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Abeat Records

Christian Mascetta Trio – Out of Space (Abeat Records, 2024)

R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Pedron

Christian Mascetta è uno dei più grandi talenti chitarristici della scena contemporanea nazionale. Recente ospite della trasmissione televisiva “Via dei Matti numero 0” condotta su Rai 3 da Stefano Bollani e Valentina Cenni, Christian è sempre più conteso come session-man in ambito pop e jazz e, con la sua formazione ha pubblicato, di recente, l’album Out of Space per Abeat Records, che ha riscosso l’apprezzamento del pubblico e quello della critica e che apre a nuovi orizzonti sonori. Nato a Lanciano in provincia di Chieti, il 31 dicembre 1994, inizia gli studi di chitarra all’età di sette anni. È laureato al Conservatorio Luisa D’Annunzio di Pescara e al Conservatorio Alfredo Casella di l’Aquila. Ha studiato con Roberto Di Virgilio, Rocco Zifarelli e tenuto importanti masterclass con Steve Lukather, Stef Burns, Andy Timmons, Carl Verheyen, Robben Ford, Eric Gales, Fabio Zeppetella, Rosario Giuliani, Enrico Pieranunzi…

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Naviganti e Sognatori – Mare Aperto (Abeat Records, 2024)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

La misurata essenzialità del trio Falomi-Turchet-Trabucco è l’unica bussola che possa guidarci caso mai ci si trovi in Mare Aperto, titolo del loro ultimo lavoro per Abeat Records. Quando gli orizzonti del cielo e dell’acqua si uniscono tra loro e non si può più vedere la terraferma, compare una sensazione di sereno – o ansioso –  smarrimento che chi va per mare conosce bene, dove cadono le maschere ed emergono i tratti della nostra vera personalità. Credo che, anche senza far esperienza diretta in acque lontane, questi tre Naviganti e Sognatori riescano a metaforizzare lo stato d’animo di un musicista – o di un artista in genere – quando, nel proporre le proprie creazioni, si trovi a tu per tu prima di tutto con sé stesso e poi davanti ad un pubblico. Il giudizio della gente rappresenta l’orizzonte degli eventi soggettivi, oltre il quale c’è il Mondo con le sue critiche, i ridimensionamenti o le adulazioni che spesso illudono di aver toccato terra prima del tempo, quando invece il viaggio si dimostrerà ancora lungo e difficile. Mare Aperto è un gran bell’album, vorrei chiarirlo subito, ma eviterei di utilizzare eccessivi toni ridondanti nel parlarne. Troppo facile evocare sensazioni oniriche o incantatorie senza comprendere come alle spalle di questi musicisti, al di là della necessaria ispirazione, ci sia una preparazione tecnica e culturale che spazia in tre dimensioni, comprendendo melodie di derivazione tradizionale, elementi di jazz e di pop mescolati con qualche ingrediente aggiunto, come un pizzico di visione nostalgica e di daydreaming, perché no, se non altro per mantenere fede all’identità nominale del trio.

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Sonia Spinello, Eugenia Canale – Flow (Abeat Records, 2023)

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Recensione di Alessandro Tacconi

La casa discografica Abeat Records di Solbiate Olona, come sempre alla ricerca di ascolti inediti che possano sorprendere l’uditore, ha dato alle stampe un altro gioiello. È il caso di Flow: il nuovo lavoro di Sonia Spinello, che con l’etichetta ha già collaborato per vari progetti ad esempio su Billie Holiday e Stevie Wonder, ed Eugenia Canale, rispettivamente cantante e pianista. La collaborazione le vede in veste di autrici, compositrici e produttrici dei dieci brani dell’album.
Il “flusso” sonoro raccolto in queste composizioni colpisce innanzitutto per il senso della misura e per l’estrema delicatezza. Il passo è moderato, quasi una meditazione, che ci trasporta ogni volta in una dimensione dove il peso della forza di gravità vien meno.
Ciò è possibile grazie a un lavoro di profonda armonizzazione delle singole parti che non eccedono in inutili virtuosismi: testo, strumenti e voci stanno perfettamente in equilibrio uno accanto all’altro.


