R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

Cosa potrà mai riservarci l’incontro con un Albero di Giuda? Un titolo tanto accattivante quanto misterioso. Vi assicuro che la tela sonora di questo lavoro è ricca di sorprendenti filati, come il percorso artistico multicromatico del suo autore.

Duval Kojo Bankole Timothy, o più semplicemente Duval Timothy, classe 1989, è un artista multidisciplinare originario di Freetown (Sierra Leone) perennemente in movimento fra la patria natia e Londra. È principalmente conosciuto come pianista e compositore, ma la sua attività artistica si espande anche alla concept art includendo pittura, fotografia, scultura, design e video. Il suo percorso vanta esposizioni a livello internazionale: Tate Modern (Londra), Museo Luigi Varoli (Cotignola, Ravenna), Still House Gallery (New York), galleria Polistar (Istanbul). Il colore, inteso anche come metafora di polivalenti sfumature espressive, è il filo conduttore della sua espressione artistica che si estende anche alla cucina e ai tessuti, sempre guidato dal principio dell’ecosostenibilità. Duval è anche fondatore della Carrying Colour, etichetta discografica e di abbigliamento. Nello specifico il Carrying Colour Studio, sito a Freetown, è una casa e studio di registrazione ed è utilizzato anche da una piccola comunità di artisti internazionali e locali per incidere e sperimentare varie forme artistiche. Per chiudere il vasto cerchio, il nostro ex studente d’arte è altresì coautore del libro di ricette africane The Groundnut Cookbook di cui ha curato persino le illustrazioni ed è anche proprietario di un ristorante pop-up.

Fra le sue esperienze “parallele” merita una menzione il suo periodo di artista in residenza presso Casa Mahler a Spoleto, in Umbria. Mahler & LeWitt Studios è un’associazione no-profit per le arti, che collabora anche con il Festival dei Due Mondi, un ambiente eclettico aperto ad ogni forma d’arte che ospita workshop, residenze e  sperimentazioni, qui gli artisti vivono, creano e si confrontano aprendosi a nuovi linguaggi. Lo scorso anno Duval è stato il vincitore della open call “Mahler, The Song of the Earth” ed ha lavorato nella sala della musica di casa Mahler esplorando la musica del compositore e direttore d’orchestra austriaco nel contesto della crisi climatica globale, tematica sempre presente nelle sue opere e cara a  Duval. Nella sua produzione artistica la natura, il luogo e le questioni legate alla terra rivestono sempre una nota di fondamentale importanza.

La stessa attenzione verso la natura si ripropone nitida in Meeting with a Judas Tree, suo sesto lavoro full-length. L’artwork si presenta vivida: in primo piano spicca una lussureggiante e nuda corteccia da cui spuntano dei fiori lilla-violacei, particolari del cercis siliquastrum, l’albero di Giuda appunto. Questo tipo di arbusto, secondo il pensiero cristiano, può essere visto come simbolo della passione e resurrezione di Gesù Cristo e in questo contesto come metafora della perenne temperanza e capacità rigenerativa del mondo naturale.  
La genesi del disco si colloca nel periodo 2019-2022. Abbiamo a che fare con un album composto e registrato “in viaggio” fra il suo home studio di Londra, quello di Rotherhithe, il Carrying Colour a Freetown e Casa Mahler a Spoleto. Per celebrare l’uscita dell’album, pubblicato lo scorso 11 novembre per Carrying Colour, nei giorni successivi all’ICA Cinema di Londra è stato proiettato l’omonimo cortometraggio, prodotto e registrato dallo stesso Duval. Le immagini sonorizzate, seguendo l’intera durata del disco, ci portano in viaggio in scenari naturali, per lo più fotografie di piante, alberi e arbusti, elementi ispiratori del disco.
Un lavoro interamente scritto e prodotto da Duval che vede la partecipazione di Fauzia, Kiran Kai, Lamin Fofana, Yu Su. Il mixaggio e il mastering sono stai curati da Phillip Weinrobe e Josh Bonati.   

