R E C E N S I O N E
Recensione di Andrea Notarangelo
Lee Ranaldo torna con un album solista, seguito di Electric Trim, risalente al 2017. Messo da parte l’approccio rumorista della band madre Sonic Youth, il musicista esce oggi con qualcosa di molto personale. Si tratta della sua rappresentazione in musica di quanto stava accadendo durante il periodo di lockdown che ci ha tenuto isolati. Estraneazione, isolamento, sono le prime sensazioni che ci lascia questo unicum acustico strumentale, il quale non può essere definito “suite” per un semplice motivo: le parti di cui è composto sono caratterizzate da piccole variazioni e non da vere e proprie alternanze ritmiche. Il musicista racconta che questo In Virus Times, è il risultato di un’improvvisazione di una sera del settembre 2020, nella quale si trovava bloccato in casa nella parte bassa di Manhattan. In questa cornice, lo immaginiamo riflettere sulle imminenti elezioni presidenziali statunitensi e su quanto stava accadendo a livello mondiale a causa della pandemia. Ed è così che il buon Ranaldo descrive il suo sforzo strumentale, affermando che la sua qualità minimale riflette il senso di ‘tempo immobile’ che molti di noi hanno sentito.

Nell’ascoltatore, questi movimenti lasciano un senso di straniamento e di mancanza. La chitarra, in genere strumento caldo ed accogliente nelle serate in compagnia, diventa qui il veicolo essenziale per trasmettere il senso di alienazione. Forse l’intenzione del musicista è proprio quella di distorcere il messaggio, provando a dare una descrizione delle sue sensazioni, ma lasciando che ognuno di noi faccia scorrere il flusso dei propri stati d’animo. In un certo senso, Lee Ranaldo prosegue sulla via della distorsione, anche se per una volta, quella messa in atto è più teorica che pratica. L’atmosfera casalinga casual, una sirena o un camion che rimbomba lungo la strada fuori dalla finestra; qualcuno che parla intorno al tavolo in un’altra parte del soppalco. L’acqua che scorre. Ho lavorato per sviluppare alcuni semplici elementi tematici, soprattutto volevo sentire le note e gli accordi risuonare, sospesi a lungo nell’aria in quella sera in cui il mondo sembrava prossimo a fermarsi sul proprio asse. Questo è ciò che ha alimentato il processo creativo e personalmente ritrovo solo in parte questi elementi. Ed è così che Part 1 inizia con l’improvvisazione di qualche accordo, nella quale un cantante prova a prenderla con filosofia e accenna un fischio disimpegnato; in Part 2 si rinuncia a dare un senso a quanto sta accadendo e, nella seconda metà del pezzo, la chitarra cambia approccio e per qualche istante si sente pervadere l’influenza degli Slint e della loro musica in stato di calma apparente. Part 3 dilata il più possibile la progressione di accordi, fino a quando, piccoli tocchi delle corde, conducono l’ascoltatore nel freddo deserto costituito da grandi strade e avenue abbandonate. Part 4 riprende l’inesorabile progressione come un cenno di speranza e, verso la fine della traccia, si palesa il mormorio del musicista che non è nemmeno un vocalizzo, ma più un tentativo, fallito, di provare a descrivere questo periodo di isolamento. I virus in fin dei conti non hanno un momento vero e proprio, piuttosto, è la nostra convivenza con loro che ci porta a riflettere sul senso della vita e a creargli attorno l’importanza del momento.
Tracklist:
01. Part 1
02. Part 2
03. Part 3
04. Part 4
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