R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Notarangelo

I White Lies pubblicano il loro sesto album ed è tempo di bilanci. Alcune band sperimentano una crescita esponenziale, altre, come nel caso specifico, debuttano con un disco clamoroso e negli anni a venire restano alla mercé di un pubblico pronto a paragonare ogni nuova uscita con quel primo vagito, ormai considerato pietra angolare di ogni giudizio. La band non se ne cura e questo è un bene, ma resta concentrata sulla costante ricerca dello sviluppo del proprio sound, che volente o nolente, è figlio legittimo della new wave inglese. Si alza il sipario, le tastiere di Am I Really Going To Die si mescolano ai toni di voce profondi di Harry McVeigh e come in una macchina del tempo sonora, veniamo trasportati direttamente negli anni ’80. Persi nella ripetizione disperata del verso “Sto davvero andando a morire?” Con As I Try Not To Fall Apart, la title track, si ribadiscono una volta di più quelle che sono le coordinate nelle quali si muovono i White Lies, con una predilezione per band quali Sound e The Cahemeleons. Si tratta infatti di un suono che non è più dark, anzi che non lo è mai stato, ma che fatica ad andare a nozze con il new romantic, restando pertanto in sospeso in un limbo dolceamaro pulsante e ricco di tensione.

Le potenzialità di scrittura del trio sono notevoli; questo brano in particolare ha una capacità di attrazione a tutto tondo e riesce a colpirti per la parte strumentale e per i versi semplici ma profondi. Un esempio su tutti della potenza lirica è questo verso: “Sono un uomo sulla quarantina dal cuore tenero? Indizi incorporati e sulle mie mani l’oroscopo delle carte. No, non sono un granello di sale speciale, né una stella sconosciuta, perché c’è un grande e santo piano del quale preferirei non farne parte / Non è così, non è così. Mi fai sempre rilassare la testa e fai il letto come domenica / Non è così, non è così. Mi fai parlare con i morti e mi chiedi se sono vivo. Perché ogni mattina ci si sveglia? Devo cercare di non cadere, devo cercare di non andare a pezzi? Mi prendi tra le tue braccia riconoscenti ed io cerco di non cadere e di non cadere a pezzi”. È evidente, seppur cervellotica, la descrizione dell’Amore come unica ragione di vita, come la sola cosa importante, come la risposta ai quesiti ancestrali dell’uomo. La successiva Breathe ci riporta a tempi più recenti, a quel bellissimo esordio degli Editors datato 2005, intitolato The Back Room, solo con meno urgenza e più ragionamento. Inesorabile e in crescendo, ci raggiunge il singolo I Don t Want To Go To Mars, canzone destinata a far innamorare dei White Lies chi ancora non ha avuto modo di approcciarli o semplicemente li ha snobbati. Oggi si definirebbe questo pezzo ‘catchy’, ma c’è qualcosa di più. A cominciare dalla strategia commerciale, per esempio, con l’utilizzo nel titolo del pianeta Marte, argomento ultra gettonato e reso costantemente in voga dai media che offrono ampio risalto alle scaramucce e i corteggiamenti tra Elon Musk e la Nasa. Tutto è curato nel dettaglio, compreso il video promozionale in perfetto stile anni ’70 post corsa allo spazio e clima di tensione annesso. Le immagini veicolano il pezzo con un riff in egual misura alieno, ripetitivo e assassino.

Con Step Outside si cambia registro, l’atmosfera è rilassata a cominciare dal cantato e dal dialogo tra tastiere e basso. Si tratta di un pezzo allegro, per quanto lo possa essere una canzone dei White Lies, ma questo “intermezzo”, concede un po’ di respiro al disco. In Roll December è presente tutta la classe della band, che si discosta quanto può da nomi forti quali Teardrop Explodes ed Echo & Bunnymen. La voce segue la tendenza e diventa sempre meno Julian Cope e Ian McCulloch, per dar spazio a Harry McVeigh e alla sua personalità. Ma il trio, composto da Charles Cave (autore dei testi e dei ritmi di basso pulsanti) e Jack Lawrence-Brown (batteria), è capace di osare e spingersi oltre i propri lidi; prova concreta è The End col suo ripetitivo “I’m here again”, una sorta di paradiso perduto all’interno del disco e la conclusiva There Is No Cure For It, che per l’ascoltatore attento suona come una resa condizionata a quegli anni che non torneranno più, a quel decennio dove i già citati Sound e soprattutto The Chameleons avrebbero meritato il giusto successo. La speranza è che questi padri putativi abbiano consegnato in eredità il carattere e la freschezza di una proposta musicale che tende a rinnovarsi e non essere mai uguale a sé stessa.

Tracklist:
01. Am I Really Going To Die
02. As I Try Not To Fall Apart
03. Breathe
04. I Don’t Want To Go To Mars
05. Step Outside
06. Roll December
07. Ragworm
08. Blue Drift
09. The End
10. There Is No Cure For It