R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Nel 2007 il giornalista musicale e scrittore olandese Eddy Determeyer pubblicò un libro destinato ad avere più di un’eco tra gli appassionati dello swing. Il volume raccontava la storia di una band famosa nella Harlem degli anni ’30, la Jimmie Lunceford Orchestra, presenza assidua al famoso Apollo Theatre che da qui prese il volo per lunghe tournee negli Usa e in Europa rivaleggiando con la più celebre big band di Duke Ellington. Il libro in questione si chiamava Rhythm Is Our Business ed è lo stesso titolo che The Jazz Russell, band italianissima, utilizza per questo suo secondo disco cucinato in sapido gusto di swing. Come facilmente s’intuisce dalla scelta, l’album si muove sotto l’egida della tradizione, col metronomo tarato fisso su questi ritmi costituendo una sorta di collage tra brani originali, standard americani, canzoni italiane e swing nostrani d’antan. Per suonare musica di questo tipo, è chiaro, occorre stile e tecnica impeccabile, senso d’insieme e anche una sottile punta di giocosa stravaganza. Del resto quando la musica è un puro e ben realizzato divertimento, non c’è davvero bisogno di “mettersi a nudo”, metafora così amata da molti musicisti di oggi, assolutamente convinti che la loro anima valga sempre la pena di essere esibita. La sensazione di laid back che proviamo ascoltando questa musica è nel contempo gioiosa ed ottimista, una vera e propria medicina, rimedio naturale contro i mali dello spirito. Jazz Russell è un progetto germogliato nell’ambito creativo del chitarrista Filippo A. Delogu, musicista con una laurea in Economia – capito da dove veramente viene il termine “business” del titolo? – e da sempre innamorato della musica jazz tradizionale degli anni’30 e ’40. Con lui troviamo Andrea Nuzzo all’organo Hammond e al Rhodes, Alfredo Romeo alla batteria e Light Palone – il soprannome anglosassone non inganni – al contrabbasso. Tutti i brani possiedono lo stesso denominatore comune e trasmettono nell’identico modo la smania di muoversi, di seguire un ritmo sempre portato con garbo che invita alla danza o comunque a non starsene fermi sulla sedia.

Adriano apre la porta, come primo brano, alla sequenza dei titoli dell’album. È stato scritto da Delogu che saetta con la sua chitarra frasi in rapida successione be-bop sopra il tapis roulant del mobilissimo Hammond che qui provvede anche all’accompagnamento dei bassi. Ed è proprio il continuo rimpallo tra organo e chitarra che caratterizza l’impronta di questo e degli altri pezzi a venire. La veloce batteria di Romeo non si limita a scandire le battute, visto che si concede un breve ed impeccabile assolo verso il finale. Segue uno standard firmato Reynolds-Daugherty, Confessin’, che fu registrato per la prima volta da Louis Asrmstrong nel 1930. Il brano è anche conosciuto con un titolo leggermente modificato, I’m confessing (that i love you) ed ha conosciuto una splendida versione di Lester Young e Oscar Peterson incisa nel 1959 – in The President Plays. Jazz Russell ne mantiene l’intento moderato in ¾ e qui lo swing non è solo merito del batterista, che anzi imposta un accompagnamento ritmico piuttosto moderno, ma resta nel potere della diteggiatura di Nuzzo e di Delogu, ciascuno col proprio strumento, esponendosi in un suono smaliziato e soffice al punto giusto, senza smancerie ma impostato con il giusto feeling. Squillante l’assolo all’Hammond, moderata la chitarra che si trova più impegnata a conservare la traccia del tema. The Preacher, anche questo composto dai Jazz Russell, s’annuncia come un R & B alla Jimmy Smith, una specie di collage tra elementi mandati a memoria, come ricordi di scuola che affiorano, magari sovrapposti e non perfettamente individuabili per proprio conto ma che nell’insieme rendono compiutamente l’obiettivo da raggiungere. La chitarra suona rilassata, pur saltellando sul ritmo moderato operato da organo e batteria che tende ad accelerare solo nelle fasi finali del brano. In Cerca di Te è un pezzo italiano scritto da Testoni-Sciorilli nel 1944 e sottotitolato Solo Me Ne Vo Per la Città, reso famoso da Natalino Otto. Organo e chitarra – siamo sempre per ora senza contrabbasso che entrerà in pista dal brano n.9 – si occupano di creare un groove convincente apportando improvvisazione e swing, anche se in verità la versione originale con Otto e l’orchestra di Sciorilli è un capolavoro d’arrangiamento, simile alle atmosfere un po’ nebbiose e misteriose spesso utilizzate da Ellington. Jazz Russell ne dà un profilo maggiormente “casalingo”, rieditandolo con un adattamento più idoneo ad un trio come in questo caso. Water, scritto da Delogu, si discosta un po’ di più dal contesto generale, voltando parzialmente le spalle al senso swingante inseguito fin ora e proponendo qualcosa di più moderno, tra percussioni eterogenee e momenti di blues. In realtà il gruppo si perde un po’ tra le continue frammentazioni del brano, anche se possiamo ascoltare un bel lampo di sola batteria e aver l’occasione di cogliere qualche fraseggio sui generis operato dalla chitarra. A questo punto tocca a E Se Domani, epocale brano di C.A.Rossi e G.Calabrese, portato al successo da Mina nel 1964, dopo un esordio sfortunato con Fausto Cigliano al Festival di Sanremo dello stesso anno. Dato che una bella melodia non la si deve mai penalizzare, come giustamente diceva Chet Baker, Delogu la imposta nota dopo nota alla chitarra, cercando di renderla – e riuscendoci – il più pulita possibile. Il sentimento di lieve malinconia caratteristico della canzone (NdR. uno dei miei primissimi 45gg acquistati da ragazzino) viene interamente preservato dal senso della misura degli strumentisti che la ripropongono in un’atmosfera sommessa e diradata.

