R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Dato che l’arpa è considerata uno strumento arioso, dal suono iconicamente “angelico”, la sua collocazione nell’ambito del jazz non è mai apparsa come operazione facile. Avvicinare l’acqua santa al diavolo è stato appunto un compito durissimo come per esempio lo fu per Dorothy Ashby, un’antesignana delle arpiste jazz, che raccontava da sempre come essere donna, nera, e suonatrice d’arpa avesse reso tre volte più difficile il compito di affermarsi nel mondo del jazz. Certo non dobbiamo dimenticarci nemmeno di Adele Girard e di Casper Reardon, in assoluto le prime figure storiche a portare l’arpa da concerto all’interno di formazioni jazz. Last but not least un’altra illustre arpista degna di menzione non poteva che essere Alice Coltrane, quest’ultima però con una musica intrisa di spiritualità orientaleggiante, qualità che francamente non leggo tra le corde dell’artista di cui oggi ci occupiamo, e cioè la gallese Amanda Whiting. Dopo un iniziale timida autoproduzione avvenuta nel 2007 e un ep d’assaggio uscito l’anno scorso, la Whiting si presenta con questo bel lavoro, After dark, che si propone di accarezzare i nostri sentimenti con la massima discrezione e delicatezza possibili. È vero che senza dubbio l’arpa si esprime attraverso la propria sonorità con tali vibrazioni capaci di trasportarci in un mondo incorporeo e diafano, quasi contrapposto alla fisicità tipica della musica jazz. È anche vero, però, come sia utile liberarsi da certi pregiudizi. Ad esempio chi avrebbe mai pensato che uno strumento europeo romantico per eccellenza come il pianoforte, un giorno, sarebbe diventato uno dei capisaldi della musica afro-americana?

La Whiting si propone in questo appuntamento supportata da John Reynolds alla batteria, Aidan Thorne al contrabbasso e con il centrato contributo del flautista Chip Wickham. La raccolta di brani comprende una sequenza di momenti dolcemente swinganti alternati ad istantanee più raccolte di carattere notturno e selenico, quasi sognante. C’è da sottolineare, al di là della bravura della Whiting, il gran lavoro della ritmica: è soprattutto la batteria di Reynolds a regalare i giusti contrappesi alla levità delle corde dell’arpa.
S’inizia con Time stands still in cui appare la suggestione incantatoria del flauto traverso di Wickham che c’introduce con un breve assaggio nel mondo magico di After dark. Il brano immediatamente seguente, Messed Up, pare quasi uno sviluppo dell’introduzione precedente. La Whiting improvvisa con delicatezza e il tutto si sorregge con l’assetto ritmico di basso e batteria che non mollano un colpo e impediscono all’arpa di concedersi troppi silenzi. Il tema è semplice ma ficcante ed efficace, insomma veramente molto piacevole. Si rallenta in Who Knows, tra i brani più raccolti dell’album, dove sembra di essere avvolti da un alone di plenilunio. Ad un certo punto la musica prende una strada più accidentata ma è più apparenza che altro perché l’atmosfera delle prime battute viene ripresa verso l’epilogo, poco prima della chiusura. In Stay for one ricompare il flauto che tratteggia una linea melodica latineggiante, su un ritmo che è una bossa-nova in 4/4, seguendo il movimento fluido e cantabile dello strumento a fiato. In questo frangente l’arpa si trova nella duplice posizione di strumento d’accompagnamento prima e di solista poi. La Whiting è più attenta all’effetto riverberante delle corde, più occupata a scansionare i tempi con qualche nota in grado di innescare emozioni, piuttosto che perdersi dietro a tecnicismi superflui. Strut your stuff è un pezzo breve dove sembra che l’arpa cerchi di rassomigliare a una chitarra, tanto è tale la similitudine.

After dark è il brano da cui prende il titolo l’album. Melodia semplice, molto notturna, con un contrabbasso archettato al punto giusto che pare quasi un lontano lamento. Anche qui, come in Who knows, la musica sale di tono e di ritmo ma lo fa sempre con grande attenzione, senza sconvolgimenti armonici. Tutto è apparentemente così semplice che si tratta, alfine, di una bellezza facile a comprendersi, immediata e sorretta da poche note ben selezionate e da silenzi strategici tra uno strumento e l’altro. Mi sorprende questa analogia tra arpa e chitarra già rilevata nel precedente Strut your stuff ma ovviamente mi riferisco al modo di suonare e non alla timbrica che di per sé qualche somiglianza l’ha di default. Arriva quindi il momento della Whiting in perfetta solitudine con Leave me be, una romantica rivendicazione di un’individualità che cerca il suo spazio esistenziale. La modalità è sempre la stessa: melodia pulita, espressiva, con molti spazi entro cui far risuonare corde e pensieri. Per non rischiare un eccessivo abbandono alla rilassatezza ecco che sopraggiunge un bell’assaggio di batteria in The feist. Non ci saranno comunque sfracelli di sorta. Dopo un breve contributo molto fisico il batterista si appoggia alle dinamiche del contrabbasso, qui suonato splendidamente. Il volume si alza ma tutto si continua come sempre, con qualche veloce arpeggio dell’arpa e il consueto binario melodico che diventa trincea inattaccabile, ormai, ad ogni eccesso. Il passo resta comunque appena più spedito rispetto ai brani precedenti. Gone è un’altra traccia fortemente latina che pare di veder materializzarsi il canto sussurrato di Jobim da un momento all’altro. Altro pezzo in solitudine della Withing, molto sentito e parecchio nostalgico, probabilmente tra le cose migliori di questo disco. E vai ora con Just Blue dove la ritmica si anima e il flauto melodioso di Wickham spande la sua luminosità azzurrina tra gli strumenti del quartetto. Back to it è un brano di soul-pop leggero ma assai gradevole che si trasforma strada facendo in un’elegante bossa-nova. La ripresa di After dark chiude l’album richiedendo il contributo della cantante Nadya Albertsson che sovraincide la propria voce variando non poco la struttura stessa del brano, rendendolo quasi irriconoscibile ma arricchendolo di vocalità eteree ed impalpabili. Si sfuma così questo lavoro, lasciando una scia vaporosa, introspettiva, gentile come una carezza. Una musica che si tiene lontana da qualsiasi tentazione alcoolica per suggerire, piuttosto, una pausa di rinfrescante e rigenerante the al gelsomino.
Tracklist:
01. Time Stands Still
02. Messed Up
03. Who Knows
04. Stay For One
05. Strut Your Stuff
06. After Dark
07. Leave Me Be
08. The Feist
09. Gone
10. Just Blue
11. Back To It
12. After Dark (Rebecca Vasmant Remix Feat. Nadya Albertsson)
20 Maggio 2021 at 16:06
Bella l’arpa