R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
In una piacevole tavolata tra amici mi capitò di sostenere – complice il vino che induceva giocoforza ai dialogoi – che piccoli gruppi cameristici, sia nell’ambito classico che nel jazz, costituivano una teorica modalità perfetta di ascolto. Pochi strumenti, meno distrazioni, più capacità di seguire lo svolgimento della musica. Al che uno tra i commensali mi fece riflettere sul misterioso, abbacinante effetto di un’orchestra. Magicamente, strumenti di natura diversa che svolgono parti differenti come trombe e tromboni, archi e flauti, s’intrecciano in una sorta di danza erotica, avvicinandosi e allontanandosi in un altalena continua tra eccitazione e malinconia. “La differenza” – sosteneva l’amico – “sta tutta nel colore”. A distanza di tempo devo convenire che un gruppo orchestrale, considerato nel suo insieme, si trova realmente su un altro pianeta. Se poi le partiture sono scritte con cognizione di causa e in una modalità cosi pura e lineare come nel caso di questo A Kind of Folk, seconda uscita discografica della compositrice e cantante astigiana Aura Nebiolo, allora può scattare veramente una sorta di seduzione verso tutto ciò che riguarda un’orchestra e il potenziale della sua tavolozza di sfumature. Il titolo dell’album, come racconta la stessa autrice, si rifà ad un brano del trombettista Kenny Wheeler, appunto Kind of Folk, che si trova in Still Waters uscito nel 2005. Paradossalmente questa traccia è eseguita in duo – oltre alla tromba di Wheeler c’è anche il piano di Brian Dickinson – ma tra gli spazi sonori e le suggestioni armoniche create dai due musicisti, la Nebiolo potrebbe averci letto degli spunti, delle idee nuove dalla cui elaborazione è nato un disco come questo pubblicato per Abeat. L’artista piemontese, diciamolo subito, è una più che piacevole sorpresa. Da quello che avevo compreso nel suo disco precedente, una raccolta di standard dedicati a George & Ira Gershwin, pubblicato solo l’anno scorso, mi era sembrata una brava cantante jazz e poco di più, alle prese tra l’altro con una formazione ridottissima (vibrafono e contrabbasso, rispettivamente degli ottimi Maurizio Vespa ed Enrico Ciampini). Francamente, non avrei potuto prevedere questa evoluzione che ora la vede nella triplice veste di cantante, autrice ed arrangiatrice e in grado di condurre elegantemente gli undici elementi della sua orchestra – li citerò tutti, come conviene, in coda alla recensione – inserendosi tra loro con la sola voce.

Evidentemente questo progetto doveva essersi formato in nuce già da qualche anno perché la difformità delle parti e il lavoro necessario al loro armonico inserirsi, mantenendo una visione globale di grande sobrietà stilistica, è sicuramente il prodotto di un lungo periodo di gestazione. Quello che mi ha particolarmente colpito è la capacità della Nebiolo di mescolare i vari elementi tra loro, di saper creare un’alchimia molto misurata in cui tutte le strutture si collegano le une alle altre come in un mosaico ben bilanciato. Non un quadro alla Mirò, per intenderci, ma un ordine “deviante” come in Paul Klee in cui la musica possa esprimersi, da lì in poi, con un linguaggio meno usuale.