Vignette fu scritta da Hank Jones e incisa per la prima volta nel 1958 da Coleman Hawkins nell’Lp The High and Mighty Hawk. Anche in questo caso la conservazione del tema è compito avvertito con la massima importanza dai Jazz Russell, che provvedono a svilupparlo anche con un lungo sincrono tra Hammond e chitarra. Nella parte centrale ascoltiamo due assoli improvvisati dei due strumenti succitati, sempre all’insegna della moderazione e del colloquialità. Remember è opera di Irving Berlin, datata 1925. L’organo pieno di ombre, dalla bella timbrica scura, duetta spesso all’unisono con la chitarra in un lungo fraseggio sciolto. I’m Beginning to See the Light è una traccia scritta a otto mani nel 1944 da Don George, Johnny Hodges, Duke Ellington e Harry James. Entra in scena finalmente il contrabbasso di Palone a sollevare il peso delle ottave gravi dalla pedaliera dell’Hammond di Nuzzo. Impostando il tema in uno scambio di battute con la batteria ed entrando in un’atmosfera in bilico tra R & B e ritmo latino, si sconfina in uno stile danzante che un tempo, tra la fine dei ’50 e l’inizio dei ’60, veniva chiamato bogaloo. On a Misty Night è opera di Tadd Dameron che la scrisse originariamente per Benny Goodman. In un contesto scabro, volutamente asciutto e disadorno, reso più bluesy dalla passeggiata del contrabbasso, Nuzzo si muove improvvisando al Rhodes mentre la chitarra di Delogu segue la propria linea estemporanea. Forse è proprio l’aspetto più blues nella resa di questo brano o forse sarà l’impressione di una maggior compatezza sonora per merito del contrabbasso ma tutto questo rende il risultato finale come uno tra i più apprezzabili dell’intero album. On the Sunny Side of the Street fu composta nel 1930 da Jimmy Mc Hugh e Dorothy Fields, incisa per la prima volta nello stesso anno dal cantante Ted Lewis. Ancora una volta il tema viene esposto dal contrabbasso, sostenuto inizialmente solo dalle spazzole della batteria, prendendosi via via più spazio tra gli apporti in sottofondo di Rhodes e della chitarra. Palone continua poi il suo percorso in un assolo, concedendosi inoltre qualche scambio in botta e risposta con gli altri strumenti. Possiamo dire che questo brano è effettivamente condotto primariamente dal contrabbasso e del resto la sua presenza è certificata solo negli ultimi quattro brani dell’album, per cui pare giusto, in questo caso, una maggior partecipazione dello stesso all’economia totale del lavoro. L’ultimo brano, Bluesy Drums, introdotto dal terzetto contrabbasso, tom-tom e chitarra, si spinge fino agli inevitabili assoli prima di organo, poi di chitarra ed infine, come il titolo suggerisce, agli interventi del batterista. Romeo è molto discreto nel suo adoperarsi, ma fondamentale nell’improntare questa musica secondo le chiavi dello swing, riuscendo a mantenere l’equilibrio ritmico e formale dell’intera struttura musicale del quartetto.

Jazz Russell non si spinge certo in acque limacciose né corteggia fumosi onirismi. Mantenendo un orizzonte a portata di sguardo e navigando in territori ben conosciuti, il gruppo rischia a volte un eccesso didascalico. Ma dimostra come la tradizione non sia un fiume in secca e che si possa sempre seguire la sua corrente percorrendo la ricca anedottica della sua storia, fatta di orchestre, di danze, divertimento a portata di tutti senza spargimenti inutili di decibel e da ultimo, perché no, con la partecipazione di una toccante gioia di vivere.

Tracklist:
01. Adriano
02. Confessin’
03. The Preacher
04. In cerca di te
05. Water
06. E se domani
07. Vignette
08. Remember
09. I’m Beginning to See the Light
10. On a Misty Night
11. On the Sunny Side of the Street
12. Bluesy Drums