R E C E N S I O N E


Articolo di Elena Di Tommaso

Collapsed in Sunbeams è l’album di debutto della ventenne Arlo Parks che si presenta con un lavoro confessionale: personale e universale al tempo stesso. Uno storytelling musicale e nostalgico che dà voce a immagini reali e sublimi, capace di raccontare con una spiccata vena poetica la vita là fuori. E anche quando l’argomento si fa crudo e difficile, Parks lo affronta con una calma e un calore impressionanti, grazie ad una scrittura struggente e a una voce che seduce. I brani hanno l’insolita capacità di trasformare la tristezza in qualcosa di edificante attraverso un lirismo compassionevole e melodie groove-along.
La giovane cantautrice londinese, metà nigeriana, un quarto ciadiana e un quarto francese, ha iniziato a fare musica nella sua camera da letto, scrivendo storie dettagliate e traendo ispirazione da poeti come Nayyirah Waheed e Hanif Abdurraquib e dai libri di Sylvia Plath e Haruki Murakami, che ne hanno fortemente influenzato la scrittura. La sua musica le ha fatto guadagnare consensi di diversi artisti e personalità del calibro di Billie Eilish, Florence Welch, Michelle Obama, Angel Olsen e Wyclef Jean tra gli altri.

L’album contiene una serie di brani ricchi di esperienza umana che trovano la loro migliore espressione attraverso il neo-soul, il jazz, l’R&B e il rock alternativo. La “title track” che apre l’album è uno scorrere fluido di parole, quasi fosse una poesia su melodia, attraverso la quale l’artista londinese mette a proprio agio l’ascoltatore anticipandogli la narrazione e rassicurandolo, quasi fosse un amico da confortare “Non dovresti aver paura di piangere davanti a me”. Si dà così l’abbrivio alla scoperta di un mondo fatto di atmosfera, eleganza ed emozione in cui l’ascoltatore riesce a immergersi e a ritrovarsi.
Hurt contiene delle melodie piene di sentimento che scivolano leggere su crepitii sfocati, colpi caldi di tamburi che fanno da base ad un mantra che si ripete lungo tutto il brano “non farà così male per sempre”. La voce di Parks irrompe dolcemente su ogni parola e ricorda la sobrietà di Billie Eilish, palpabile è anche l’influenza dei Portishead che contribuisce a creare un’atmosfera chiara e coinvolgente. In Too Good è ben evidente la fusione di generi che caratterizza tutto l’album: contiene una linea di basso funk con una melodia R&B sopra le righe che offrono un delizioso contrasto. Hope è uno dei pezzi più toccanti in cui l’autrice racconta inizialmente di un amico depresso per poi traslare quella stessa situazione su di sé: You’re not alone è un mantra trip-hop che si ripete e che da solo basta a rassicurare, senza alcuna pretesa forzatamente risolutiva, piuttosto con la tranquillità della presenza costante. L’atmosfera è particolarmente jazzata, con chitarre stratificate e riff psichedelici, tanto da immaginarsi in uno di quei caldi club con la luce ovattata. In Caroline la Parks descrive una situazione reale, ciò che vede un giorno mentre aspetta l’autobus, ovvero una coppia che sta discutendo in pubblico. La tristezza del momento viene amplificata da riverberanti chitarre e dalla voce stratificata del coro. L’ardua complessità del tema della salute mentale è affrontata in maniera compassionevole in Black Dog che combina ritmi downtime con trame granulose, pianoforti lunari e percussioni bilanciate. Nel brano lo-fi Green Eyes Parks riflette sugli atteggiamenti sociali nei confronti delle relazioni omosessuali: scrive di un’ex amante, di un amore ricambiato ma che finisce per paura di attacchi omofobi. Non c’è amarezza o rabbia ma solo una gentile comprensione “Devi fidarti di come ti senti dentro e risplendere”.

Un cambio di rotta con Just Go che ha il sapore di una discoteca leggera, tra lo scintillio del near-disco al ritmo di un basso groove. L’inizio di For Violet con un basso distorto sembra far presagire qualcosa di più oscuro in cui l’atmosfera rassicurante si incrina: qui il tema è la disapprovazione familiare e la lotta universale per il raggiungimento della maggiore età. L’intimo arrangiamento blues-folk di Eugene permette alle parole di arrivare dritte, e raccontare dettagliatamente il giovane amore non corrisposto per la sua amica. In Bulish si aggrovigliano strati di elettronica e jazz, con un ritmo lo-fi regolare, la voce si modula intima insieme ad una linea di basso semplice e piacevole. L’ultima traccia, Portra 400, si apre con un campione di archi che scompare quasi immediatamente, la voce si fa parlato nel ritmo spezzettato e il testo recita “fare arcobaleni da qualcosa di doloroso”. Ciò è proprio quello che ha ottenuto Arlo Parks con il suo album di debutto.
Raccontare temi tanto impegnativi come la depressione, la sessualità, i pregiudizi… non è scontato; farlo poi a vent’anni e con una maturità tale da non cadere nel vittimismo o nell’illusione di un mondo irreale, è davvero raro. Nonostante la morbidezza neo-soul del suono, la chitarra acustica e quella voce sensuale, l’artista londinese raffigura scenari quotidiani duri, abbraccia le proprie turbolenze emotive, e lo fa parlandone apertamente attraverso veri e propri testi poetici. L’album abita una sfera privata, ma non isolata: ognuno può riconoscersi e sentirsi rassicurato. La musica in Collapsed in Sunbeams è setosa e offre riflessioni cerebrali mischiando vari generi. A volte la voce risulta unidimensionale e diventa un po’ ripetitiva verso al fine del disco ma il talento e la portata dell’artista sono innegabili… e questo è solo il suo primo album!
L’Empatia è la forza di Arlo Parks!

Tracklist:
01. Collapsed In Sunbeams
02. Hurt 
03. Too Good 
04. Hope 
05. Caroline 
06. Black Dog
07. Green Eyes 
08. Just Go 
09. For Violet
10. Eugene
11. Bluish
12. Portra 400

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