R E C E N S I O N E
Recensione di Giovanni Tamburino
Quando una band orgogliosamente affermata nell’underground emo/punk italiano come i Gazebo Penguins decide che è il momento che un nuovo lavoro veda la luce, le aspettative sono alte. E infatti, la capacità di Capra, Sollo e Piter – in questo caso con la partecipazione di Rici – di recuperare, creare, melodizzare e distorcere concetti, stati d’animo, producendo percorsi musicali che per tagliar corto chiameremo album, tocca ancora una volta i propri apici dopo il successo di Nebbia nel 2017.
Con l’immediatezza e spontaneità che contraddistingue da sempre la band, data anche dalla scelta di non organizzare pre-release al di fuori dei live di presentazione nella prima metà del mese, Il 16 dicembre esce dalle scuderie di Garrincha Dischi, con la partecipazione della storica To Lose La track, Quanto, il nuovo disco dei Gazebo Penguins. Un viaggio irregolare, accidentato, all’insegna di un binomio di caos e ciclicità che, più che controsenso, rispecchia due differenti facce dell’animo umano.

È evidente come nell’immaginario della band sia costante il precipitare ontologico di un’esistenza priva di appigli e certezze, eppure, allo stesso tempo, tale condizione genera spontaneamente la propria controparte: un periodico e permanente riacutizzarsi della nostalgia. Una malinconica ricerca di qualcosa di indefinito che, proprio nel celare la propria esistenza, non fa altro che affermarla come il fondo di un buco nero.
“La speranza è un brivido che ci difende, ma non la smette di lasciare lividi”.
Allo stesso modo, il disco alterna suono melodico e scomposto, tesi e antitesi. Proseguono le sonorità di Nebbia, il muro distorto di chitarre e percussioni violente e immediate si scontra con la voce pronta a lacerare, ma lasciando anche alla produzione il compito di portare avanti i temi dell’album, come nella destrutturazione sonora alla fine di Nubifragio, per poi riassemblarsi in nuove forme e possibilità.
Esplorando concetti della fisica e della filosofia della scienza, si affronta uno spettro umano tra rassegnazione e apertura, interrogandosi su passato e presente, sul rapporto con la materia e con il tempo, come nel caso del secondo singolo estratto Cpr14. Un viaggio tra noto e ignoto che punta ad arrivare al quanto, al fondamento minimo e primigenio della materia, per contemplare ciò che di vuoto e sconosciuto rimane ancora.
E proprio ciò che rimane ancora celato al velo della conoscenza, la nostalgia di cui si è già parlato, diventa elemento salvifico in questo ciclo di caduta e ricerca. Una nuova rivelazione ancora da scoprire, che in qualche modo sembra richiamare Montale quando afferma che “un imprevisto è la sola speranza”.
“Torneranno i giorni che non ci spaventano”, questa la promessa in Feyerabend, dove si ribadisce di cercare con ancora più forza fuori dalle logiche, da schemi precostruiti. Dall’abbandono della prigionia del certo nasce la libertà del possibile. E quel vuoto all’improvviso è pieno, è ricco di ogni cosa non ancora incontrata.
Cosa fai domani apre al futuro, ad accettare che il viaggio attraverso lo spazio e il tempo, attraverso l’esistenza stessa, è inesauribile, perché “crescere è un traguardo sempre un po’ più in là”.
Quanto è un rifiuto della stasi, è il paradosso del gatto di Schrödinger, è continua ricerca, perdita e ritrovamento di qualcosa posto costantemente appena al di fuori della percezione, senza mai permettere di rassegnarsi alla sua assenza.
Tracklist:
01. Nubifragio
02. Cpr14
03. Se Non Esiste Il Vuoto
04. Erwin
05. Feyerabend
06. Cosa Fai Domani
07. Uscire
Foto © Stefano Bazzano
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