R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Ben lungi dall’essere considerato un dissacratore, il batterista Dan Weiss mantiene nella propria arte un alto punto di ebollizione, mandando velocemente in temperatura tutto ciò che abitualmente costituisce il suo bagaglio di esperienze musicali. E sono indubbiamente tante, quest’ultime, perché il quarantacinquenne musicista newyorkese ha accumulato così tanti stimoli, nella sua attuale carriera in continuo divenire, che può permettersi di transitare tra jazz, avant-garde, rock-metal, progressive e musica classica occidentale ed indiana con assoluta, felice noncuranza. Questa sicurezza di sé si è corroborata non solo attraverso gli studi alla Manhattan School Of Music e con gli insegnamenti del maestro indiano Samir Chatterjee per quello che riguarda le tablas ma anche per mezzo di una novantina di collaborazioni insieme ad artisti di vaglia. Qualche nome? Parliamo di incisioni con chitarristi come Rez Abbasi e Miles Okazaki, sassofonisti come Rudresh Mahanthappa e David Binney e numerosi tour in compagnia di Lee Konitz, Chris Potter, Kenny Werner e molti altri. Weiss ha pubblicato diversi dischi a suo nome ma questo Dedication ha un doppio significato. Da un lato è un insieme di omaggi a nove figure di riferimento che sono state per lui particolarmente significative, da alcuni familiari ad artisti e personaggi della cronaca e dall’altro è una riconferma del suo storico trio, con cui vanta una conoscenza ventennale, cioè il pianista Jacob Sacks e il contrabbassista Thomas Morgan. Con questi musicisti Weiss aveva pubblicato Now Yes When (2005), Timshel (2010) e Utica Box (2019) – quest’ultimo con la collaborazione di Elvind Opsvik come bassista aggiunto. Uno degli aspetti che maggiormente salta all’occhio – o meglio all’orecchio – in Dedication, è che la dialettica strumentale, pur muovendosi continuamente attraverso istanze contemporanee, non si allontana poi troppo da una matrice jazzistica di base tradizionale, o meglio, Weiss tende a trasfigurare quest’ultima come se dovesse promuoverne una forma più consona ai nostri tempi. Del resto, come egli stesso indica nelle note stampa, il “classico” trio jazz piano-contrabbasso e batteria è per collocazione storica alle radici del jazz dal ’50 in avanti ma nel contempo esso consente libertà, esperienze e tensioni sempre nuove, soprattutto quando gli elementi del gruppo si conoscono e si apprezzano vicendevolmente da molto tempo, com’è appunto in questo caso

Anche se avere buone credenziali non è un viatico sufficiente di per sé per creare un degno lavoro musicale, Dedication può soddisfare molte esigenze differenti, da chi ama abbandonarsi alla pura estetica sonora espressa da un trio come questo a chi cerca sempre nuove dimensioni in quei cabinets of curiosities rappresentati da ciascuna delle musiche accoppiate alle dediche di questo album. Le dissonanze presenti non sono mai insistite su loro stesse, tendono a risolversi spesso in breve tempo, calamitate da un innato senso del gusto che appartiene al naturale habitat in cui il terzetto di Weiss si muove da sempre. Anche per questo motivo siamo di fronte ad un album di non difficile assimilazione, privo com’è di tendenze autolesionistiche derivate da improvvide sperimentazioni.

L’album apre con la prima dedica, For Tim Smith, il leader della post-punk band inglese dei Cardiacs, morto a 59 anni. In realtà questo brano non era stato originariamente pensato come uno specifico omaggio alla memoria ma quando Weiss l’ha composto si è reso conto che quella summa di accordi quasi tutti in maggiore che sostengono il pezzo potevano essere ricondotti all’impronta stilistica del gruppo inglese. La musica si apre con una sequenza di note per pianoforte che preludono ad un netto, urgente attacco di contrabbasso e batteria. Il 4/4 iniziale viene spesso alterato dai cambi di passo di Weiss, abilissimo nel togliere il terreno da sotto i piedi per dare l’impressione di una certa instabilità ritmica. A tratti si ha la sensazione di un pezzo tipicamente rock, se non venisse spesso agito da una serie di turbolenze strumentali – soprattutto ma non esclusivamente pianistiche – che ci rimandano a qualche assonanza casuale con gli E.S.T. Un assolo stralunato di contrabbasso conclude solitario, quasi fuori contesto. For Vivienne è stata scritta per la figlia seienne di Weiss ed evidentemente è quasi percepibile il sentimento che muove la composizione strutturata in forma melodica e ricorrente, ben sottolineata dal piano di Sacks, attento a non tradirne il tono lirico e sobrio. Sarà il contrabbasso, ad un certo punto, ad avvolgersi al tronco melodico come un rampicante, mentre il pezzo si spegne lentamente. Weiss resta sulle sue, limitandosi ad un accompagnamento piacevolmente tranquillo. Il brano seguente, For Nancarrow è dedicato al compositore contemporaneo Conlon Nancarrow, autore di una raccolta di pezzi pianistici, Studies For Player Piano, scritti probabilmente in un lungo lasso di tempo e originariamente non destinati alla didattica. Questi brani sono caratterizzati da complesse variazioni ritmiche e ritenuti da molti pianisti ben poco suonabili. Weiss dichiara di essersi ispirato a queste modulazioni di tempi e compone qualcosa di simile in questo brano, mentre il piano esordisce con un frammento quasi bachiano. Atmosfera straniante, continuamente mutevole, non c’è nessun appiglio a cui aggrapparsi eppure l’impressione non è caotica ma è quella di un ordine nascosto che l’ascoltatore cerca di decifrare come può. Il tema simil-barocco torna e ritorna, alle volte seppellito dalle improvvisazioni atonali pur brevi del pianista o completamente messo all’angolo dal lungo assolo di batteria che ci conduce al finale. Non c’è bisogno che ricordi a nessuno chi era George Floyd a cui Weiss dedica l’ulteriore brano in scaletta, For George Floyd. Gli accordi iniziali di piano scandiscono la drammaticità della traccia che punta sull’emozione dello sdegno e su alcune atmosfere molto scure, gestite dall’ottava bassa del piano e dalle note del contrabbasso, legate alla rabbia e all’angoscia mescolate al sentimento di umana solidarietà con la vittima. L’intero pezzo lo si legge quasi come un filmato televisivo, un racconto intertestuale che continua a modificarsi con lo scorrere delle immagini mentali che raccogliamo per ricordare quell’avvenimento tragico.