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Michele Perruggini – Disillusion (Abeat Records, 2023)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

C’è sempre un sottile velo malinconico avvolto attorno alle composizioni del cinquantacinquenne batterista pugliese Michele Perruggini. Anche alcuni titoli tra i brani, valutati nel contesto globale dei suoi tre album fin qui realizzati, tendono in qualche modo a rispondersi, a ricollegarsi l’un l’altro, seguendo qualche traccia nostalgica che in questo ultimo Disillusion sembra emergere con maggior chiarezza. Come si può leggere dal concept allegato alle note stampa, quello che turba Perruggini pare essere la vulnerabilità dell’essere umano di fronte alla marea montante dell’esistenza, ciò che Freud definiva con la nota metafora dell’Io che non è padrone a casa propria. La nostra vera personalità resta infatti compressa tra due forze contrarie. Una parte emotiva, sentimentale e generosa nel suo fantasticare che in fondo costituisce in ognuno di noi il proprio personale romanzo di formazione dell’infanzia e della prima adolescenza. Poi c’è un’altra parte dominata dalla pretesa di un Mondo che sembra disattendere le speranze e i buoni propositi, esigendo un mascheramento continuo, un adattamento crudo e una rinuncia spesso brutale alla realizzazione dei nostri sogni. Da qui la disillusione, quindi il distacco dall’illusione, dall‘in-ludus dei latini, cioè dal tempo del gioco. Perché quando la Storia non insegna nulla e si ripete nei suoi errori, quando ci accorgiamo che è il Male e non il Bene il maggior responsabile di ciò che accade nella realtà, il contraccolpo può essere psicologicamente pesante. A meno che di non saper reagire, di poter trovare tra le pieghe di una vita che pure non è quella che avremmo voluto, un’ipotesi personale di salvezza, come suggeriva del resto la bellissima, simbolica copertina del precedente album di Perruggini, In Volo, del 2019.

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Big Band del Pentagramma / Vito Andrea Morra – G. G. Swing (Abeat Records, 2023)

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Recensione di Aldo Pedron

È oramai assai raro imbattersi in una produzione di una super big band di oltre 20 elementi. La Big Band Del Pentagramma è magistralmente diretta da Vito Andrea Morra (direttore e arrangiatore).
Questo G.G. Swing si rivela un album di gran classe e potenza al tempo stesso. Un organico poderoso formato da eccellenti professionisti che gravitano intorno alla straordinaria struttura dell’Accademia di Musica “Il Pentagramma”, una eccellenza pugliese.

Vito Andrea Morra è un direttore, arrangiatore e chitarrista. Docente di Composizione Jazz al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari. Morra può vantare un solido percorso formativo che negli anni lo ha visto perfezionarsi a Siena Jazz sotto la guida di Giancarlo Gazzani e Bruno Tommaso.

photo © Gaetano De Gennaro

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Vito Di Modugno Quartet With Fausto Leali – Black, White And Blues (Abeat Records, 2023)

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Recensione di Aldo Pedron

Vito Di Modugno (organista, pianista e bassista), è tra le figure più note al pubblico nell’ambito del jazz contemporaneo in qualità di hammondista tra i più quotati a livello internazionale. Apparso ed eletto per tre anni di seguito tra i migliori dieci organisti al mondo dalla prestigiosa rivista americana Downbeat nonché plurivincitore del Jazzit Award come miglior organista italiano. Per l’occasione Vito Di Modugno si fa accompagnare da musicisti di prestigio come Michele Carrabba al sax tenore e soprano, Pietro Condorelli alla chitarra e Massimo Manzi alla batteria a formare un quartetto di tutto rispetto e a cui Vito è legato, ormai, da più di vent’anni. Un inaspettato ma piacevolissimo incontro vede il grande Fausto Leali cimentarsi qui con un repertorio a lui congeniale con alcuni classici del passato e standard di musica nera e bianca (da qui il titolo dell’album). Uno straordinario incontro quello tra Vito Di Modugno e Fausto Leali, ovvero un grande jazzista e una delle voci più riconoscibili ed apprezzate del panorama italiano.

