ha voluto sottolineare con certe soluzioni di arrangiamento, ci sono cose che c’erano anche nelle mie pre produzioni, perché io quando scrivo pre produco con Logic, chiaramente non con una resa eccelsa…
E forse oggi sarà molto più difficile di sei anni fa perché il mercato musicale è cambiato e non certo in meglio. Però dall’altra parte, se uno non lo fa di mestiere, qualche soddisfazione la si può ancora ricavare…
Infatti, io non ho certo l’ambizione di pagare le bollette con queste canzoni, questo mi rende molto libero, per quello che può valere la mia libertà! Non ho l’obiettivo di piacere a tutti, mi basterebbe arrivare a quella nicchia di cui parlavamo prima, che poi non è così piccola. Sai, c’è sempre questo aspetto in Italia, anche in altri ambiti, per cui il destinatario del tuo prodotto deve essere per forza considerato stupido e invece all’atto pratico si vede che non è così. Guarda per esempio il programma di Lundini, che era molto particolare, ammantato di surrealismo poetico e invece è piaciuto a tanti, ha avuto un successo non indifferente. La verità è che se le cose sono fatte bene in qualche modo funzionano, ci vuole solo un po’ di coraggio!
Che cosa succederà adesso?
Il singolo “Per quel che resta” sarebbe dovuto uscire prima ma come ti dicevo abbiamo avuto dei ritardi relativi alla nostra situazione lavorativa. Il disco invece uscirà tra autunno e inverno e sarà breve, non più di otto pezzi al massimo.
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