R E C E N S I O N E
Articolo di Alessandro Berni
L’inizio è di quelli che ti inchiodano. God Gave Me Horses è la tipica ballata roots che conquista l’ascoltatore attirandolo dentro brughiere e lande sconfinate. Un’aria docile e balsamica con l’accompagnamento che mima il passo leggero di una tranquilla cavalcata, andando a fissare nel tempo e nella storia personale un momento di contemplazione e riflessione sull’itinerario coperto. A seguire Something Worth Leaving Behind è spettacolare nella sua nuda semplicità di corde sfiorate e di linea melodica a cuore aperto che illumina di nuovi aromi la tradizionale vicenda del folk-rock, con le tipiche cadenze post-adolescenziali della nostra in evidenza.
Leigh Nash ha quel modo meraviglioso di prendere di petto il tempo che stiamo vivendo, affrontandolo a viso aperto ma con quel particolare approccio timido e umile che si potrebbe chiamare “discografia di sopravvivenza”.
La sua è una storia che sembra anticipare i tempi duri in cui siamo immersi. La sua crisi e la sua lotta partono da lontano, dalla fine di un 2018 che la vede lanciare una nuova campagna di fundraising mirato, non quello ad obiettivo minimo, ma a preordini liberi della Pledgemusic. Tra la fine di quell’anno e i primi mesi del 2019 il settore già mostra la corda dopo tempi apparentemente floridi. Le richieste non sono più quelle di pochi anni prima e la piattaforma fallisce. E’ già la fine di un’epoca e anche chi fa fundraising in senso proprio non se la passa meglio, dovendo rivedere con frequenza sempre maggiore piani e obiettivi minimi sempre più sforati per difetto.
Il cosiddetto sopravvivere non è dunque un lasciarsi vivere, ma il tentativo di afferrare un “sopra”, una prospettiva alta che renda giustizia al proprio desiderio di essere vergognosamente felice. Tanto da augurarlo a se stessa e ancor di più agli altri. Proprio come un tempo gridava al mondo la Judy Garland del musical movie “L’Allegra Fattoria”. Si apre una strada da ultimo percorsa sempre di più dagli artisti, quella del pubblicare poco e bene, con il formato EP (album di cinque-sei canzoni) che torna prepotentemente in voga. Get Happy, titolo del nuovo lavoro, suona in questo contesto come una esortazione dal potenziale universale. Rivoluzionario per questi tempi di angosce, paura di vivere, fallire in solitudine, alla ricerca sempre più pressante dell’abbraccio di qualcuno che risollevi e ci faccia sentire preziosi e irrinunciabili ogni giorno.
Mentre si paventa un ritorno del gruppo madre Sixpence None The Richer per la fine dell’anno (e c’è davvero da chiedersi come potrà avvenire) e viene reinterpretata per questo disco la celebre Kiss Me in occasione del suo ventesimo anniversario, la scrittura della Nash si mostra sempre più matura e definita, in una sorta di avvicinamento a quella del compare ed eccellente testa pensante della band madre Matt Slocum. Altrettanto e forse ancora meglio dei risultati raggiunti nel predecessore datato 2015 “The State I’m In”, la creatura canzone scorre come se provenisse da un’alchimia misteriosa a portata di mano per essere afferrata e decodificata. La melodia, il sommesso apporto ritmico, l’asciutto sviluppo armonico rendono ragione di una coscienza artistica personale sempre più vivace e vigile. Le altre tre nuove canzoni sono lì a dimostrarlo. My Love My Drug, ancora nella sua ritmica che pulsa sottotraccia, lascia spazio ad un tema che diffonde arie e venti di sapore dolcemente etnico. Don’t Let Me Die in Dallas, largo pieno di percezioni nostalgiche con dedica al padre, libera il ricamo generoso delle chitarre. Si ammicca alla canzone d’epoca con un fremito pianistico iniziale che si arresta prima di addentrarsi in un territorio marcatamente honky tonk, che ha modo poi di sfogarsi nei glissati della title track Get Happy. Qui la Nash si trasforma in una variante della Garland, secondo la mediazione offerta dalla Reneé Zellwegwer del film Judy. E’ un commiato sotto forma di esortazione che fa incontrare la leggiadria delle dive della canzone anni ’50 con le sfumature scure di Karin Bergquist (la Nash oltre ad essersi esibita di recente con gli Over The Rhine, è cresciuta vocalmente negli anni seguendo le orme della cantante della band) attualizzando e facendo vibrare nel presente la promessa di felicità contenuta in quella musica. E’ il modo più desiderabile e attraente per renderci parte di quella promessa.
Tracklist:
1. God Gave Me Horses
2. Kiss Me (20th Anniversary Edition)
3. Something Worth Leaving Behind
4. My Love My Drug
5. Don’t Let Me Die in Dallas
6. Get Happy
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