R E C E N S I O N E
Recensione di Andrea Notarangelo
Gli Speed Of Sound da Manchester, sono un gruppo misterioso tornato questo autunno con un nuovo album e una storia da raccontare.
La band proviene direttamente da una piovosa giornata mancuniana di fine anni ’80 (la fondazione risale al 1989) e con questa premessa, non è difficile immaginare il tipo di proposta musicale offerta da questi veterani del rock. Ma una volta cessata la pioggia e riposti gli impermeabili, ecco raggiungerci direttamente nelle casse l’iniezione di un suono unico, figlio di uno strano matrimonio tra la New Wave e una miscela che sprizza atmosfere Sixties da tutti i pori. In questa cornice, adesso, è un po’ più semplice immaginarsi l’importanza degli intrecci delle chitarre e delle voci (quella maschile di John Armstrong e quella femminile di Ann-Marie Crowley), nell’economia del suono della band.

Il connubio, tanto strano quanto funzionale, ha i suoi riferimenti negli Stranglers e nei Jefferson Airplane. I nomi chiamati in causa sono fin troppo altisonanti? Eppure questa è la realtà e il risultato è un suono fresco che prende le distanze da tutto ciò che è in voga negli anni ’20 del Ventunesimo secolo. In questo The Museum of Tomorrow, restiamo stupiti fin dal suo biglietto da visita. Sia il titolo dell’album, che la copertina raffigurante una donna che da una capsula osserva la Terra come un museo a cielo aperto dei tempi andati, ci sembrano azzeccati. La Crowley e Armstrong, coadiuvati dalla sezione ritmica composta da Kevin Roache al basso e John Broadhurst alla batteria, si scambiano i ruoli di protagonista e gregario all’interno dei pezzi, come accade ad esempio per Opium Eyes o in Impossible Past, una traccia che non avrebbe certo sfigurato in un disco dei My Bloody Valentine, prima della definitiva svolta shoegaze, avvenuta tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, momento, guarda caso, nel quale i mancuniani iniziavano a muovere i primi passi. In Zombie Century si trovano brevi cenni di riferimento al brit pop, e non si fa fatica a trovare punti di congiunzione in questa traccia, con An Open Letter to the Lyrical Trainspotter, ghost track che i Mansun infilarono in coda al loro disco d’esordio del 1997. Questo significa che i nostri, negli ultimi decenni, non sono mai rimasti spettatori passivi dello spettacolo musicale, ma hanno introdotto nel sound quanto di necessario alla creazione del loro messaggio personale. E i risultati più riusciti sono gemme quali Virtual Reality, canzone centrale del disco e fulcro della passione musicale denominata Speed Of Sound.
Tracklist:
01. Tomorrow’s World
02. Opium Eyes
03. Smokescreen
04. Zombie Century
05. Wired And Tired
06. Virtual Reality (Part 2)
07. Shadow Factory
08. Impossible Past
09. Leaf Blower
10. Blood Sweat And Tears
11. Charlotte
12. The Day The Earth Caught Fire
13. Last Orders
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