R E C E N S I O N E


Recensione di Sabrina Tolve

Sono città perdute e dimenticate, città il cui nome è stato urlato e pianto, città invise agli dei e alla natura. Dalla Tebe di Tiresia alla Babilonia della modernità, dalla Troia d’Omero alla Pompei delle macerie, da Alessandria d’Egitto dell’incendio alla Treviso contemporanea, L’invettiva delle città perdute è un viaggio di luoghi che si fanno memoria, di città mitologiche che si fanno storia e poi nucleo personale, senza perdere quel senso di universalità che è parte della stessa esistenza. Il mito si sposa col dramma di tutti i giorni, quello del tempo che corre e ci separa nei ricordi, che ci fa civiltà sconosciuta alle civiltà future. È tutto questo l’ultimo album di Alberto Cantone, uscito l’11 febbraio 2023 e dal 18 febbraio anche in distribuzione digitale.

Il clima dell’album e le sue dicotomie si riconoscono già dall’illustrazione di Enzo De Giorgi, in cui il bianco di città dinoccolate si specchia nel grigio e nel nero delle sue rovine.
Cantone ha scritto e suonato l’album quasi integralmente: sono sue chitarra classica, acustica, elettrica, mandola, banjo, chitarra-ukulele, bouzouki soprano, melodica, armonica a bocca, cembalo, tastiere ed effetti e un handpan su scale orientale; lo supportano Sebastian Piovesan al basso, Nicola Accio Ghedin alla batteria, Nicola Casellato al violino e Michele Borsoi al pianoforte. Sandro Gentile che ha registrato e mixato il disco, ha anche suonato le congas. Ed è davvero un album che si apre alla collettività se si pensa che può vantare di diverse partecipazioni: una sezione del coro dell’Auser di Treviso diretto da Rosanna Trolese, Gian Domenico Mazzocato la cui voce è presente in Amerigo – brano liberamente ispirato al suo Delitto sulla collina proibita del Ciclo dei vinti del Montello -, e Pierluigi Tamborini che ha collaborato a  Le mura veneziane (il barbiere di Treviso) – ispirato alla storia vera di Giovanni Mestriner, barbiere e primo vero giornalista di Treviso, i cui scritti sono raccolti nella Casa Museale civica, e infine le due etichette, la Lizard/ La Luna e i Falò di Loris Furlan, e Il Cantautore Necessario di Edoardo De Angelis e Francesco Giunta, storici cantautori della scuola romana e siciliana.

L’invettiva delle città perdute si snoda sulle note della voce intensa di Alberto Cantone e su una struttura musicale che ora sostiene ora si ripiega su se stessa, in una simbolica apocalisse fatta di scossoni e parole smarrite, rotture e nuovi legami, dipanandosi in quindici brani che si fanno epica e storia umana, evocazione e semplice rimembranza, allegorie e verità – del conflitto, della disfatta, della resa finale.
Ci ritroviamo tra la Coventry che ormai non esiste più e la città che non si conosce, eppure si è sempre in un posto nascosto dentro sé stessi. Seppelliamo ferite e dolori fingendo che non siano ancora sanguinanti e che non ci stiano lacerando ancora, fingiamo che nulla ci tocchi, oblïando patimenti e sofferenze. In quel momento, perdiamo e seppelliamo tutte le città, piuttosto che ricordarle e chiamarle col proprio nome.

Cantone ci prova, e riesce magistralmente.

Tracklist:
01. Tebe
02. Troia
03. Pompei (ovvero: i misteri della vita)
04. Pietà
05. Il ballerino di Leptis Magna
06. La biblioteca di Alessandria
07. Solo sal
08. Le mura veneziane (il barbiere di Treviso)
09. Amerigo (Preghiera dal Montello)
10. Alle canzoni dei vent’anni (ancora sul treno)
11. Coventrizzazione
12. Erto
13. Le mie canzoni dove sono nate?
14. (Non c’è più) Babilonia
15. Una città… ma non ricordo bene dove