R E C E N S I O N E
Articolo di Claudia Losini
Quando è uscito il nuovo singolo dei Mogwai, Ritchie Sacramento, il primo pensiero è stato “La canzone che suona più Ride dei Mogwai”. Effettivamente è un brano che avrebbe potuto scrivere la band di Andy Bell, e, a prima impressione, poteva anticipare un intero album molto più cantato, molto più shoegaze e molto meno post-rock.
Invece As the love continues, decimo disco ufficiale al netto delle (pur sempre meravigliose) colonne sonore, si pone come un’opera omnia che racchiude tutte le tappe di sperimentazione che hanno caratterizzato la produzione della band scozzese.
Il disco si apre con To the bin my friend, tonight we vacate Earth, caratterizzata dalla classica struttura con una intro sommessa, un crescendo e un’esplosione che accompagna la chiusura, per poi proseguire con le influenze più elettroniche del periodo Raw Tapes, che a sua volta aveva radici ancora più profonde in Acid Food di Mr Beast, con Here we, here we, here we go forever e Dry Fantasy.
Ma è proprio il secondo singolo uscito, Ritchie Sacramento, dedicato all’amico scomparso David Berman, che stupisce più di tutti: sappiamo bene che quando i Mogwai decidono di cantare, sanno trasformare il dolore in parole con una perfezione che soltanto alle volte il suono di una chitarra senza voce sa fare. Ritchie è la diretta discendente di C.O.D.Y., più pop se vogliamo darle una definizione, più shoegaze, ma scritta con una profonda maestria che la rende un capolavoro.
Non che nel 2021 i Mogwai abbiano bisogno di essere nuovamente definiti, d’altronde sono i colossi e le colonne portanti di un intero movimento musicale, ma quello che apprezzo di più è la loro completa libertà di fare quello che vogliono, e quindi possono indugiare sul filone più classico della loro produzione, come Drive the nail, lasciarsi andare a suoni più grezzi come in Ceiling Granny (personalmente uno dei pezzi che preferisco), elaborare preziose collaborazioni come quella con gli Atticus Ross in Midnight Flit, che rende epico un brano se volete molto manierista, oppure essere autoironici, proprio come è nella loro natura, con It’s what I want to do mum, dove il pubblico a cui si rivolgono è visto come una madre, un po’ scettica sul futuro del suo unico figlio e la canzone, di stampo Auto Rock diventa quasi un grido di affermazione che dice “ho sempre voluto fare questo, e continuerò a farlo”. E non c’è bisogno di molte argomentazioni per convincerci.
Ma l’essenza che continua e continuerà a permeare ogni canzone dei Mogwai è quella di trasportarti in un luogo altro rispetto al reale, perché la musica ha una funziona di escapismo dalla vita quotidiana, ti tira fuori dal tuo contesto e ti fa vedere l’universo dall’alto. A meno che, come dice Stuart Braithwaite, tu non sia già in un posto bellissimo, allora che senso ha ascoltare della musica così strana?
Che ci piaccia o meno l’etichetta post-rock, la verità è questa: i Mogwai fanno e hanno sempre fatto musica strana per persone strane, e meno male che hanno ancora l’assurda voglia di divertirsi e continuare a fare felici i weirdo del mondo.
Tracklist:
01. To The Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth
02. Here We, Here We, Here We Go Forever
03. Dry Fantasy
04. Ritchie Sacramento
05. Drive The Nail
06. Fuck Off Money
07. Ceiling Granny
08. Midnight Flit
09. Pat Stains
10. Supposedly, We Were Nightmares
11. It’s What I Want to Do, Mum
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