R E C E N S I O N E
Articolo di Andrea Furlan
“Per noi la musica è sempre stata una passione travolgente, che abbiamo coltivato con amore, cocciutaggine e sacrifici, malgrado tutti i problemi che la vita reale ci poneva quotidianamente”
6 è l’album che festeggia i quarant’anni di carriera di una tra le band più importanti e longeve che vanta la scena della roots music italiana. I Mandolin’ Brothers, nati a Voghera intorno al nucleo storico dei fondatori Jimmy Ragazzon (voce e armonica) e Paolo Canevari,(chitarra), cui si aggiungono la robusta sezione ritmica di Giuseppe “Joe” Barreca (basso) e Daniele Negro (batteria), la chitarra di Marco Rovino e le tastiere del folletto Riccardo Maccabruni, si sono guadagnati nel tempo una solida reputazione, conquistata con fervida dedizione e smisurata passione per la musica d’oltre oceano, tradotta in una manciata di dischi (non sono molto prolifici, sei, per l’appunto) sempre contraddistinti da uno standard qualitativo certamente elevato. Dischi scaturiti ogni volta da impellenti necessità artistiche e dall’infaticabile tenacia nell’inseguire il proprio sogno che non si è mai indebolita lungo la strada e, al contrario, ha mantenuto la fiamma più viva che mai impedendo al fuoco di smettere di ardere: “we still got dreams, some more things to do, we still have tales that we don’t want to lose”.
Il suono della band scorre in volo planare il catalogo dell’american music più sincera e genuina: il rock innanzitutto, poi la tradizione folk, il blues e l’amato Dylan, infarciti di Stones e Little Feat, una ricetta prelibata proposta con tale rigore, autorevolezza e personalità da renderli unici. Non è azzardato paragonarli a The Band, di cui potrebbero essere considerati gli eredi italiani. E poi, diciamolo chiaramente, non hanno niente da invidiare ai più blasonati gruppi americani con cui se la giocano quantomeno alla pari. Tutto ciò lo (ri)troviamo adeguatamente evidenziato e amplificato anche e soprattutto in quest’ultimo energico album che appare così il compendio della storia del gruppo e delle sue molteplici influenze.
Quarant’anni sono un traguardo ammirevole e i Mandolin’ lo celebrano senza smancerie, raccontando con schiettezza giorni pigri e notti insonni, amori complicati e ansia di libertà, gioie e dolori di una vita trascorsa orgogliosamente on the road. Sogni ad occhi aperti, dirà qualcuno, ma tremendamente reali. Raccontano la loro storia, con tutti i pro e i contro, e le loro storie, con complicità e un pizzico di nostalgia, senza mai indulgere al rimpianto, dividendosi tra l’insofferenza per la cruda realtà e il desiderio di una vita appagante e piena, vera come sa esserlo solo nei sogni. Come appaganti e vere sono le canzoni di 6.
Gli undici brani del disco sono tutti autografi, tranne due eccezioni: la cover di lusso, risolta in chiave roosty, di The Other Kind del grande Steve Earle che, lasciatemelo dire, mi piace quasi più dell’originale, e la scoppiettante Face The Music, firmata dall’americano Jono Manson, che compare anche in cabina di regia alla produzione del disco, il cui lavoro dietro le quinte ha sapientemente amalgamato le diverse anime del gruppo.
My Girl In Blue parte lancia in resta con le chitarre in bella evidenza, riff accattivante e un cambio di passo nel finale profumato di Allman Brothers, sostenuto dall’eccellente lavoro di Maccabruni alle tastiere. Down Here è una ballata di ampio respiro condotta dall’incedere trascinante delle chitarre di Canevari e Rovino e il “solito” Maccabruni abilissimo ai tasti bianco neri. Il ritmo si stempera nell’atmosfera trattenuta di It’s Time, colorita dai preziosi interventi delle sei corde, mentre A Sip Of Life, al pari di Face The Music, transita veloce lungo highway assolate e appiccicose. La sonnacchiosa Lazy Days è un gioiellino che conquista con il suo arrangiamento misurato ed efficace e una linea melodica degna del Dave Alvin di 4th Of July. Altrettanto meritevoli di attenzione Bad Nights, ospite alla chitarra il bluesman genovese Paolo Bonfanti, uno dei capitoli più intriganti del disco, il tiro rock-blues di Lost Love e i suoni rurali di If You Don’t Stop, abbelliti dalla presenza della fisarmonica.
Nel finale i Mandolin’ Brothers si lasciano andare ai ricordi di una vita, bene evocati dall’acustica 40 Long Years, una ballata che chiude in bellezza un lavoro decisamente ispirato, in perfetto equilibrio tra enfasi rock, arguto storytelling e inossidabili dettami roots’n’blues.
Non c’è che dire, la band sa il fatto suo, macina con originalità stili e influenze, compone ottime canzoni, coinvolgenti ed espressive, bada al sodo con decisione. Che continui così, per almeno altri quarant’anni!
Tracklist:
My Girl in Blue
Down Here
It’s Time
Face the Music
A Sip of Life
Lazy Days
Lost Love
If You Don’t Stop
Bad Nights
The Other Kind
40 Long Years
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