R E C E N S I O N E
Recensione di Stefania D’Egidio
Il 4 febbraio esce il quattordicesimo album in studio dei Korn, band di riferimento del genere nu metal, a distanza di due anni dal precedente The Nothing; anticipato dall’uscita di alcuni singoli e dalla presentazione del video di Start The Healing, diretto da Tim Saccenti (in precenza già al lavoro con Depeche Mode). Grazie a filtri di realtà aumentata le immagini del video conducono in un viaggio emotivo, simbolo di morte e rinascita catartiche, in cui luce e oscurità si alternano, come da tradizione Korn. L’album sarà disponibile in diversi formati, digitali e fisici, tra cui un vinile argentato in tiratura limitata di sole 1000 copie.

Un album nato tra mille difficoltà logistiche, con i membri sparpagliati per gli States, tra Bakersfield, Nashville e Los Angeles, e problemi personali, con la covid che li ha colpiti in prima persona nel corso dello scorso anno, costringendo Jonhatan Davis a cantare da seduto in alcune tappe del tour estivo, e le note dipendenze dello storico bassista Reginald “Fieldy” Arzivu. Nonostante gli ostacoli incontrati però Requiem viene alla luce come un lavoro privo delle solite pressioni da imminente lancio discografico, senza vincoli di tempo, permettendo la registrazione in analogico e con una gran voglia di sperimentare, che ha portato il gruppo in una nuova dimensione e il risultato è forse tra i migliori ottenuti dalla band nell’ultimo decennio.
Un totale di nove tracce, per una durata complessiva di poco più di trenta minuti, con un mood altamente omogeneo dal punto di vista strumentale, fatto di chitarre distorte dal suono bello pieno, che a tratti intavolano veri e propri duelli con la batteria di Ray Luzier, come in Lost In The Grandeur, il mio pezzo preferito, per l’intro esplosivo e la voce calda di Davis che si esalta sul finale, e in Worst Is On Its Way, arricchita dai cori tribali e da un intro di synth molto suggestivo. Chiamatemi pazza per l’accostamento, ma la melodia del synth a me ricorda paurosamente The Message di Grand Master Flash & The Furious Five. Le atmosfere sono sempre quelle spettrali ed evocative cui ci hanno abituato negli anni, accompagnate dai cori urlati in stile death/trash metal e da riff di chitarra molto incisivi, come in Forgotten, brano di apertura, nel successivo Let The Dark Do The Rest o in Hopeless and Beaten. Qualcuno dice che il basso sia meno presente rispetto ai dischi del passato, che si sentano meno le slappate di Fieldy, arrivando addirittura a ipotizzare che abbia tirato un po’ i remi in barca per combattere i demoni delle proprie dipendenze, ma non si può negare che a distanza di oltre due decenni i Korn ci mettano ancora il cuore, affrontando ogni nuovo lavoro come se fossero ancora alle prese con il primo album, per produrre della musica che tocchi le persone nel profondo e faccia esplodere i sentimenti accumulati per molto tempo.

Voto: 10/10 perchè anche da un periodo brutto può nascere qualcosa di bello
Tracklist:
01. Forgotten
02. Let The Dark Do The Rest
03. Start The Healing
04. Lost In The Grandeur
05. Disconnect
06. Hopeless And Beaten
07. Penance To Sorrow
08. My Confession
09. Worst Is On Its Way
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