I N T E R V I S T A


Articolo di E. Joshin Galani

Il suono di Marok e le liriche di Edda: due imprinting molto riconoscibili, due talenti singolari che si sono uniti dando vita ad un album Noio; volevam suonar. Inarrestabile il fermento musicale di Gianni Maroccolo che anche questa volta sceglie l’amore per la condivisione. La sua sensibilità e genialità musicale è arte prolifica, che si snoda in percorsi musicali condivisi anche al di fuori del “disco perpetuo” Alone il cui quarto capitolo “Mente” è uscito da pochi giorni. Altrettanto inarrestabile il flusso compositivo di Edda, che emerge senza freni in totale libertà, un’esplosione senza alcun compromesso. Sempre emozionante nella voce, in alcune liriche particolarmente toccante. Gianni Maroccolo e Stefano Edda Rampoldi, in piena quarantena, creano uno spazio artistico completamente libero, preparano un disco e decidono di regalarlo. Un disco dove si spazia dai centri sociali, ai Matia Bazar, dai mantra a Claudio Rocchi, passando per Don Backy. Di questo loro dono parla questa intervista, buona lettura

È appena uscito “Alone vol. IV – Mente” di Gianni, in cui ha partecipato anche Edda. Immagino sia partita da questa collaborazione l’idea di espanderla. Artisiticamente avete avuto percorsi musicali diversi, quali sono le profondità che vi accomunano e che hanno reso possibile questo bellissimo album?
Marok: Ci sono aspetti della vita che è inutile cercare di comprendere o di razionalizzare. C’è una stima reciproca e delle profondità affini che dialogano quasi a nostra insaputa da tempo. La voglia di fare musica insieme credo è stata la conseguenza naturale di due persone che desideravano conoscersi e che anche ora continuano a farlo serenamente. Razionalizzare tali profondità non penso sia necessario. E’ bello viversi questi incontri senza domandarsi nulla.
Edda: Sono contento che Gianni mi abbia chiamato. Questo è culo galattico, poi cosa ci accomuna non lo so, ma a me piace molto quello che fa, oggi come ieri.

Titolo e copertina sono molto iconici, “Noio; volevam suonar.” semicitazione del dialogo cinematografico fra i fratelli Caponi (interpretati da Totò e Peppino De Filippo) e il vigile milanese in “Totò, Peppino e la malafemmina” di Camillo Mastrocinque. Scelta onomatopeica o c’è altro?
Edda: La scelta è avvenuta per caso. Si vede che abbiamo gli stessi gusti. Alla fine sarebbe bastato anche solo chiamarlo Noio ma ormai era troppo tardi. 

Nell’album siete perfettamente riconoscibili nel vostro stile, l’aspetto più evidente è il senso di libertà che emerge, ho trovato la bellezza della libera espressione, lo spazio di un album occupato senza regole. I brani sono sognanti, a tratti lisergici, c’è tanto degli anni ’70, sotto diverse angolazioni. Che impronta vi ha lasciato quel periodo storico?
Marok: In NVS c’è ognuno di noi e ci siamo noi. Il nostro presente che è la somma delle nostre esperienze passate, ma un desiderio comune di inventarci un presente comune e perchè no, un possibile futuro prossimo. Personalmente non amavo la musica degli anni 70 quando ero giovane… l’ho studiata e capita molto dopo, ma all’epoca non la sopportavo, soprattutto il progressive. Ero affascinato da gruppi come i Tangerine Dream, dal kraut rock tedesco, da Zappa… credo comunque che quegli anni mi abbiano inconsapevolmente donato il desiderio di sperimentare e di fare musica appunto, in modo libero.
Edda: Sicuramente in quel decennio ho mangiato tanta musica. Passavo le ore col mangiadischi da bambino e poi da ragazzino ascoltavo tantissima radio. Si vede che qualcosa è rimasto impigliato nel subconscio.

In un momento come questo in cui la musica live è pressoché ferma e di conseguenza le economie legate a questo settore, voi regalate un disco… Anche questa scelta ha una visione molto anni 70!
Marok: È la visione di due visionari forse, ma anche di due persone che in un momento molto complesso per tutti hanno deciso di fare la propria parte nell’unico modo possibile… fare musica, fare un regalo a noi stessi e condividerlo.
Edda: Questa è una epifania by Gianni. Io mi accodo, ma trovo giusto fare qualcosa per gli altri.

Si parte con un mash up dei messaggi vocali di Edda, occompagnati da suoni futuristici (in effetti questo disco, un po’ di fantascienza ce l’ha!) che fanno da intro a Maranza: titolo tamarro e atmosfere che da disco bar tornano su binari fruibili, in italiano a meneghino. Perchè odiate i Negramaro? All’interno del resto del testo sembra più una boutade!
Edda: Quando scrivo i testi butto giù la prima cosa che mi viene, poi se non fa troppo schifo la tengo. Non penso mai a quello che voglio dire, se mi esce va bene vuol dire che doveva essere così.

Avete anticipato l’uscita del disco attraverso Servi dei Servi con ispirazione ai racconti del libro “Costretti a sanguinare” di Marco Philllopat. Nel libro si narra la vita e la fine del centro sociale Virus di Milano. Perchè l’avete scelta come presentazione dell’intero album?
Edda: La scelta del singolo l’ha fatta Gianni, non gli ho chiesto perché.

