R E C E N S I O N E
Recensione di Arianna Mancini
Si chiama Tommy l’ultima espressione sonora di Anna Calvi, uscita il 6 maggio via Domino Records. Si tratta di un EP contenente 4 brani: una rilettura stilistica, un inedito e due cover d’autore. Un breve ed intenso atto di quindici minuti, che giunge a distanza di quattro anni dall’album in studio Hunter (2018) e a due dall’EP Hunted (2020).
Tommy, come Tommy Shelby, protagonista principale della serie della BBC One, Peaky Blinders, creatura di Steven Knight. Si tratta di uncrime-drama ambientato nella Birmingham di inizio Novecento che segue le gesta del clan Shelby (The Shelby Company Limited) guidato da Tommy, reduce di guerra e boss del clan Peaky Blinders, dedito al controllo delle scommesse, crimini, omicidi, affari politici, non solo locali e che estenderà il suo raggio d’azione espandendosi; e in mezzo a tutto questo c’è anche amore, intrighi, morte, vendette e passione. Anna ha instaurato un rapporto di stretta collaborazione con i produttori della serie a tal punto da comporre la colonna sonora delle ultime due stagioni, la quinta e la sesta; che in Italia sarà disponibile su Netflix a partire da giugno.

L’EP è un’ode al controverso personaggio di Tommy Shelby, interpretato da Cillian Murphy. Nella realizzazione di questo lavoro la Calvi ha voluto al suo fianco, Nick Launay, produttore del suo terzo album in studio Hunter e degli album di Nick Cave and the Bad Seeds, Yeah Yeah Yeahs, Grinderman e Idles.
Della genesi creativa Anna racconta:”Ho vissuto nel personaggio di Tommy Shelby per anni, dopo aver scritto la colonna sonora della quinta serie e di questa serie finale di Peaky Blinders. L’unico modo per scrivere per questo show è entrare nella sua testa: l’ho sognato ogni notte per mesi, e quando prendo in mano la mia chitarra cerco di suonare i suoi pensieri interiori. La mia chitarra è la sua violenza e la mia voce è la sua speranza. Ho sempre pensato che dovesse avere una canzone che lo riassumesse: è l’antieroe per eccellenza, assassino, freddo, terrificante, ma con un profondo amore per la sua famiglia e un’ingenua speranza infantile di potersi un giorno elevare al di sopra di tutto. Volevo credere che Ain’t No Grave fosse la canzone che gli girava in testa mentre attraversava la sua vita al rallentatore. Credo che Tommy farà parte di me per sempre!”.
Ed è proprio Ain’t No Grave che apre le danze, rivisitazione stilistica, sia musicale che lirica, dell’omonimo brano di Claude Ely (1934) e magistralmente reinterpretata anche da Johnny Cash, che riesce sempre a tingere di ulteriore magia e dare una nuova vita ad ogni canzone, che rinasce grazie al suo viscerale talento. Il pezzo di apertura ci sospinge da subito in un tunnel elettrificato da uno spessore sonoro sostenuto dal ritmo incalzante e un’aria minacciosa. Nel sanguigno scorrere delle sonorità si insinua la voce vigorosa e piena di Anna, alternando brevi momenti di un quasi spoken, a volte sussurrato, fino ad elevarsi in esplosioni e morbide altezze: “There ain’t no grave/ Can hold my body down/ … Love falls through the air/… I see a band of angels/ They’re coming after me/ … Meet me, Jesus, meet me/ Meet me in the middle of the air”. Questo è Tommy, incastrato nella dicotomia fra dannazione e desiderio di redenzione.
Il tormento interiore di Tommy ritorna nella seguente Burning Down, brano autografo, che la stessa Calvi definisce come lato B di Ain’t no Grave, quella parte in cui lo si vede pensare nella sua immobilità: “I’m falling over/ In the night of a burning heart… I’m burning down/ Dreams that I have done/ Things that I’ve given life to/ It’s not easier to face everything that I have faced”. Sono di nuovo i pensieri di Tommy che si erigono come se vivessero in una sfera separata dall’azione. Qui i toni ci portano in atmosfere lievi, morbidezze che si dilatano in bagliori lunari e che nella strofa “It’s not easy to be alone” resuscitano reminiscenze alla Portishead. Una canzone che nella sua lentezza brucia di dolore in cui spicca il talento vocale della Calvi, che fa da perno.
È giunto il momento della prima cover d’autore ed il sipario si apre su Red Right Hand contenuta in Let the Love In (1994), brano che non necessita di presentazioni; immortale sigillo del nostro Re Inchiostro & i suoi Semi Malati, brano in cui fra l’altro Lawrence Mullins, il batterista di Cave, vi suona la batteria. Il brano è strutturato da una nuova prospettiva fra il gotico con guizzi di elettronica. Le chitarre distorte dal tormento ci introducono nel tutto che si dipana in una lenta e dilatata cupezza senza scampo, vortici di nebbie si espandono dal synth come un lamento: “He’s a god, he’s a man/ He’s a ghost, he’s a guru/ They’re whispering his name/ Through this disappearing land/ But hidden in his coat/ Is a red right hand”. Lui è un dio, è un uomo, è un fantasma, anche questo brano è come un abito perfettamente cucito addosso a Tommy.
La cover di Bob Dylan All The Tired Horses, contenuta in Self-Portrait (1970) chiude l’Ep e si riveste qui di atmosfere eteree, un intimismo melodico che ben si addice alla scena finale di un film, mentre nello schermo scorrono i titoli di coda.
Tommy è un calice da bere lentamente, assaporandone ogni goccia, un percorso nel lato oscuro di ogni animo maledetto. Conferma il talento e rivela l’evoluzione e la maturità artistica della songwriter britannica, anche nel destrutturare e ricontestualizzare brani noti. Anna avrà ancor modo di ammaliarci, magari con il suo quinto album …sta prendendo forma proprio in questo periodo; e quando c’è nuova musica da ascoltare, c’è vita.
Tracklist:
01. Ain’t No Grave
02. Burning Down
03. Red Right Hand
04. All The Tired Horses
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