R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Musicalmente parlando, Luca Meneghello e Michele Fazio sembrano fatti l’uno per l’altro. Non solo perché sono accomunati da una lunga gavetta, soprattutto a fianco di grossi nomi della musica leggera – stiamo parlando di Mina, Patty Pravo, Enzo Jannacci, Antonella Ruggiero, Fabio Concato ecc… insomma mica nomi qualunque – ma anche perché l’allineamento planetario che li ha portati a collaborare insieme ha fatto sì che i due manifestassero una reciproca complementarietà, dato non necessariamente così scontato nei rapporti professionali tra musicisti. Lavorando a contatto con cantanti famosi che sono, di regola, abituati a produzioni non risparmiose e a esigenze diverse, Meneghello e Fazio devono aver appreso l’arte della sintesi, la capacità di sbrigarsela con poche e convincenti note nei loro interventi, quelle che servono a sostenere una canzone normalmente di tre-quattro minuti. Niente mi toglie dalla testa però che, vuoi per formazione, vuoi per naturale disposizione, in entrambi alloggi una decisa caratura jazzistica, con un modo di pensare, di sentire la musica, di scorrerla sotto le dita che ha lo swing tra le proprie sillabe e nell’articolazione del loro linguaggio. Con gli opportuni distinguo, però. Se Meneghello tradisce nei suoi fraseggi l’aver digerito anche la lezione di gran parte dei guitar hero della storia della fusion e del rock – e non solo gli insegnamenti del grande Joe Diorio che leggo tra i suoi maestri – Fazio, dal canto suo, con un curriculum che l’ha visto autore di importanti colonne sonore, mantiene un’impronta molto melodica, quasi romantica, ed è la componente più zuccherina della salsa agro-dolce che assaggiamo in questo disco, Crossover, appena sfornato dalla cucina della Abeat.

La piacevole esuberanza della chitarra di Meneghello suggerisce una larga impronta di autori che vanno da Larry Carlton e Lee Ritenour, da una parte, con qualche tocco alla Pat Metheny, ma che arriva fino a Carlos Santana dall’altra, visto che a Meneghello garba spesso e volentieri un certo timbro distorto e prolungato, peraltro condotto con equilibrio e senso della misura. Di Fazio – recensimmo lo scorso anno qui su Offtopic il suo album Free – non posso che ribadire la mia stima per ciò che riguarda l’estrema pulizia sonora del suo piano e la lettura leggera e disinvolta che garantisce a tutti i brani presenti in questo lavoro. Accanto ai due titolari operano con un’impeccabile punteggiatura ritmica il contrabbasso e anche il basso elettrico di Alex Carreri e la batteria di Martino Malacrida.
L’album si apre con Natural Instinct, chitarra con sustain preceduta da un rapido gocciolio di note, col piano subito sotto a sostenere con levità la dichiarazione d’intenti di Meneghello: eccolo qui, il suo istinto naturale, verrebbe da dire. Suoni fluidi, ficcanti e prolungati che vanno piacevolmente ma prevedibilmente a finire in rapide scale, masticate velocemente e con focosa passione per lo strumento. Menefazio, come questo titolo suggerisce, trova un tempo più atmosferico e rilassato in cui i due musicisti possono dialogare in serenità ma la chitarra è sempre nervosa, morde il freno e vuole correre. Qui affiora l’impressione del rock che avvinghia le sei corde come un’edera rampicante. Ascoltiamo inoltre una fantastica ritmica, sia per la gamma dinamica e gonfia di armonici del basso e sia per l’energica frammentazione del drumming di Malacrida. Crossroads inizia con qualche nota “desertica” in lontananza dalla chitarra, un discretissimo scampolo di tastiera elettronica sullo sfondo e il piano con la sua solita grazia a medicare i graffi discorsivi di Meneghello che qui s’identifica parecchio in un certo clima chitarristico, che a tratti ricorda il Jeff Beck degli ultimi anni. Si cambia decisamente tono con Trouble in Paradise. Qui siamo più vicini al sentire di Fazio, con un assetto melodico che potrebbe benissimo far le veci di colonna sonora per un film immaginario. La chitarra, da par suo, rispetta il clima di fondo e pur con qualche intrigante nervosismo cerca di seguire a suo modo la traccia melodica. Trova spazio anche un breve ma espressivo assolo di contrabbasso.

Southern Land è il brano più vicino, dal punto di vista chitarristico, a Carlos Santana, non solo per i ritmi vagamente più latini ma anche per la ricerca di suoni lunghi e spesso distorti che si distendono su una base ritmica movimentata dalla bella fantasia percussiva di Malacrida. Il piano insiste su un approccio ritmico ostinato con accordi “cubani” che mi agganciano a certi intendimenti alla Michel Camilo. La corsa rallenta con Journey of the soul. I viaggi dell’anima, si sa, sono sempre un po’ complicati e instabili ma qui, nello specifico, tutto appare più chiaro e semplice, con solo qualche sussulto ogni tanto. La linea melodica seguita spesso in sincrono dai due strumenti principali è cantabile, liquida, anche se sul finale l’acidula voce della chitarra riemerge con un certo piglio. Finalmente riusciamo ad ascoltare, in Amsterdam, Meneghello all’acustica, in un toccante viaggio a volo d’uccello sulla città olandese, insieme a note però sempre molto melodiche e mediterranee, quasi una lettura latina di un pezzetto di nord-europa rivisitato da una sensibilità più meridionale. Piano e tastiere a dar colore con un olio molto stemperato nella trementina, per intenderci sulle sfumature. Si finisce con uno standard arcifamoso, Stella by star light, che si avvale di un intro arpeggiato prima di affrontare il romanticissimo tema di Victor Young e Ned Washington. Il brano, originariamente, prima di diventare uno degli standard più riprodotti sul pianeta, faceva parte della colonna sonora del film “La casa sulla scogliera” (1944), dove l’attore gallese Ray Milland suona al piano questo tema dedicandola a Stella, il personaggio femminile del film. Lo stesso tema verrà poi trasformato in canzone due anni dopo per l’intervento del suggestivo testo di Washington. La versione offerta dal duo Meneghello-Fazio è tenera ed onesta. La sequenza del brano si affida ad un primo tema enunciato dalla chitarra cui segue l’improvvisazione al piano. Alla seconda volta in cui il tema viene riproposto, sempre alla chitarra, fa seguito un’altra improvvisazione in cui Meneghello può sfogare il suo “istinto naturale” e chiudere l’album in bellezza. Il suono poroso di questa chitarra, pur nella sua generosa esposizione, manca però di un pizzico di originalità in più, quella che potrebbe identificare uno stile ancora da definire nella sua totalità. Trovo più maturo l’approccio pianistico di Fazio, quel suo modo discreto di porgere le note che contribuisce alla lettura spigliata dell’intero lavoro. Al di là, comunque, di queste opinabili discussioni, resta il carattere agile di una lettura musicale, senza rivoluzionarie interpretazioni stilistiche, ma con una comunicazione sincera e naturale diretta al puro piacere dell’ascolto.
Tracklist:
01. Natural Instinct
02. Menefazio
03. Crossroads
04. Trouble in Paradise
05. Southern Land
06. Journey of The Soul (dedicated to Marco Mangelli)
07. Amsterdam
08. Stella by Starlight
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