R E C E N S I O N E
Recensione di Aldo Del Noce
Valenze ancestrali ed implicazioni sciamaniche intuibili già dal titolo, ad introduzione di materiali che di fatto ne confermano il carattere: giusto qualche attenzione a scansare ogni più superficiale connessione ‘world’ per non dire (orrore!) ‘new-age’ – che neppure però costituirebbero un’eresia a priori.
Poco scontata è intanto la liaison geo-culturale che cimenta due esponenti del sub-continente turco con un alfiere finnico, più in particolare considerando l’identikit robustamente impegnato del polivalente Umut Çağlar, tra gli animatori del sovversivo ensemble etno-free Konstrukt, il vissuto del batterista Fahrettin Aykut, già transitato nella congiuntiva band Baba Zula, quindi del peculiare artigiano di fiati Jone Takamäki (incidentalmente affine per scelte strumentali al ben distinto Ab Baars), già militante nella composita band Krakatau oltre che nella formazione Roommushklahn, ed autore del quotato disco di spiritual-jazz Universal Mind, che ulteriormente c’illumina sulla non marginale scena creativa di Finlandia.

Operazione partente da uno happening d’arte tenutosi ad Istanbul nel 2017 su iniziativa di Aykut, di suo anche architetto ed artista visuale, l’installazione “Urvban Transformation” simboleggiata archetipicamente da un albero capovolto tentava di rendere la relazione tra l’uomo e la terra nella fusione tra pittura e musica, in cui gli attori della presente performance rilasciavano una peculiare sintesi tra un’idea quanto meno aperta del neo-free e segni eterogenei del simbolismo naturale e dell’ancestralità.
Intriso dei fluenti idiomi flautistici nello stile del Sol Levante, lo shakuhachi di Takamäki apre il primo passaggio, che si struttura con vigoria grazie all’elettrificato apparato percussivo di Aykut, abile a conciliare (ma non ci sembra il termine più calzante) forze tribali e vigorìe da rivolta metropolitana, in assertivo crescendo così come il denso bordone dei cordofoni animati da Çağlar ed i lampi del sax tenore, configuranti un catartico affresco di livido colore.
Agglomerazione differente nella successiva track, introdotta da concentrate e roche emissioni d’ancia, preparanti ad un ipnotico clima incarnato da vigorosi interventi del triplice combo, che perviene ad incorporare sciamaniche evocazioni, idiomaticamente aggreganti l’emisfero nord del globo, dismettendo nella sostanza le soluzioni più proprie dell’avant-jazz prevalenti nella prima parte del programma.
Le cronache riportano che il relativo e breve ciclo concertistico ha vantato tra gli appagati spettatori anche il producer Thurston Moore, anima dei Sonic Youth – non che la notizia riesca essenziale, ma tant’è! – e lungo le due immersive jam in cui è bipartito (anzi quadripartito) il risultante album Myth Of The Drum, si palesa quale cattivante realizzazione vinil-only (ad oggi sempre meno rara) dagli stilemi forse non del tutto inediti, ma segnata con apprezzabili energie dalle timbriche peculiari e a tratti ostiche del fiatista Jone Takamäki, dall’operato da ingegnoso tessitore coloristico di Umut Çağlar, nonché dall’animazione ritmico-effettistica del volitivo Fahrettin Aykut.
Jone Takamäki: sax tenore, ney, shakuhachi, clarinetto
Umut Çağlar: guimbri, kalimba, gralla, zurna, mey, flauti
Fahrettin Aykut: percussioni elettroniche, batteria, piatti
Tracklist:
01. Part I & II
02. Part III & IV
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