R E C E N S I O N E
Recensione di Massimo Menti
L’ossidiana è una roccia eruttiva effusiva, nera, dai bordi taglienti come lame, dura e fragile allo stesso tempo, un vetro vulcanico che si forma per rapido raffreddamento della lava. Jónsi (Birgisson) cantante e artista islandese (e leader della band Sigur Rós) riversa queste precise caratteristiche in Obsidian, il nuovo album uscito a sorpresa ad un anno di distanza dal precedente Shiver. Il progetto accompagna anche l’omonima mostra che si terrà fino al 17 dicembre alla Tanya Bonakdar Gallery di New York. Hrafntinnublómstur in islandese fiore di ossidiana è una scultura di grandi dimensioni presente nella galleria d’arte (e usata come cover del disco) composta da roccia vulcanica, resina, noci brasiliane bruciate, sabbia nera, muffa ed acciaio. Jónsi non solo musicista dunque, ma anche artista a tutto tondo, capace di mescolare elementi di natura diversa per generare nuove creature, una specie ibrida sintetico mineral-floreale.

Allo stesso modo sovrapponendo strutture soniche strato su strato, dà origine ad un album dove la voce in falsetto, i riverberi, le dilatazioni, i beats, si amalgamano perfettamente creando tracce estatiche ed eteree, luminosissime ma anche oscure, come le schegge di ossidiana che risultano essere trasparenti se osservate in controluce, ma nere come la pece se le si osserva da altre angolazioni ed in assenza di illuminazione diretta. Mini suite dove l’hopelandic (la lingua inventata dal cantante islandese) filtrato e quasi irriconoscibile si miscela, viene diluito e poi spazzato via definitivamente da una tempesta dronicha space-ambient (Vikur). I vocalizzi di sigurrossiana memoria (si ascolti Gítardjamm nella versione del documentario Heima) lasciano ben presto spazio ai field recordings, a campane mosse da una lieve brezza, a note titillate di un pianoforte giocattolo, a piccoli arpeggi, glitch e un vociare in lontananza di bimbi che giocano, nella cinematografica Ambrox. Decisamente più oscuri, spettrali, inquietanti, sono invece i territori in cui si spinge Pyralone, con i suoi ritmi dark-industrial, dove il canto e il falsetto viene lanciato ad altezze irraggiungibili, in un alternarsi di espansioni e compressioni, per poi implodere nel finale improvviso. Lucentezza e trasparenza vitrea, petali ossidianacei nell’omonima traccia, sono rimpiazzati dalle vibrazioni electro(magnetiche) di Cypriol dai suoni cadenzati e spezzati, una micro-dance IDM stoppata repentinamente da frammenti sideral-siderurgici del lungo ed inatteso finale. Nonostante la base Losangelina, Jónsi non dimentica l’isola da cui proviene e lo fa omaggiando la recente genesi del vulcano Fagradalsfjall, con i parossismi stromboliani di Eyja che si alternano al dolce e rappacificante cantato nella fase di quiescenza. Esplosioni a cui si sussegue la coltre cinerea di Öskufall (letteralmente “caduta di cenere”) bellissimo strumentale dove layers di synth, cori angelici tirati allo spasimo, effetti atmosferici, brezze marine, creano una composizione dal forte impatto cinematico ed immaginifico.
Co-prodotto e mixato assieme a Paul Corley e Nathan Salon, Obsidian rappresenta una delle numerose sfaccettature di questo artista, quella più ambient e boreale presente anche nei lavori precedenti ma mai così incisiva e preponderante. Un sole artico basso all’orizzonte su distese a perdita d’occhio, incapace forse di scaldare, ma in grado di rassicurare anche gli animi più tormentati.
Tracklist:
01. Vikur
02. Ambrox
03. Kvika
04. Pyralone
05. Obsidian
06. Cypriol
07. Eyja
08. Öskufall
09. Vetiverol
10. Hedione
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