Articolo di Luca Franceschini, immagini sonore di Claudio Salvietti

Un mese e mezzo dopo la data di Collegno, torno a vedere l’accoppiata Carl Brave X Franco 126, impegnati al Carroponte in una delle ultime date della leg estiva di un tour che pare non voglia saperne di finire.
D’altronde il successo che i due romani stanno avendo giustifica tutto questo girare l’Italia in lungo e in largo: non sono ancora arrivati ai palazzetti ma per il momento questo progetto nato come collaborazione estemporanea all’interno della crew 126, rappresenta una delle cose più interessanti che abbiamo in Italia, almeno per quanto riguarda il mondo indipendente.

Generazionali, senza dubbio (il Carroponte è anche questa sera gremito di gente e l’età media appare decisamente bassa) ma con un modo di raccontare la vita e di mescolare linguaggi musicali diversi, che denota una certa maturità.
È stato scritto che hanno avuto il merito di unire Rap e “It Pop” (ormai dicono tutti così, adeguiamoci, ma solo perché si capisca di che cosa stiamo parlando), due mondi che prima non si parlavano: può essere una possibile chiave di lettura anche se rimango convinto che il segreto del successo dei nostri stia in una narrazione del quotidiano che non diventa mai trivialità come accade in altri casi ma che lo ammanta di una patina di nostalgia, a sprazzi anche poetica, che è l’ideale per favorire l’immedesimazione.


Se aggiungiamo una componente musicale solidissima, con canzoni senza dubbio tutte uguali (questo sarà un bel problema da risolvere, se vorranno continuare) ma dotate di una gran quantità di melodie vincenti, e un live dove l’elemento “suonato” si prende la totalità dello spazio (inusuale, negli artisti di questo giro), capiremo che quello che abbiamo di fronte non è un fenomeno né estemporaneo, né inspiegabile. Detto più semplicemente: se lo stanno meritando, di essere lì dove sono.
Lo spettacolo è ovviamente identico a quello del Flowers Festival, anche se a conti fatti ci sarà una canzone in più. Allestimento scenico di grande impatto, il palco decorato con schermi che proiettano visual tematici per ogni canzone e i videoclip di alcuni dei brani che vengono suonati.
Anche la formazione è la stessa: oltre alla sezione ritmica, tre chitarre e due fiati (tromba e sax) per un totale di sei elementi sul palco. Una piccola orchestra, quasi, che fornisce il supporto ideale alle scorribande sul palco di Carlo e Franco.
Ecco, probabilmente qui sta il più grosso problema dello show.

Intendiamoci: stiamo comunque parlando di un act che dal vivo tiene un buon livello, cosa che non si può dire proprio di tutti i nuovi nomi che si sono affacciati alla ribalta negli ultimi anni. Il problema, però, è il solito che avevamo già rilevato: loro due devono imparare a bilanciarsi meglio (le loro voci insieme proprio non si possono sentire, funziona su disco ma dal vivo risulta troppo confusionario) e a cazzeggiare di meno, stando più attenti a quel che accade sul palco e a interagire maggiormente con i musicisti. Per carità, non ci sono state grandi imprecisioni o stonature (l’autotune poi aiuta parecchio in questi casi) ma spesso l’impressione era quella che loro due fossero da una parte e la band da un’altra. In questo ci ha messo la sua anche il pubblico, poco attento all’aspetto musicale della faccenda, come spesso accade in questi casi, più teso a cantare i testi e a tributare ovazioni ai propri beniamini. Non è un male di per sé e bisogna anche sottolineare come questa sera la gente si sia anche comportata bene, nonostante la consueta orgia di telefonini.
Eppure, questo è uno spettacolo dal valore musicale notevole, mentre più di una volta si è avuta come l’impressione che questo dato passasse in secondo piano. Colpa anche dei volumi ridicolmente bassi (ma da quand’è che è iniziato questo trend? Perché ormai non è la prima volta che mi trovo a scrivere una cosa del genere) e di esecuzioni quasi sempre identiche alle versioni in studio, laddove un po’ più di spazio all’improvvisazione e alle divagazioni strumentali sarebbe stato lecito darlo.


Al di là di questi difetti, il concerto è stato bello e coinvolgente. Milano è un po’ la loro seconda casa, Milano è il centro musicale più importante della penisola e a Milano era lecito attendersi qualche ospite, tra i tanti che hanno incrociato la loro strada. Durante la consueta parentesi dedicata a “Notti brave”, il disco di Carl Brave uscito qualche mese fa, arriva infatti Fabri Fibra, che duetta con lui in “Fotografia” (peccato per l’assenza di Francesca Michielin, che avrebbe reso questo brano il momento migliore della serata) ed è abbastanza per mandare in delirio il Carroponte. Segue a ruota un’ottima “Chapeau”, con Frah Quintale direttamente presente a cantare la sua parte, mentre purtroppo la stessa cosa non accade con “Camel Blu”, dato che Giorgio Poi è a Los Angeles in compagnia dei Phoenix. Per il resto, la porzione di spettacolo che ha visto Carlo impegnato in solitaria si è anche rivelata la migliore. Sarà perché vengono proposti alcuni dei brani più riusciti del suo repertorio (“Pub Crawl”, con le sue chitarre flamencate e il suo collage di istantanee da una Roma immersa in una quotidianità soporifera; “Noi”, che parte come soffusa ballata acustica a luci spente, per poi sfociare in un’esplosione elettrica con tanto di solo di chitarra) ma anche perché, come già avevo fatto notare parlando del concerto di Collegno, non ci sono quelle fastidiose doppie voci che, lo abbiamo capito, non funzionano proprio.


Un altro ospite arriva nel finale: non è Coez, come moltissimi dei presenti avrebbero voluto (“No ragazzi, calmi, non c’è – scherzano i due al momento di eseguire “Barceloneta” – la sua parte la dovrete cantare voi tutti assieme!”) bensì il molto più importante Noyz Narcos che, maglietta dei Public Enemy in bella evidenza, partecipa all’esecuzione di “Borotalco”, il brano del suo ultimo disco “Enemy”, che ha visto il featuring dei due 126. Una bellissima rilettura, tra l’altro, con le chitarre a riprodurre il tema sinistro della base, affidata alle tastiere nella versione in studio.
In mezzo a tutto questo, il solito copione, con “Polaroid” eseguito per intero, assieme ai successivi singoli: le varie “Solo guai” (che apre), “Medusa”, “Lucky Strike”, “Polaroid”, “Enjoy”, “Alla tua” e tutte le altre, in un clima festoso sottolineato da applausi e grandi singalong. Si chiude ovviamente con “Pellaria”, il cui ritornello viene furbescamente ripetuto più volte, anche più del necessario, col microfono consegnato alle prime file (risultati dubbi ma vabbeh, siamo alla fine) e i musicisti sul palco che cazzeggiano allegramente, bevendo e scroccando sigarette.
Gran serata, in definitiva. Se Carl Brave X Franco 126 saranno destinati a scrivere un capitolo più ampio di quello che hanno già scritto, lo dirà solo il prossimo disco. Nel frattempo, la sensazione che un album come “Polaroid” possa ambire allo status di classico è decisamente forte. Non è poco, per due che solo tre anni fa non si sapeva chi fossero…