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Michele Fazio World Trio – Infinity (Abeat Records, 2023)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

Un pacato reportage dai territori più melodici del jazz proviene oggi da Michele Fazio World Trio con questo nuovo Infinity, pubblicato da Abeat Records. Per la terza volta dal 2020, Off Topic si occupa di questo pianista pugliese, dopo una prima recensione del suo Free – che potete trovare qui – e una seconda l’anno dopo con Crossover (2021), in coppia con Luca Meneghello – troverete anche quest’ultima sempre qui. L’indole melodica di Fazio trova in questo suo nuovo lavoro una sponda ideale insieme a due tra gli elementi portanti dei Gaia Cuatro, cioè la violinista e cantante giapponese Aska Maret Kaneko – già con il pianista in un cameo in Free – e il bassista argentino Carlos “El Tero” Buschini. Un posto d’onore è riservato all’accordion di Fausto Beccalossi, musicista dal curriculum stellare che ha collaborato con Al Di Meola, Paolo Fresu, Enzo Pietropaoli, Maria Pia De Vito, Gabriele Mirabassi, GianLuigi Trovesi e molti altri. L’indubbia affinità elettiva che lega Fazio a questi scelti collaboratori si basa non solo su quella radice poetica che avevamo già individuato e rimarcato nei lavori precedenti dello stesso pianista ma anche sull’insolito incrocio tra il canto della Kaneko e le trame strumentali riccamente aneddotiche, vere e proprie historiae sonore che s’intrecciano soprattutto per mezzo dei rimandi tra pianoforte e violino, cucite insieme dall’avvolgente basso e dalle macchie di colore dell’accordion. La musica varia in continuazione, sottesa a momenti intensamente melodici, ad accenni di passi tangheri, inserti di puro jazz, ballate dal sapore pop ed altre suggestioni di cadenze tradizionali soprattutto di stampo latino. Naturalmente l’engramma dei Gaia Cuatro è molto forte in certi punti e non avrebbe potuto essere diversamente dato il contributo fondamentale della Kaneko e di Buschini. Il lessico complessivo, pur essendo abbastanza elaborato, risulta sufficientemente scorrevole all’ascolto e sembra puntare molto all’espressionismo lirico, piuttosto che ad una riflessione introvertita.

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Antonio Artese Trio – Two Worlds (Abeat Records, 2022)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

Percorrere in lungo e in largo le tracce di questo Two Worlds di Antonio Artese Trio è un esercizio ritemprante. Come tirare un respiro profondo dopo un’immersione in apnea. Un po’ perché l’autore non raccoglie l’angustia di molto jazz contemporaneo, di quello più provocatoriamente dissonante, per capirci. In secondo luogo perché ci troviamo di fronte ad un’opera molto ben armonizzata in cui si percepisce senza sforzo la forte impronta classica che condiziona, con i suoi aromi altresì consonanti, la tessitura ariosa e nitida di questa musica. La dolcezza eufonica, l’espressivo scorrere dei suoni e il nucleo leggero delle composizioni fanno sì che si realizzi una vera e propria jazz-therapy, quasi un’azione lenitiva sul nostro stato psico-fisico o, se preferite, una moderata ed effervescente stimolazione del tono dell’umore. Ma dobbiamo ben intenderci su quest’ultimo punto. Two Worlds è un disco jazz, non un gingillo new-age e come tale riconosce una serie di crediti piuttosto evidenti, direi suddivisi a metà tra certo pianismo duttile e velatamente romantico alla Bill Evans e un’impronta non sfacciata ma piuttosto percepibile di estetica nordico-scandinava. I due mondi di cui parla questo album, qualunque essi siano e pur potendo essere interpretati in ottiche diverse, non sono in opposizione uno all’altro, bensì in reciproca, fluida continuità. Così se da una parte si avverte l’educazione classica – tutti i componenti del gruppo hanno in comune il diploma al Conservatorio di S.Cecilia in Roma – dall’altro lato colpisce l’impostazione jazzistica che corroborata da soggiorni e master negli U.S.A da parte di ognuno dei tre musicisti, rappresenta la vera anima narrante di questo lavoro. Le succitate influenze, così apparentemente differenti, s’intercalano tra loro come se le reciproche prospettive diventassero interpretabili da un unico punto di vista. Lo stesso intendimento potremmo riscontrarlo nel penultimo brano in scaletta di questo disco, quello che vede l’italianissima tradizione del melodramma – nello specifico un estratto dalla Madama Butterfly – a confronto con la scioltezza di un interplay tipico di un buon gruppo jazz, cioè portatore di una cultura musicale di radici e sviluppi assai diversi. Nessuna opposizione, comunque, ma una sintesi direi quasi hegeliana tra mondi apparentemente antitetici eppure così ben compenetrati uno nell’altro.

