L I V E – R E P O R T – D A N Z A


Articolo di Annalisa Fortin

Quando si parla di danza, ci sono dei corpi di ballo che la rappresentano nella sua interezza, nella sua dimensione più esemplare e raffinata. Uno di questi è il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala.
La sensazione che si ha quando si assiste ad un balletto eseguito da questi danzatori è quella di credere che i ballerini scaligeri siano esseri speciali dai connotati sovrumani. Quando le prime luci di scena illuminano corpi e movimenti, la testa dello spettatore inizialmente vacilla per poi ridestarsi. Dopodiché una sensazione di benessere e armonia lo pervade, capendo così che davvero la bellezza può salvare il mondo.
Se si pensa che il Corpo di Ballo della Scala dia il meglio solo nei grandi classici, si commette un errore. A dimostranza di questo in Serata Contemporanea, il 7 e 8 luglio scorsi, sono stati presentati cinque debutti e una prima assoluta, insieme al ritorno di Forsythe.

SENTieri, del trentacinquenne Philippe Kratz, ha avuto l’onere di rompere il ghiaccio e lo ha fatto come una punta di diamante scalfisce la consuetudine del vetro. Un susseguirsi di movimenti densi, che si avvolgono, si contorcono e si distendono in un turbine di direzioni. Questo e molta, moltissima, raffinatezza vibrano nella coreografia interpretata magistralmente da Alessandra Vassallo, Christian Fagetti e Andrea Risso. Ad impreziosire la pièce, l’impeccabile accompagnamento al pianoforte di Marcello Spaccarotella, sulle note suggestive della famosa Berceuse op.57 in re bemolle maggiore di Chopin.
Kratz, da tredici anni punta di diamante dell’Aterballetto, non sa chi tra i coreografi incontrati nel suo cammino lo abbia maggiormente influenzato. Non nutre però alcun dubbio sul proprio stile, sempre di tenore astratto, ma non formalistico, che aggancia problematiche socio-culturali ed emozioni intime. In SENTieri (SENT come sentimenti e ieri come passato o ricordo dello stesso) tutto è nero, come i costumi degli interpreti, semplici e attillati. Dallo strumento a coda si intravedono i tasti bianchi e il pianista. A terra è evidenziata una striscia di luce, un’ideale passerella sulla quale scorrono, avanti e indietro, i movimenti dei tre protagonisti, secondo le intenzioni di Kratz tre sconosciuti. La resa è di grande eleganza e Philippe è così uno dei coreografi prescelti per una serata dedicata al balletto contemporaneo nella prossima stagione scaligera, accanto a niente meno che Kyliàn e Dawson (25 – 31 Gennaio 2022).

Il primo coreografo italiano invitato dal Direttore del Balletto Legris è Simone Valastro, nato a Milano, classe 1979. La risposta di Simone si è manifestata confezionando Árbakkinn (termine islandese che significa “argine”), un duetto che vanta un segno più poetico che narrativo dell’incontro tra un uomo e una donna, lasciando al pubblico una libera interpretazione, sulle note di Ólafur Arnalds. Massimo Garon ed Antonella Albano ben si immedesimano nelle “persone danzanti” che Valastro intende rappresentare. Se il coreografo infatti è stato influenzato dagli incontri con William Forsythe, Mats Ek, Jirì Kyliàn e Angelin Preljocai, da cui ha “rubato” il modo di utilizzare il contrappunto, Pina Bausch gli è rimasta nel cuore per l’umanizzazione dei danzatori che caratterizza la sua arte. Privo di scena e con costumi di strada (jeans e camicia grigio-blu per l’uomo, vestitino blu per l’interprete femminile, comprato in un negozio parigino, poi rimodellato dalle capaci sarte scaligere), Árbakkinn comincia con un assolo della Albano, al centro della scena. A dimostranza della vicinanza con l’esperienza umana, l’interprete non indossa scarpette da punta e non si esprime in passi strutturati, per quanto sia chiaro che il coreografo non intenda uscire dal binario accademico entro il quale si è formato. Quando arriva Garron, la luce si apre così come la coreografia che si espande lungo tutto il palcoscenico. Massimo e Antonella non sono più solo due ballerini, ma diventano anche un po’ attori in una performance rivelatrice dell’intimità umana di una coppia.

