L E T T U R E / I N T E R V I S T A
Recensione di Alberto Calandriello
È uscito da qualche settimana, dopo una lunga gestazione, il libro Veleno Sottile – La storia degli Screaming Trees, volume unico, al momento, dedicato alla band di Ellensburg, scritto da Davide Pansolin ed edito da Tsunami Edizioni, “benemerita” casa editrice, da sempre attenta al mondo del rock in tutte le sue derivazioni, anche quelle più estreme.
L’autore è invece un sognatore vero, uno degli ultimi romantici, che crede alla diffusione e alla condivisione musicale e che da sempre si spende in prima linea in tal senso. Fanzinaro, speaker radiofonico e a capo di una piccola etichetta discografica per diversi anni (Vincebus Eruptum) Pansolin porta avanti ogni progetto con ostinato entusiasmo, finendo per coinvolgere chi lo segue. Della band in questione poi è sempre stato un fan e da appassionato musicale ha colto subito la sua importanza in quel panorama forse confuso e troppo affollato che si cela dietro il termine “Grunge”.

Una volta chiarito che il grunge non è uno stile musicale, bensì un approccio, un atteggiamento, una scena attorno alla quale si radunarono band diversissime tra loro, accomunate appunto più da quello che girava loro in testa piuttosto che da quello che usciva dai loro strumenti, credo che da un punto di vista musicale siano gli Alice in Chains ad avere il debito più grande verso gli Screaming Trees.
Il gruppo del compianto Mark Lanegan, dei fratelli Gary Lee e Van Conner, di Mark Pickerel e successivamente Barrett Martin, rappresenta perfettamente la capacità di arrivare sempre nel posto giusto, al momento sbagliato: la loro cronica incapacità di “sfruttare l’attimo” gli ha impedito di sedersi ad una tavola ricca e, come detto prima, affollata spesso in modo discutibile; innegabile però che a loro molti dei nomi di punta di quel periodo debbano più che qualcosa, per suoni ed attitudine.
Un gruppo di beautiful losers, autodistruttivi e cupi, al punto da rimanere ai margini di una scena che ebbe il suo apice nel disco cupo ed autodistruttivo dei Nirvana: questa è coerenza!!
Iniziato ben prima della morte di Lanegan, il volume racconta in maniera precisa la storia degli Screaming Trees, dagli esordi allo scioglimento, con un ampio spazio dedicato alle carriere soliste, non solo del cantante, visto che Pansolin è direttamente coinvolto in quella di Gary Lee Conner e al rapporto della band con l’Italia, molto belle e significative le numerose foto.
Conosco Davide da diversi anni, perchè è il tipo di persona da cui mi faccio conquistare immediatamente, tra le altre cose organizza anche una fiera del disco dalle mie parti, chiamata Savona Vinile e non è stato quindi difficile contattarlo, in occasione di un’intervista radiofonica, per una breve chiacchierata, che riporto qui:
OT: Perché un libro sugli Screaming Trees ora?
DP: Perché nessuno lo aveva scritto! Io il libro sono partito a scriverlo per me stesso, perchè trovavo ingiusto che in mezzo a tonnellate bibliografiche legate alla scena di Seattle non ci fosse nulla che parlasse della band di Ellensburg! Il timing è invece casuale, perché dettato dalla nascita del mio rapporto collaborativo con Gary Lee Conner. Mi sarebbe piaciuto lavorarci anche in passato, ma senza avere le fonti dirette sarebbe stato impraticabile.
OT: Come collochi gli ST nella cosiddetta scena grunge?
DP: Li colloco a lato…perché loro non si possono definire una band grunge, oppure di Seattle. Il loro suono ha influenzato alcune band della scena, ma loro erano molto più garage-psych oriented, perlomeno nel primo periodo di carriera. Con Buzz Factory e la produzione di Jack Endino si sono allineati un po’ di più alle sonorità grunge (hard-rock/punk), pur mantenendo intatto il loro tratto distintivo.
OT: Parlando di successo, perché i Nirvana, i Pearl Jam, i Soundgarden e soprattutto gli Alice in Chains che sono quelli che secondo me devono di più agli ST si gli ST no?
DP: La mia interpretazione del loro insuccesso è duplice: per un motivo di immagine e promozione, in quanto i loro video non furono fatti girare in heavy-rotation come quelli di altre band, ma anche per un motivo di timing…il seguito di Sweet Oblivion (Dust) che avrebbe dovuto e potuto sancire il loro successo, uscì dopo quattro anni e dopo il tempo massimo, cioè il 1996.
OT: Come hai conosciuto Gary e che tipo di persona hai trovato?
DP: Ho conosciuto Gary Lee proponendomi di pubblicare ad inizio 2019 il suo lavoro solista “Unicorn Curry” ad inizio 2019. Da lì in poi ho pubblicato in vinile 3 suoi dischi. Ho trovato una persona estremamente umile e disponibile…una persona eccentrica ma ECCEZIONALE!
OT: Il rapporto degli ST con l’Italia sembra particolarmente intenso, ne hai parlato con Gary? come mai secondo lui e secondo te?
DP: Ne ho parlato, ma non è emerso nulla di particolare. Semplicemente si sono sempre trovati molto bene in Italia perché hanno sempre ricevuto un’ottima accoglienza. Mi ha parlato di organizzazioni nei locali un po’ approssimative, ma di grande entusiasmo lato spettatori.
OT: Chi assomiglia di più agli ST oggi?
DP: Sai che non saprei…non sto seguendo in maniera attiva la scelta attuale, ma secondo me non ci sono band attuali che miscelino in maniera così sapiente psichedelia, garage e punk con un livello melodico così interessante…oltre a non vedere nel panorama musicale attuale una voce come quella del compianto Mark Lanegan.
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