R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Thomas Sankara, fu un leader rivoluzionario dello stato del Burkina Faso, ma per estensione fu leader di tutta l’Africa Occidentale. Le parole che pronunciò davanti all’Assemblea della Nazioni Unite, il 4 ottobre 1984, passarono alla storia: “Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo, il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del grande popolo dei diseredati, di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. Sankara, poneva l’accento su un tema sotto gli occhi di tutti, ma sempre volutamente ignorato, quello della diseguaglianza tra il nord e il sud del mondo e non solo. L’enorme ed incolmabile debito dei paesi africani aveva, secondo Thomas Sankara, una origine precisa: il colonialismo, poiché i creditori, sono gli stessi colonizzatori, in un cortocircuito tanto tragico, quanto evidente. 

Se mi è concessa una piccola digressione, alla luce dei tragici fatti che accompagnano le nostre vite in queste settimane, dovremmo interrogarci anche sul ruolo che riveste l’ONU oggi, ma il discorso sarebbe lungo (e sconsolante), quindi meglio proseguire ricordando che sono proprio quelle parole ad essere state il filo conduttore del magnifico lavoro di Marco Colonna e del suo New Ethic Society Sextet, dal titolo Post Colonial Blues (edito dall’etichetta NES) e dedicato alla figura di Thomas Sankara. È inutile sottolineare, ancora una volta, oppure non è affatto inutile, come il mondo del jazz contemporaneo internazionale, sia sempre più attento ai temi dello sfruttamento, delle migrazioni, dell’ecologia, della guerra e di tutte quelle tematiche universali che per qualcuno non esistono o, quanto meno, non sarebbero parte diretta della nostra vita quotidiana. Certo, un disco si può ascoltare anche solo per la musica, poiché esiste comunque una “autonomia del significante”, secondo la nota teoria di Roland Barthes, ma è anche evidente che il catalogo delle note e della loro infinita combinatoria, avrebbe persino poco senso, se non fossero supportate da una intenzionalità. “L’art pour l’art” è sempre un filo teso sull’abisso della banalità e quindi saluto sempre con grande entusiasmo un lavoro musicale che oltre ad avere a cuore l’autonomia del significante, la sappia legare alla costante di un “significato”. E allora fuoco alle polveri, con la voce chiara e stentorea di Giulia Cianca che introduce proprio il testo di Sankara, accompagnato dallo “strisciante” clarinetto basso di Marco Colonna, autore di tutta la composizione, dal trombone di Giorgio Tebaldi e da qualche rintocco discreto di batteria. Sono però le parole rivoluzionarie di Sankara ad essere in evidenza, almeno fino a quando le corde del basso di Luca Corrado non introducono i vocalismi molto “terzomondisti” di Giulia. I ritmi sono interrotti da una parentesi rumorista a bassa intensità, ma molto evocativa della batteria di Cristian Lombardi e dal trombone di Tebaldi che conduce una meditazione intima e pacata, fino a quando non è ancora la voce, questa volta struggente e lamentosa che imbastisce un canto atonale e conturbante che riequilibra (o disequilibra) l’intro perentoria del recitativo del discorso di Sankara. È poi la volta del clarinetto di Marco Colonna che intraprende un commento sonoro di rara bellezza e che ci riporta a ritmi quasi folk. Si va avanti cosi tra avanguardia ed etno-music, con gli inserti del recitativo delle dure parole di Sankara, con molte concessioni ad una ardita improvvisazione nelle contorsioni vocali della bravissima Giulia Cianca.

L’amalgama tra parti didascaliche e parti poetiche, se mi è concessa la teoria vagamente crociana, è perfetta. Post Colonial Blues riporta alla mente i ricordi di tanto  jazz “politicamente impegnato”, come si diceva un tempo, a cominciare da quello del grande Charlie Haden. Il disco è stato registrato dal vivo in un piccolo locale di Roma e il ricavato delle vendite sarà devoluto alla Onlus “Si può fare” che opera proprio nel Burkina Faso; non solo parole dunque e nemmeno solo musica, ma fatti concreti, un motivo in più per non fare mancare questo CD nella propria discoteca.

New Ethic Society BANDCAMP

Marco Colonna: Bass Clarinet
Giorgio Tebaldi:
Trombone
Giulia Cianca:
Voice
Mario Cianca:
Contrabass
Luca Corrado:
Baritone Guitar
Cristian Lombardi:
Drums

Tracklist:
01. Prologue
02. La necessità del cambiamento
03. Povertà
04. Madri
05. La forza della gioventù
06. Conflitto
07. Il potere degli occupanti
08. Il popolo chiama
09. Interlude
10. Verso la rivoluzione
11. Il coraggio
12. La poesia della rivolta
13. La breve vita di un sogno
14. Ending
15. Flowers of recistance