A Sweet Spell Of Obliviom, di David Dawson su musica di Johann Sebastian Bach, interrompe l’idea di spontaneità dei balletti precedenti, proponendo invece una sorta di lettura di una partitura. “Per me l’oblio è un luogo di libertà, un luogo senza nome, fuori dal tempo. Il concept di questo balletto che è quasi un manoscritto, si basa sul rapporto tra musica e danza, tra linguaggio e struttura, tra memoria e storia. Ci sono momenti in cui il passato è accanto a noi e il presente vi si riflette per un attimo. In un tale istante il passato si trasforma in una nuova esistenza, portando in sé anche la nozione di futuro”, spiega lo stesso Dawson.
In A Sweet Spell Of Obliviom, che ha debuttato ad Anversa nel 2007, la musica di Bach risuona in una sequenza onirica che, senza inizio e senza fine, scorre davanti agli occhi dello spettatore ricca di sensazioni. Al tempo stesso celebra la perfezione tecnica dei ballerini impegnati nel passo a due. Virna Toppi e Gabriele Corrado danno magistralmente forma ad una pièce che vuole essere un’ode estatica alla danza e a chi la interpreta. Non a caso nel 2013, a San Pietroburgo, il balletto ha vinto il primo premio come miglior duetto.

Dalla contemplazione della dimensione dell’oblio si passa a quella della solitudine con The Labyrinth of Solitude. L’assolo, creato da Patrick de Bana su musica di Tomaso Antonio Vitali, impegna per ben dieci minuti l’interprete. È il tema della forza dell’animale e la sofferenza della solitudine umana a dettare le mosse artistiche offerte al danzatore, idealmente soffocato in un luogo dal quale non può uscire, attanagliato dall’angoscia di sentirsi solo. De Bana ama le strade più difficili da percorrere perché in fondo ad esse sostiene si celi la verità. Per Serata Contemporanea, Mattia Semperboni sarebbe infatti stato scelto come interprete spiando tra le file dei Ballerini aggiunti del Corpo di Ballo. Gli applausi interminabili con cui il pubblico ha risposto all’esibizione del giovane danzatore, hanno dato ragione a De Bana e alla verità che ha così trovato su Mattia Semperboni: è un ballerino eccellente. 

Dal concetto di isolamento parte anche la creazione di Natalia Horecna, fornendone però una soluzione con un volo mentale oltre i confini imposti all’essere umano soprattutto nei mesi scorsi. L’invito è quello di cercare nuove vie, quasi come Gesù che cammina miracolosamente sull’acqua.
No, non è un significato religioso quello cercato da Natalia (per altro atea), ma di fiducia nella vita e nel suo inestimabile valore, che insegna a restare liberi entro noi stessi e a rimanere tali anche quando gravi impedimenti non lo consentono. In Birds walking on Water, per questo senso di libertà utilizza la figura degli uccelli, quindi necessita di molti ballerini per creare una vera comunità di volatili. Diciassette i danzatori che con l’aiuto del direttore Legris ha scelto tra il corpo di ballo scaligero, con Mick Zeni che funge da leader del gruppo. Davanti ad una fila di neon accesi, a varie altezze, che formano la silhuette di un uccello in volo, i ballerini hanno egregiamente eseguito una coreografia che esula dal codice della danse d’école, in cui il climax predominante è il non avere peso, pur non sempre in perfetta sincronizzazione. Questa piccola sfumatura di inesattezza però ha ancora meglio reso l’idea di animali liberi nella ricerca di un comune obiettivo.

Tra le emozioni umane rappresentate sul palcoscenico del Piermarini non poteva mancare l’amore proibito. Il pas de deux di Tristan and Isolde, coreografato da Krzysztof Pastor su musica dell’omonimo dramma musicale di Richard Wagner, riprende una tra le più famose storie d’amore, plasmandola in un balletto contemporaneo che dal 2009 incontra sempre più il favore della critica.
È una storia di amanti combattuti tra moralità cristiana e desiderio. Argomento più attuale che mai. La grande musica e la grande coreografia sono completate dalle eccellenti interpretazioni di Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, partener in scena e nella vita, che con il loro amore e la loro bravura hanno reso ancora più speciale il balletto.

Una creazione da brivido, firmata Forsythe, chiude splendidamente la serata. The Vertiginous Thrill of Exactitude, sulla musica dell’ultimo movimento della Sinfonia n.9 di Schubert, sfoggia tutto l’armamentario tradizionale della danza classica: tutù, scarpette da punta, virtuosismo, lirismo e un’amichevole manifestazione di rapporti formali fra i sessi. Il pas de cinq (interpretato da Martina Arduino, Agnese di Clemente, Gaia Andreanò, Marco Agostino e Nicola del Freo), presenta un’esibizione mozzafiato di tecnica classica qui distillata nella forma più brillante e pura. Come sostiene la critica Roslyn Sulcas, nelle precise e frenetiche combinazioni di passi, The Vertiginous Thrill Of Exactitude è una celebrazione delle capacità dei ballerini di trasformare la difficoltà in una trionfale padronanza fisica, nella consapevole incarnazione di un’intera tradizione di danza.

Photo Credit © Brescia e Amisano