R E C E N S I O N E


Articolo di Cinzia D’Agostino

Ebbene sì, Ed O’Brien è il chitarrista dei Radiohead. Il nome vi diceva poco vero? Messo a fianco a Thom Yorke e Jonny Greenwood è il componente meno quotato e ridondante del gruppo, quello che rimane sempre un po’ nell’ombra ma che, quasi in punta di piedi, ha sempre arricchito con i suoi suoni di chitarra, percussioni e cori i brani di una delle band più celebri del globo.
Succede che, dopo anni “al servizio delle canzoni di Thom e dei suoi testi”, una lunga permanenza in Brasile con la sua famiglia, lontano da cellulari e tecnologia, gli fa trovare uno stato di illuminazione e la spinta giusta per spiegare le ali e volare da solo. E il risultato è stato un meraviglioso decollo che ha saputo pilotare in maniera sorprendente, anche con l’aiuto di validi collaboratori come Flood in primis nella registrazione (U2, Depeche Mode), e avvalendosi di musicisti come Adrian Utley (Portishead) alla chitarra, Omar Hakim alla batteria, Nathan East al basso.

Il disco intitolato Earth e pubblicato il 17 aprile sotto lo pseudonimo di EoB, ha avuto ben 8 anni di gestazione, un po’ per gli impegni con i Radiohead che lo hanno assorbito intensamente, un po’ per una sorta di insicurezza che lo ha fatto camminare con molta cautela fino alla consapevolezza, passo dopo passo, della propria capacità vocale e compositiva. Ed è infatti così che bisogna leggere questo primo lavoro solista, un percorso interiore e fisico, nel quale un’artista che ha sempre fatto parte di un insieme, finalmente si misura con se stesso prendendo coscienza dei propri bisogni, dei propri limiti e delle idee che attendevano di uscire dal guscio e dipingere in assoluta libertà quella tela vuota.
È un disco eclettico, che spazia notevolmente da ballate oniriche, a folk, a rock classico con una spinta elettronica assolutamente coinvolgente per chi ha vissuto intensamente gli anni 90.
Shangri-La che apre l’album, avvolge con sonorità da brividi che accendono il ricordo di Reckoner attraversando The Fly degli U2. Sarà per la collaborazione di Flood, ma questo pezzo ha un po’ dimostrato un mio vecchio pensiero basato sul fatto che i Radiohead fossero nati da dove gli U2 si sono fermati con Achtung Baby. Anche la voce di O’Brien fa la sua parte, molto più vicina a quella di Thom rispetto a quanto si potesse immaginare, così come riecheggiano le melodie di Paranoid Android in un  brano come Banksters. Un’assonanza che fa molto riflettere su quanto contributo ai Radiohead abbia dato quest’uomo defilato e ben vestito, sulla penombra di un palco.
Ma Earth non è cosparso di sole rimembranze, quanto invece di una spiccata originalità, con brani che partono con delicati arpeggi che virano improvvisamente in un viaggio ipnotico come nella lunga e psichedelica Brasil, o con la sognate chitarra acustica di Long Time Coming. Una giusta dose di elettronica nella trascinante Olimpik fa venire voglia di ballare e abbandonarsi nello stesso tempo, dominati dalle percussioni insistenti per poi farsi rapire da una chiusura poetica, folk e “pinkfloydiana” nei vocalizzi in Cloak of the night in duetto con Laura Marling.
La poliedricità, la magia brasiliana che si delinea nei ritmi a tratti ossessivi, il passaggio dalle sonorità rock sempre gradite e un cantautorato elevato, rendono questo album uno degli ascolti più sorprendenti degli ultimi tempi. Bravo Ed, con l’augurio che questo disco possa essere presto fruito live, intanto penso a quando, al prossimo concerto dei Radiohead, cercheremo la tua figura sul palco, tenendo le orecchie ben tese per meglio catturare i tuoi suoni.

Tracklist:
01. Shangri-La
02. Brasil
03. Deep Days
04. Long Time Coming
05. Mass
06. Banksters
07. Sail On
08. Olympik
09. Cloak of the Night