I N T E R V I S T A


Articolo di Iolanda Raffaele

Il Coronavirus non ferma la musica, né Off Topic che ha intervistato Massimo Martellotta, compositore, chitarrista e tastierista della straordinaria band Calibro35 per parlare di Momentum e conoscere il suo pensiero su questo periodo difficile.

A distanza di due anni, i Calibro35 ritornano in grande stile con ‘Momentum’, uscito il 24 gennaio per l’etichetta milanese Record Kicks. Vogliamo parlare di come nasce questo album e di qual è il suo rapporto con ‘Decade’, consacrazione di ben 10 anni di carriera…
Momentum nasce alla fine del tour dello scorso disco Decade del 2018, l’unica volta in cui abbiamo fatto un po’ di autocelebrazione. Decade è stato fatto con l’intento di trattarci bene e di fare un disco che potesse celebrare in parte quello che avevamo già fatto. Ci trovavamo in realtà con un album orchestrale di tutti pezzi originali, quindi, è stata un’ulteriore esplorazione dei campi sonori. Dopo quel disco avevamo voglia di tornare ad una situazione più asciutta, solo noi senza musicisti aggiunti, e addirittura siamo anche ritornati nello stesso studio in cui avevamo registrato il primo disco. È stata una cosa casuale, ma anche in parte karmica, perché è stato lo studio in cui è veramente nato tutto.

Ci siamo ritrovati a pensare una forma sonora dei Calibro calata in questo momento storico e quindi avevamo voglia, oltre che di ritornare in formazione asciutta, di provare a vedere come avrebbe suonato un disco dei Calibro calato nel presente. L’intento è stato un po’ questo e la differenza con Decade principalmente è stata un rimettersi in gioco, una sorta di Calibro 35 2.0 al quale siamo arrivati dopo aver maturato in dieci e passa anni di attività un suono che è nostro, che anche noi abbiamo nel Dna. Momentum è un disco in cui senti che sono i Calibro, ma che ti spiazza.

È un undicesimo album che unisce cinque personalità ricche di esperienza e creatività. Quale aspetto di voi avete voluto valorizzare di più in questo lavoro collettivo?
Tutti i dischi dei Calibro si nutrono delle cinque personalità dei loro componenti. È un progetto che ha la sua forza in questa estrema eterogeneità delle nostre competenze musicali e curiosità. Si tratta di competenze per le quali nel momento in cui siamo fuori dai Calibro esplodiamo per nostra ricerca personale e che quando siamo con i Calibro è bello vedere maturate in ognuno. Tornare in studio e vedere dopo qualche mese che cosa e che bagaglio portiamo di nuovo, che cosa abbiamo trovato nei viaggi veri o metafisici che abbiamo fatto è stata da sempre una molla per noi. Abbiamo, quindi, mischiato tutto ciò che sono le esperienze che facciamo anche fuori dai Calibro, ognuno con la propria carriera, e credo che siamo estremamente fortunati perché poter usare i Calibro come laboratorio ulteriore è da sempre stato fonte di grande divertimento per tutti quanti.

‘Stan Lee’ è il titolo del primo singolo di questa nuova produzione. Cosa rappresenta e perché avete deciso di affidargli questa funzione di apripista?
È un brano che ho scritto dopo aver ascoltato tanto materiale di quello che c’è adesso in giro, la nuova scena jazz che ormai è diventata una parola fortunatamente molto ampia, però è legato molto alla tradizione, perché ha un reef soul in cui, da subito, abbiamo pensato che ci sarebbe stato bene provare ad affrontare un linguaggio che non avevamo mai affrontato, quello del rap. Ci hanno campionato nel tempo Damon Albarn, Dr. Dre e Jay Z., così ci abbiamo pensato, dato che è un genere che incontra il gusto di una buona parte di noi, come linguaggio e come estetica, ma anche semplicemente dal punto di vista musicale, e abbiamo proposto ad Illa J. di partecipare e di provare a fare rap ed è stata entusiasta ed è andata così.
È stato il primo singolo, non è il primo pezzo del disco proprio perché rappresentava una forte novità, nel senso senti che sono i Calibro, perché il reef e l’andamento è molto simile ad altre cose, fa parte del nostro linguaggio, è un po’ più black, ma è assolutamente funk, però abbiamo voluto dichiarare che sarebbe stato un disco differente e credo che abbia abbastanza funzionato. La cosa ha spiazzato e ovviamente qualcuno era addirittura spaventato, ma questo succede quando uno si fissa un po’ su delle categorie concettuali. Ecco perché, dunque, è stato il primo pezzo che abbiamo usato come apripista.

