C I N E M A
Articolo di Silvia Folatti
Il bacio di Cristiano a suo padre suggella l’ultimo grande concerto insieme sul palco del Teatro Brancaccio di Roma e dice tutto dell’amore tormentato e struggente che provava per lui: un padre scomodo, adorato da alcuni e inviso ai tanti che consideravano le sue canzoni sconvenienti, sfacciate, irriverenti.
Ma torniamo all’inizio di questo film che si snoda durante tutto l’arco della vita di Cristiano e ha come colonna sonora il concerto che lui ha dedicato all’album Storia di un impiegato di Faber uscito negli anni ’70 e che fotografa un’epoca turbolenta e irripetibile, foriera di cambiamenti impensabili e di un’energia potentissima e (in)esauribile. Mette i brividi oggi pensare ai motivi profondi e alle ingiustizie che muovevano cuori e gambe allora, pensando agli eventi recenti e all’interpretazione odierna di “bene collettivo” e di “dittatura”.
Il film alterna i ricordi di Cristiano a immagini di repertorio, sia pubbliche sia private e momenti di vita intima, famigliare, domestica. Ma non si tratta di un semplice documentario perché il film acquisisce vita propria e diventa un viaggio onirico nell’anima di Cristiano, di Fabrizio e della loro Sardegna, il loro buen retiro in mezzo alla vegetazione inconfondibile e selvaggia di quella terra, nel verde a perdita d’occhio che sconfina nel mare in tempesta, la stessa che agitava Fabrizio: solo qui si chetava e ritrovava se stesso, la sua dimensione più autentica. Una specie di viaggio all’interno delle due anime di padre e figlio unite dall’amore per la musica, i loro affetti più cari e l’empatia per quei diseredati, esclusi, figli di un Dio minore che Fabrizio “adottava” e a cui restituiva dignità, onore e rispetto cantandoli con infinita tenerezza e verità.
Cristiano racconta e all’inizio sembra così cambiato, dopo tanti anni che non lo vedi, non lo senti, non lo segui… te lo ricordi bellissimo, giovane, con gli occhi fiduciosi e sognanti e al tempo stesso seri, decisi, nella sfida titanica di far emergere il suo talento e le sue indubbie qualità canore e di fine e poliedrico musicista in una soggezione reverenziale del genio di suo padre e penalizzato da quel cognome ingombrante e impegnativo. Ora gli anni sono passati col loro carico di guai, lasciando segni sul volto e ferite nell’anima, l’ingombro del tempo e dello spazio, un coacervo di rimpianti, rimorsi e occasioni mancate. Ti sembra anche che Cristiano faccia fatica a parlare. Ma la musica cura sempre tutto e quando lui inizia a cantare si trasforma, la voce si fa improvvisamente chiara, limpida, squarcia il silenzio e il buio della sala e coinvolge, emoziona, scuote, commuove. Un grandissimo concerto quello di Cristiano sulle note e sulle orme di suo padre e con una somiglianza fisica impressionante ma come dice Dori Ghezzi dotato di una vocalità, un approccio canoro e timbrico del tutto personale, da musicista puro e valente polistrumentista, arrangiatore originale e innovativo, interprete raffinato e intenso.

E poi ancora la dimensione privata di padre e figlio, di due generazioni a confronto: i momenti di tenerezza e quelli di scontro duro, rabbioso, fisico.
Faber descriveva i giovani con un dolcissimo disincanto: “Non è vero che i giovani non abbiano valori. Ce li hanno, siamo noi che non li capiamo perché siamo troppo attaccati ai nostri, ma non è detto siano migliori dei loro”.
Storia di un impiegato è un disco bellissimo e ringrazio Cristiano di avermelo fatto conoscere a fondo, con una passione, un’intensità e un calore che avrebbero scaldato il cuore a suo padre, mentre il vento selvaggio della Sardegna gli sferzava il viso e gli risvegliava il cuore.

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