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Federica Lorusso – Outside Introspections (Abeat Records / ZenneZ Records, 2022)

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Recensione di Riccardo Talamazzi

Non so in che misura la lontananza dalla sua terra d’origine, la Puglia, abbia condizionato Federica Lorusso nella preparazione di questo suo esordio discografico. Del resto il titolo dell’album con cui si presenta presso Abeat Records e ZenneZ Records, Outside Introspections, suggerirebbe una sorta di tensione interiore che la pianista – e brava cantante, come vedremo – ha cercato di estrovertire provando a mettere in comunicazione il suo passato vissuto in Italia con il presente attuale che la vede residente in terra olandese. Abitando ad Amsterdam, dopo aver studiato musica a L’Aia nel Royal Conservatory of the Hague, Lorusso deve aver provato almeno in parte quel sentimento nostalgico che afferra chi si trovi stabilmente lontano dai territori d’origine, qualunque ne sia il motivo del distacco. Ma il modo più corretto per legare passato e presente, almeno per un artista, è quello di trasmutare alchemicamente questi due opposti – per crucem ad rosam – e ottenere attraverso la capacità creativa una sintesi soddisfacente, un risultato che componga memoria e attualità in un unico accordo armonico. Ed è appunto di accordi e di armonie checi troviamo a scrivere in questo contesto. Lorusso è un’ottima pianista dal notevole tocco e ciò lo si avverte fin dalle prime battute, questo per mettere in chiaro da subito la caratura di questo esordio. Ma quello che mi ha in parte piacevolmente sorpreso è il canto dell’Autrice, una vocalizzazione che compare in qualche episodio dell’album e che dimostra soprattutto un’intonazione perfetta e una timbrica trasparente, molto gradevole e sicura nell’estensione vocale. Leggo infatti nella sua home page che gli studi di questa musicista vertevano originariamente proprio sul canto e che solo in un secondo tempo è nato l’interesse per il piano e per il jazz, sostenuto, in questo, dagli insegnamenti di Vito di Modugno. Non mi stupirei se in una prossima prova si potesse ascoltarla, oltre che come brillante pianista, anche come una vera e propria cantante, non più solamente occasionale come in questo contesto. Il pianismo dell’artista è piuttosto personalizzato, non riesco infatti a riscontrarvi dei chiari riferimenti diretti ma si percepisce come il suo modo di suonare porti i segni d’una ben avviata educazione jazzistica. La musica di questo album appare a larghi tratti come saldamente legata alla tradizione del jazz più classico ma in altri episodi non rinuncia ad avventurarsi in territori di confine, rivelando stati d’animo che tradiscono una certa inquietudine ed la smaniosa curiosità intellettuale degli stessi esecutori. Chi si aspettasse un’attenzione focalizzata alla melodia tipicamente mediterranea potrebbe rimanere un po’ deluso perché l’impressione che lascia questa incisione è quella di appartenere per lo più ad un’identità non necessariamente solo europea – anche se a tratti affiora giustamente qualche riflesso più italico, soprattutto nei vocalismi – sottolineando così il profilo cosmopolita di questo lavoro. I musicisti che le si affiancano formano un quartetto ben coeso e sono Claudio Jr. De Rosa al sax tenore e al clarinetto, David Macchione al contrabbasso ed Egidio Gentile alla batteria.

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