Un album pazzesco e un artwork intrigante e un po’ inquietante, frutto dell’ingegno di Luke Insect. Che corrispondenza c’è, se c’è, tra contenuto e contenitore?
A proposito dell’artwork è stato un po’ difficile, essendo il primo disco in cui non avevamo un concept vero e proprio e abbiamo dovuto darci dei riferimenti che urlassero moderno, per comunicare che era qualcosa di nuovo, che non era legato per forza agli anni sessanta o settanta che tra l’altro è una scelta che facciamo da un paio di dischi.
A parte S.P.A.C.E. che è stato concettualmente il primo disco in cui abbiamo preso una deriva che non fosse solo quella dell’inseguimento tra i poliziotti e Decade in cui abbiamo usato un’architettura radicale come immaginario estetico per spostare un po’ di più, in questo caso era più difficile trovare un riferimento e diciamo che ci siamo dati un po’ degli imput che potessero essere, usando un esempio, la serie di Black Mirror con degli scenari distopici e glitchati, ossia di qualcosa che sembra essere successo veramente perché è molto realistico, ma che poi nella realtà non è successo, oppure scopri che quello che stai vivendo è il glitch di qualcos’altro. Questo tipo di tematiche, prese in maniera più leggera, sono state quelle che ci hanno ispirato e i concetti che abbiamo dato all’illustratore, il quale ci ha presentato la prima copertina e un’alternativa, ma la prima proposta ha convinto tutti.
In un progetto musicale abbiamo imparato, infatti, che sicuramente è anche importante l’aspetto del contenitore, oltre che del contenuto, perché, soprattutto in un gruppo strumentale come il nostro che non ha testi, la componente grafica e i titoli sono una grossa parte della comunicazione, di come veicoli la musica. La musica è tutto l’immaginario che si porta dietro, ecco perché credo che in ogni progetto musicale anche il contenitore è molto importante.

Il periodo storico non è di sicuro rassicurante con il dilagare del Covid-19 e la musica, come l’arte e in generale la cultura ne ha risentito. Quale è la tua e la vostra risposta da musicisti?
La situazione è abbastanza paradossale. Devo dire che io sono veramente un ottimista, nonostante sia tendente alla malinconia, credo che in ogni cosa, in ogni sfida difficile ci sia un risvolto positivo. I momenti di crisi sono quelli più difficili, ma anche quelli che ti forzano a trovare delle soluzioni alternative a dei problemi che prima risolvevi in un modo e questo è sempre un bene perché ti porta ad usare le risorse che hai in maniera nuova, completamente diversa e a volte a trovare delle soluzioni migliori. Vedo, quindi, un’esagerazione – ma ci sta – delle dirette on line, di tutti gli artisti che le fanno, che tuttavia fa bene, tiene compagnia a se stessi prima di tutto e alla gente a casa.
Ci sono dei momenti di chi tende a condividere con il mondo la propria felicità, la propria ironia e di gente invece che sta perdendo i propri cari. Io abito a Milano e ho la fortuna di stare a casa bene con la mia famiglia e i miei figli e penso a chi non ha questa possibilità e ai morti che ci sono, quindi, secondo me ogni tanto i toni andrebbero ridimensionati e non so quanto possa essere interessante, a lungo andare, vedere come la gente passa la giornata in casa propria.

Superata questa emergenza quali saranno i prossimi appuntamenti ed impegni, oltre a godervi la libertà come tutti noi, e qual è il messaggio che ti senti di dare?
Gli impegni, non lo so, intanto superiamo l’emergenza che al momento è questa ed è importante. Il messaggio, che mi sento di dare, è di collaborare tutti quanti, di starsene a casa, come viene detto dalle autorità e, se possibile, non vi nutrite di controcultura a caso, perché la controcultura è qualcosa di ben preciso, non le sciocchezze dette da paragiornalisti, da paramedici e paracomplottisti.
In definitiva”Ragà statevene a casa”!

Grazie, in bocca al lupo per Momentum e speriamo di abbracciarvi presto in tour…