R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Descension (Out of Our Constrictions) è il sesto album di questa originale formazione, denominata Natural Information Society. Il disco registrato dal vivo nell’estate del 2019 al Café Oto di Dalston a Londra, è uscito per l’etichetta Eremite Records lo scorso 16 aprile e, come molti altri lavori jazz degli ultimi mesi, è anch’esso idealmente dedicato alla morte di George Floyd. A “dar fiato” al ricordo di Floyd sono questa volta uno strumento africano, il guimbri di Joshua Abrams e il magnifico quintetto con Lisa Alvarado all’harmonium ed effetti, Mikel Patrick Avery alla batteria, Jason Stein al clarinetto basso e, per l’occasione, Evan Parker al sax soprano. Vale spendere due parole su questo strumento, detto anche “sintir”, che proviene dalla tradizione dei popoli Gnawa e che troviamo diffuso in Nord Africa, ma che ha origine in Guinea, strumento che è in grado di produrre solo sei note. Si tratta di una specie di chitarra a tre corde ed è fornito di un manico rotondo, spesso riccamente decorato e da una cassa a forma trapezoidale la cui tavola di risonanza è ricoperta da pelle bovina.

Quello dell’inserimento di uno strumento “etnico” (se mi si passa la semplificazione, poiché in fondo tutti gli strumenti potrebbero definirsi “etnici”), non è certo una novità nel jazz contemporaneo e, personalmente, amo moltissimo queste ibridazioni che permettono di uscire da certe sonorità, ormai quasi stereotipate e che arricchiscono gamme espressive, qualche volta fruste e prevedibili. Descension (Out of Our Constrictions), è una composizione di settantacinque minuti che scorrono veloci lungo le quattro tracce dell’album. Se il guimbri di Abrams è la base dell’impasto, a far lievitare questo magnifico lavoro sono certamente gli autori delle infinite variazioni modulari e i contorcimenti sonori del clarinetto basso di Jason Stein e del sax soprano del grandissimo Evan Parker. Basta ascoltare le prime due tracce per entrare nella trance più totale, con una ripetizione di ritmi sui quali lavorano abilmente i due fiati che duettano, si sfidano, si contraddicono, si contrappuntano e arrivano spesso all’unisono. Impossibile staccarsi dall’ascolto, sostenuto anche dall’harmonium temperato di Lisa Alvarado e dalla batteria ipnotica, ma mai prevaricante di Mikel Patrick Avery. Solo nel finale la magnifica e ossessiva ripetizione, sembra stemperarsi in un calando dei toni e dei ritmi, fino a uno spegnersi che assomiglia fatalmente allo spegnersi della vita.
Si potrebbe parlare di jazz estatico che, se ingloba in sé la grande lezione di Ornette Coleman, deve indubbiamente molto alla riflessione musicale sulle culture etniche dove la musica assume un valore e una funzione non solo estetica o artistica, ma anche magica e religiosa e, spesso, anche taumaturgica. Il respiro negato a George Floyd è in fondo, metaforicamente, il tentativo di soffocare la voce e la diversità delle culture “altre-da-noi”. Forse questa serie di dischi in uscita, è anche un inconscio tentativo di risarcimento di un continente come l’Africa, depredato barbaramente dall’Occidente.
Tracklist:
01. I
02. II
03. III
04. IV
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