R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Quando si sente parlare di chitarre in un disco jazz, spesso si storce il naso. Quando poi, invece di sentir solo parlare, si sente la chitarra suonare, allora il discorso cambia. Quasi sempre cambia in meglio, forse perché il chitarrista conosce le difficoltà a cui sta andando incontro e sa che lo sposalizio tra “chitarra” e “jazz” potrebbe essere problematico, con qualche grandiosa eccezione che porta i nomi di Django Reinhardt, Franco Cerri, Pat Metheny, Bill Frisell e una manciata di altri musicisti. A questi nomi celeberrimi e a qualche altra decina, possiamo ora aggiungere anche il nome del giovane chitarrista newyorkese Gregg Belisle-Chi, astro nascente della chitarra acustica e profondo conoscitore della musica di Tim Berne e, va da sé, che allora questo matrimonio “s’aveva da fare”. Ci ha pensato David Torn ad officiare il rito, ovvero produrre questo magnifico disco, dal titolo Mars.

I pezzi sono stati tutti composti da Tim Berne e, se all’ascolto del primo brano, Rose Bowl Charade sembra di trovarsi in presenza di una divagazione di sax su un’armonia quasi folk, all’ultimo, Giant Squids sembra proprio di aver ascoltato un disco di creativa sperimentazione. Se invece scegliessimo una traccia a metà disco, come, per esempio Frosty, potremmo pensare a tutte altre influenze. È così per tutto questo magnifico lavoro, inettichettabile, come è giusto che sia, e come il nuovo jazz ci ha abituato. Certo che la voce potente del sax di Tim Berne e il suo inconfondibile suono newyorkese, non possono passare inosservati e, nonostante il grande talento di Gregg Belisle-Chi, il disco sembra essere pur sempre un disco di Tim Berne. Solo in qualche pezzo, come per esempio in Rabbit Girl, la chitarra acustica di Belisle-Chi sembra avere un maggior risalto sulle note del sax di Berne. Ma del lavoro, naturalmente, non si butta via niente, una lezione di stile, senza picchi e senza abissi, nel rispetto della tradizione jazz, che, a differenza di altre tradizioni, non è fatta di rimembranze o di stracche ripetizioni rituali, ma di continua, incessante e sempre nuova ricerca. Un magnifico esempio è Not What You Think They Are, a mio parere il brano più originale di tutto l’album, con il pizzicato frammentato e lieve di Belisle-Chi che sembra completare, intersecandolo, il suono a volte energico, a volte sussurrante, del sax di Berne.

“La tradizione non è il culto delle ceneri, ma la conservazione del fuoco”, scrivono musicisti e produttore sulla cover del disco. È una citazione da Gustav Mahler, che perfettamente si adatta allo spirito di ricerca nella tradizione di questo ottimo lavoro. Non privarsene è un atto d’amore per chi ama il jazz.

Tracklist:
01. Rose Bowl Charade
02. Purdy
03. Gastrophobia
04. Microtuna
05. Frosty
06. Big Belly
07. Rabbit Girl
08. Palm Sweat
09. Dark Shadows
10. Not What You Think They Are
11. Middle Seat Blues
12. Giant Squids