Madonnina è un atto d’amore stile Rampoldi alla Madunina milanese. E’ un giro in altalena baciati dal sole, con suoni variegati e carillon distorti e falsetti… Spesso Edda usi il dialetto milanese, sei consapevole di lasciare una testimonianza di una lingua che, differentemente da altri dialetti, sta scomparendo?
Edda: Il dialetto è l’unico inglese che conosco. È facile da scrivere perché puoi lasciar tut le parol a metà. Se scompare un po’ mi dispiace ma nascono tanti vocaboli nuovi ogni giorno e il linguaggio va per la sua strada. Si vede che era destino ma quel poco che so di milanese me lo tengo stretto.

Bebigionson ha venature post punk in chiave Matia Bazar, il suo contraltare è la pulizia musicale di Esce il sangue dalla Neve, con la collaborazione di Alessandro Grazian (ai testi) e Flavio Ferri dei Delta V, ce ne parlate?
Edda: Bebigionson doveva essere una cover. Io odio fare le cover, però sono bravissimo a stravolgere perché tanto le cose degli altri non mi vengono… E poi dal nulla è apparsa una canzone dei Matia e l’ho buttata dentro a mo’ di minestrone. Gianni riuscirebbe ad arrangiare anche un pezzo di polistirolo e così è venuta fuori la canzone. Invece per Neve è una strana sinergia. È bello quando una canzone nasce dal lavoro di tante persone, è come se 4 ragazze facessero da babysitter allo stesso bambino. Fortunello!

Un vostro ospite (presente anche in Alone IV – Mente), è Don Backy, icona della musica italiana. Avete scelto “Sognando” un suo brano pazzesco, pregno di tensione emotiva; duetta con Edda, che ha saputo rendere con l’interpretazione lo straziante dolore umano. Altrettanto coinvolgente l’arrangiamento musicale glaciale, tra i Birthday Party ed i Velvet Underground. Che significato ha avuto per voi questa collaborazione?
Marok: Un sogno che si avvera. Don Backy oltre a regalare a tutti una canzone bellissima ha sorpreso sia me che Stefano quando ha accettato di cantare qualche strofa della nostra versione. È un fuoriclasse, un Artista di razza… a 81 anni ha cantato le sue parti su un iphone e ci ha fatto un casino di complimenti perchè, a detta sua, nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare una cover di “Sognando” come abbiamo fatto noi.
Edda: Sono senza parole. Qui l’arrangiamento ha creato tutta la magia. Propongo di eleggere Gianni senatore a vita per acclarati benefici resi all‘umanità. “Sognando” è una canzone bellissima come tante altre di Don Backy. Cantarla è stato un privilegio.

Stai zitta a mio sentire, è il diamante dell’album, ha un suono ipnotico, che trascina, è un rapimento dei sensi!
Marok: adoriamo entrambi quella canzone. Ci ha fatto penare un pò perchè sentivamo mentre nasceva che era molto molto bella, ma non riuscivamo a metterla bene a fuoco… poi a un certo punto… è fiorita in qualche ora.
Edda: Canzone di Gianni. Te l’ho detto che si merita un encomio istituzionale. Mi ha mandato la musica e dovevo a tutti costi trovare un cantato se no chiamava Manuel Agnelli. Si vede che la paura fa 90 in certi casi.

In questo album di libertà totale c’è spazio anche per il mantra Hare Krishna Mantrino preghiera indiana in chiave Chris Isaak. Mantrino perchè è corto od e è un vezzeggiativo d’affetto? 🙂
Edda: Le canzoni si scelgono i titoli da sole

Mantrino l’ho percepita come un’introduzione amorevole alla cover successiva di Claudio Rocchi Castelli di sabbia. Gianni tu hai lavorato con Claudio nel vostro album del 2013 VdB23/Nulla è andato perso, uscito dopo la sua scomparsa. Mi piacerebbe lasciarvi spazio per parlare della figura di Claudio Rocchi per le generazioni più giovani e chiedervi cosa vi lega a lui.
Marok: Claudio è stato uno degli incontri speciali e fortunati della mia vita. Anche in questo caso, il rapporto umano tra due persone ha reso possibile della musica condivisa. Claudio è un Illuminato. Io lo chiamavo “aprimente” anche se in realtà la sua vicinanza e la nostra reciproca conoscenza e amicizia mi ha permesso di aprire gli occhi e il cuore. Prima che lasciasse questa vita abbiamo vissuto tre anni indimenticabili. E forse c’è il suo zampino anche nell’incontro speciale che sto avendo la fortuna di vivere con Stefano.
Edda: Anche qui è un dono da molti riconosciuto, che Gianni ha nel scegliere la formazione da mandare in campo. Claudio Rocchi per me ê soprattutto Krishna Caitanya. L’ho conosciuto perché ascoltavo RKC la radio degli hare krishna. Era uno dei miei speaker preferiti. Ho ascoltato per anni le sue trasmissioni, non avrei ma creduto che un giorno avrei cantato una sua canzone, così come non avrei mai creduto che avrei fatto un disco con Maroccolo. La vita è strana.

Apro uno spazio di ottimismo e vi chiedo, non appena le circostanze lo permetteranno, vi vedremo insieme sui palchi?
Marok: Se Stefano non cambia idea, credo proprio di si!
Edda: Sì lo spero, anche perché sarebbe un peccato non suonare dal vivo queste canzoni.