For Jacob è un omaggio proprio al pianista del trio di Weiss, legato all’Autore da anni di profonda amicizia. Non so, francamente, fin dove si spinga la scrittura di Weiss e l’apporto compositivo di Sacks. Dopo un iniziale, turbinoso mulinello iridescente di accordi e colpi di tamburo, un breve arresto propone un cambio di mood. Sembra che il piano s’adagi su qualche accordo più tranquillo ma è solo una fugace impressione. Sacks segue una complessa linea melodica evidentemente scritta, data la sua continua riproposizione, almeno nelle fasi iniziali. C’è sicuramente una parte legata all’improvvisazione, soprattutto nei momenti più atonali, ma non è semplice capire dove inizia una modalità rispetto all’altra. Anche nel prossimo caso sembra pleonastico spiegare chi è Andrej Tarkowsky, il cineasta russo autore di capolavori assoluti come Solaris, Nostalghia, Lo Specchio. In effetti For Andrej Tarkowsky è il brano più emozionante e coinvolgente dell’album. Gli arpeggi in crescendo del piano si sovrappongono creando una serie di immagini tremolanti, alla stregua di liquidi riflessi, fotogrammi psichici che trascorrono dallo schermo cinematografico all’interfaccia mentale, andando a confluire poi in un ostinata sequenza di note, anch’esse arpeggiate, dietro le quali sobbalza di continuo la batteria di Weiss. Anche il contrabbasso resta incluso in questo schema quasi ossessivo, finendo per confluire nel finale insieme agli ultimi sussulti ritmici della batteria. For Bacharach riesce a far avvertire all’ascoltatore un paio di citazioni, la prima soprattutto ritmica alludendo al famoso Promises, Promises – ma con un po’ di fantasia anche Walk on By – e la seconda a Painted from Memory, brano scritto con Elvis Costello, la cui melodia s’intravede in parte tra le maglie del pianoforte. Weiss sceglie un accompagnamento pop per lasciare più spazio agli altri stumentisti, ci sono numerose variabili dinamiche ma alla fine il pezzo in sé risulta un po’ greve e appesantito, francamente il meno interessante della raccolta. For Elvin è dedicato al batterista Elvin Jones, reso famoso anche per essere stato dal 1960 al ’66 la macchina ritmica del quartetto di John Coltrane. Weiss dichiara apertamente la sua ammirazione per Jones ed in effetti il brano che segue inizia con qualche battito in solitaria della batteria, seguita poi dal contrabbasso e infine dall’entrata del piano che sembra riprendere il tema coltraniano di One Up, One Down, tratto da Live at the Half Note, disco dal vivo registrato nel 1965 ma pubblicato postumo solo quarant’anni dopo dalla Impulse! Il pianoforte tende a rarefare le note del tema, arricchendole in un secondo tempo con una serie di suoni provenienti dalle ultime ottave della tastiera, che mi danno l’impressione – posso sbagliare – di essere state sovrainicise. Molto spazio, com’era lecito aspettarsi, alla batteria e al contrabbasso e nella seconda parte del brano via libera ad un’improvvisazione pianistica. Ma anche in questa circostanza, come nel brano precedente, il flusso musicale diventa faticoso e le idee sembrano non scorrere come si vorrebbe. For Grandma May punta invece alla dimensione elegiaca e malinconica dedicata alla scomparsa della nonna dell’Autore. È questo il pezzo più lirico, quello da cui traspare più emozione e partecipazione. Come per incanto il filo del discorso torna a riannodarsi coi brani iniziali e la memoria di un affetto non si perde tra i ricordi di Weiss che riesce a creare spazi dilatati tra gli strumenti, probabilmente come mai prima. Non è forse lecito parlare di una jazz ballad – le strutture basilari di un brano come questo sono più complesse – ma il clima totale tende a questa dimensione, anche se qui gli accenti sono nel complesso più drammatici. Un tempo si diceva che certi pezzi valevano da soli l’acquisto di un disco e forse questo è proprio uno di quelli.

Un bel lavoro complessivo, questo di Dan Weiss, sorretto da tre strumentisti direi eccellenti. Qualche momento più ostico prima del finale che non inficia il lussureggiante brulichio di suoni che emergono dall’album. Certamente c’è molta esuberanza e la musica risulta un po’ fuori fuoco nei confronti di chi si aspetta il tocco più misurato del classico trio jazz. Ma non bisogna dimenticare quelle influenze rockkeggianti che sono state formative per Weiss e che forse hanno contribuito all’inasprimento di alcuni momenti apparentemente più spigolosi.

Tracklist:
01. For Tim Smith (5:39)
02. For Vivienne (4:16)
03. For Nancarrow (6:06)
04. For George Floyd (4:05)
05. For Jacob (4:56)
06. For Andrei Tarkovsky (8:32)
07. For Bacharach (5:36)
08. For Elvin (8:12)
09. For Grandma May (6:33)