Il filo tematico che lega le composizioni di Meeting with a Judas Tree è così espresso da Duval: “Durante la realizzazione di questo disco, ho voluto esplorare il significato personale dell’ambiente naturale, ho fatto molti viaggi nella natura per confrontarmi con la vita vegetale e i materiali naturali. Tra questi, le passeggiate di tutti i giorni nel sud di Londra, le passeggiate con mia madre sulle colline intorno a Bath, le escursioni a Freetown, sulle colline di Spoleto, in Ghana e nei santuari naturali della Sierra Leone. In tutti questi contesti ho trovato esempi incredibili di natura, a cui mi sono sentito personalmente vicino. Ho effettuato registrazioni sul campo con il mio telefono o con un registratore Zoom, documentando vari uccelli, insetti, scimmie, pipistrelli, piante, alberi, pietre e così via, che sono tutti presenti nel disco”.
La sfera sonora si addentra nei meandri dell’impalpabile, dimensioni che si incastrano: sei brani strumentali per la durata di circa mezz’ora, in cui la matrice jazz si tinge di ambient per aprirsi poi a suoni acusmatici, voci viventi del mondo, della natura, della terra, come il fruscio dei rami degli alberi, voci umane, rumore del granito che si sgretola o dello sfregare sulla corteccia di un albero.

Plunge apre questa dimensione sonora introducendoci in uno spazio atemporale che si manterrà intatto per tutta la durata del disco. A parlarci nel greve incipit è un pianoforte che parte lento, alternandosi agli echi di un sintetizzatore, tutto gioca su espansioni, apparenti scordature e riverberi come un giorno piovoso decorato da una lieve nebbiolina. Nel suo dipanarsi il brano si fa più fluido in un crescendo liquido e ampio. Wood si palesa come una tiepida giornata di primavera, una doppia linea di pianoforte che vede la partecipazione della compositrice cino-canadese Yu Su, ci accoglie in uno spazio zampillante in cui irrompono in sottofondo brillanti cinguettii di uccelli. Come se un quadro preraffaellita prendesse vita. Mutate assume le sembianze di un viaggio interplanetario, un’escursione di circa nove minuti. Tutto ruota intorno alla sofisticata melodia jazz del pianoforte che si mescola alla chitarra di Kiran Kai, a fruscii, riverberi, crepitii della corteccia di una betulla argentata, e nel sottofondo un suono sintetico in loop ci fa percepire il fluire del volo nel cosmo. Con Up siamo nel pianeta Terra, ogni segnale acustico percepito si fa testimone di questo ritorno. Il pianoforte, che sempre funge da linea guida, accoglie qui un variegato puzzle di suoni in sottofondo: voci umane, frammenti di conversazioni, screzi granitici di pietre, passi che si avvicinano, un respiro. Sembra di essere sdraiati su un parco ad occhi chiusi visualizzando il mondo circostante attraverso l’udito. Imprevedibile ed anarchico entra in scena Thunder, che irrompe all’improvviso proprio come un tuono. La melodia dell’intero brano muta continuamente. Siamo in repentino bilico fra sonorità lievi, momenti più oscuri e corposi del pianoforte sempre avvolti dagli effetti dal vivo di Fauzia. Drift, che vede la partecipazione di Lamin Fofana ai sintetizzatori e al sound design, conclude questo percorso strumentale a cerchio riportandoci un po’ a quell’intermittente rarefazione distorta  del primo brano.     

Questo “Incontro con un Albero di Giuda” ha tutte le caratteristiche per essere un dialogo con un alter ego o un’alterità, sia essa di specie umana o naturale. Si tratta di un lavoro che, oltre a giungere ai limiti quasi estremi di una minuziosa ricerca sul suono, nell’assenza di testo scritto, fa parlare tutto ciò che non può essere codificato in un linguaggio umano e per tale motivo rompe le barriere del conscio per aprire la percezione a nuove scoperte. L’irrazionale è desto per svelarsi e trasmettere, nel succedersi delle composizioni, un continuo senso di ammaliante stupore e scoperta.      

Tracklist:
01. Plunge
02. Wood (featuring Yu Su)
03. Mutate (featuring Kiran Kai)
04. Up
05. Thunder (featuring Fauzia)
06. Drift (featuring Lamin Fofana)