E infatti l’album si apre con una prima traccia, Frequenze Armoniche, che proprio non si può definire come “ordinaria”. Il jazz ne è la chiave sicuramente interpretativa, grossomodo ponendola in stanze vicine alle orchestrazioni costruite alla maniera di MIngus, piuttosto che quelle più swinganti di Gil Evans o di Ellington. Mi viene da pensare anche a compositori come Michael Mantler o Maria Schneider, anche se la distanza con questi ultimi riferimenti è ancora virtualmente lunga da colmare. Il brano inizia con un contrabbasso che batte su una stessa nota, un passo pesante subito ripreso dal nascente suono degli ottoni e dalla comparsa della voce nitida della Nebiolo. Il mood generale ha qualcosa di drammatico ed è proprio il canto che ne allenta la tensione. Poco prima della metà compare il piano di Nicola Meloni impegnato in una serie di interessanti modulazioni tonali e da qui in poi l’atmosfera si fa più leggera con dei gradevoli interventi in assolo di tromboni e di tromba che procedono su una batteria ritmicamente molto lineare. Comunque c’è ricchezza di cambiamenti, non radicali ma continui, con un finale che ha perso per strada il tono incombente della parte iniziale per stemperarsi in una modalità più leggera. Good Roots è un bel brano con tanto di testo ben articolato, condotto con grande eleganza. Si apre in un’introduzione reiterata e costituita da un incrocio di fiati che precede il cantato morbido, con qualche vibrato al posto giusto e un intrigante accompagnamento degli ottoni che si avverte tra le righe. Ottima ed essenziale la ritmica di contrabbasso e batteria, mentre il piano di Meloni si evidenzia in uno dei momenti swinganti dell’album e promuove l’intervento in vocalese che seguirà da lì a poco, ad opera della stessa Nebiolo. Good Roots è più di una semplice canzone, è un lavoro aperto, modulato da una linea cangiante di sassofoni, tromboni e trombe condotto con raffinato senso della misura.

Grey Nose è dedicata con affettuosa simpatia al ricordo di un gatto della stessa autrice. Impostazione complessa, scat al posto del vocalese, una continua alternanza tra swing ed accenni melodici che sembrano ricordare vagamente arie dell’est Europa. Si scivola nel blues, a metà brano, con un bel solo di sax. Poi riprende il canto della Nebiolo che si muove lungo un percorso melodico molto strutturato. Al di là dei gusti estetici individuali, occorre sottolineare l’indubbia accuratezza degli arrangiamenti e l’abilità dell’autrice di muoversi lungo tragitti che hanno scrutato le viscere storiche del jazz, prima di avventurarsi felicemente nelle proprie composizioni. A Kind of Folk comincia con molto swing e si sviluppa attraverso numerosi assoli passando dal trombone al sax, dall’intervento vocale della Nebiolo – che qui presenta forti analogie timbriche e intenzionali con Maria Pia de Vito – fino alla tromba. La ritmica è impeccabile, grazie anche alla linea di contrabbasso della Perego, assolutamente perfetta nel tenere cucite insieme istanze tanto eterogenee. Deadline è il brano finale e s’annuncia con un calcolato assolo di batteria per poi innescare un tempo veloce che sorregge sia il canto che l’assolo di contrabbasso. Molto colore da parte del piano. A proposito di Meloni, consiglio un ascolto a due suoi lavori, facilmente reperibili in streaming, in modo particolare a Mura Domestiche, un e.p. che dimostra spunti teorici insoliti, meritevoli di uno sviluppo su registrazioni di durata maggiore. Chiude un assolo di sax, si direbbe di Gledison Zabote, facendo fede alle note stampa.
Impressionante lavoro complessivo, vuoi per la giovane età dell’autrice, vuoi per la spigliatezza della scrittura che avrebbe potuto intorcinare un altro autore meno preparato. Ottimi gli interventi di tutti i musicisti, purtroppo difficili da identificare nominalmente in ciascun pezzo. Da ultimo – last but not least – la simpatia e la disponibilità professionale della Nebiolo, vista ed ascoltata su un video-intervista che gira sul Tubo a questo link.
Di seguito l’elenco dei musicisti partecipanti all’album:
Cesare Mecca (track 1,3,4,5) Dario Avagnina (track 1,3,4) trombe
Enrico Allavena (track 1,3,4) Alberto Borio (track 1,3,4) tromboni
Simone Garino (alto in track 1,2,3,4) Gledison Zabote (tenor in track 1,3,4,5, alto in track 2), Simone Blasioli (tenor in track 1,2,3,4), Luca Zennaro (baritone in track 1,2,3,4) sassofoni
Nicola Meloni piano
Veronica Perego contrabbasso
Francesco Brancato batteria
Aura Nebiolo voce
Tracklist:
01. Frequenze Armoniche
02. Good Roots
03. Grey Nose
04. A Kind of Folk
05. Deadline
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