R E C E N S I O N E


Recensione di Arianna Mancini

Il Ciclo di Bethe, banda novecentesca di musica amabilmente rumorosa”. È così che si autodefinisce il neonato collettivo, in gran parte, romano nel presentarci il suo lavoro d’esordio: Novecento. Il nome del progetto artistico trae ispirazione dal fisico e astronomo tedesco Hans Albrecht Bethe e dalla sua teoria nota come Il Ciclo di Bethe (o ciclo del carbonio, azoto, ossigeno) che, come cita la Treccani, fa riferimento “all’origine dell’energia stellare basata su un ciclo di reazioni termonucleari che avvengono all’interno delle stelle.” Con questo nome i nostri “Cavalieri del cielo” ci svelano il loro grido, il loro lamento e le loro perplessità in Novecento. Novecento come il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle, periodo colmo di svolte, innovazioni ma anche di distruzioni, perdite non solo materiali ma soprattutto interiori, a livello di consapevolezza del singolo e di coscienza collettiva. Uno sguardo al passato con il senno di oggi che non lascia spazio a sentimentalismi poetici, ma si propone di risvegliare negli animi dormienti lo spirito critico e costruttivo. Una rivoluzione creativa come quella che avviene in cielo con il ciclo carbonio, azoto, ossigeno. Dovremo pur imparare dagli errori del passato?

Il collettivo è composto da musicisti già attivi da anni nella scena indipendente italiana: Alessandra ‘Trinity’ Bersiani (La Grazia Obliqua, Carillon del Dolore, Il Lungo Addio) tastiere, synth, piano, voce, programming, samples; Alexandro Sabetti (Argine, Carmilla, Dj nel Radio Kalashnikov Sound System) chitarra e voce; Hermes Leonardi (Trees, Carmilla) basso; Ilenia Volpe (percorso solista con due album in studio e collaborazioni con Giorgio Canali, Davide Vettori, Umberto Maria Giardini per citarne alcune) voce e chitarra; Valerio Michetti  (La Grazia Obliqua, Humanima, Fade 2 Grace) batteria. Una serie di feconde presenze arricchisce il lavoro del collettivo, fra cui: Andrea Chimenti, Enrico Capuano (This Eternal Decay), Fabrizio Tavernelli (Acid Folk Alleanza), Militant A (Assalti Frontali), Miro Sassolini, Riccardo Sabetti (This Eternal Decay) e Umberto Palazzo (Massimo Volume, Il Santo Niente).

L’album, prodotto da Kulturjam Edizioni e Ver.So. Productions, è stato registrato al Sanctuary Studio di Roma, le registrazioni, i mixaggi e mastering sono ad opera di Alessandra ‘Trinity’ Bersiani. Il disco è disponibile sulle piattaforme digitali già da fine aprile ma vedrà l’uscita in compact disc per giugno. L’Artwork e progetto grafico, a cura di Alessandra Trinity Bersiani e Hermes Leonardi, si materializza con l’immagine in bianco nero del profilo del volto maschile di una statua riversa supina sul terreno, cosparsa qua e là di terra. In secondo piano giacciono sterpaglie ed uno schermo di un vecchio televisore. Un’immagine evocativa in tutta la sua decadenza. Questo è il presupposto da cui partire.

Nelle sonorità si scorgono molteplici sfumature, sì, formazione “amabilmente rumorosa” ma non solo, i Nostri si sminuiscono un po’ nell’autodefinirsi così. C’è ben altro di un amabile rumore nei tredici brani che compongono l’album. Il disco seppur di base presenti una matrice rocciosa è piuttosto eterogeneo e imprevedibile, a fianco delle tonalità goth wave, troviamo incursioni etniche (Adhan), il ritmo acustico della canzone popolare (Materiale Sempre Resistente), una corposa electro-sinfonia corale (Novecento), cupi attimi di cantautorato (L’Erba Alta). La scrittura viaggia sul filo dell’intensità, pungente e spettrale, scuote, non lascia scampo è un’incessante invocazione a guardare, ad aprire gli occhi interiori, a localizzarsi.

Il percorso sonoro inizia sulla scia di echi mediorientali con Adhan, sul sample di voce di El Adhān del muezzin Abdelmajid Salama Sarihi. Così come l’Adhān fatta dal muezzin è una chiamata alla preghiera per le popolazioni islamiche, questo incipit pare risuonare come invocazione-chiamata laica per destare l’attenzione attiva di chi ascolterà l’album. Le sonorità arabeggianti lasciano il posto a Il Ciclo di Bethe che irrompe diretta ed infuocata sulle linee di un crossover tinto da sfumature grunge, è la fine. Un’ombra che cade, il lamento fa spazio al solo di piano ed il mondo finisce riportando le trame sonore alle spirali infuocate dell’inizio. Con il brano successivo i toni drammatici si fanno più vividi e La Luna, che vede la partecipazione di Militant A, entra in tutta la sua potenza apocalittica, esulcerata dal video che ci svela tetri scenari di distruzione post-nucleare. Tenuto insieme da un tappeto metal, tutto il brano ruota intorno ad un’unica frase ripetuta in modo ossessivo, come un verdetto inappellabile: ”Il futuro predetto è sentenziato/ gli animali sulle bestie hanno trionfato”. Nello scorrere del brano, voce maschile e femminile si alternano in questo mantra, includendo una voce maschile che esce da un megafono pronunciando parole non riconoscibili. È ora tempo di un breve momento acustico con Materiale Sempre Resistente, rilettura del canto popolare partigiano Con la Guerriglia interpretato da Fabrizio Tavernelli. All’inizio ed in chiusura la canzone sembra cercare un suo centro nella scia di un rumore bianco e voci straniere provenienti da una radio e di qualcuno che sta cercando le giuste frequenze su cui sintonizzarsi. Senza sosta finiamo dritti nel magma roccioso di Suicidio Rituale Giapponese che non lascia né tregua né respiro, la voce di Enrico Capuano si accompagna a quella di Ilenia nell’invettiva contro i trasformisti all’occasione, contro i sorrisi riformisti, contro i post senza pre. Non ci sono vie d’uscita, la pratica dell’harakiri si pone più come soluzione che suggerimento. Le sonorità di Se non Basta ricordano le onde del mare, il brano alterna momenti morbidi e interiori degni di una ballata alt rock a fulgore infuocato e distorto. C’è un sentore d’ineluttabilità che infrange e permea ogni possibilità.

Siamo a metà del nostro viaggio, le tempeste ed i fuochi sonori si placano ed entra Novecento, lieve e lunare come se fosse un fantasma vestito di nero senza volto. L’intro è cucito da un oscuro synth accompagnato da rollate ed echi di piatti, prima che si palesino il pianoforte e gli archi portandoci in una dimensione sepolcrale, la voce di Ilenia si alterna a quella di Miro Sassolini evocando una serie di immagini trafitte, sconfitte: “l’ombra di un dolore…di tanto non è rimasto niente”. Maria Desiderata irrompe all’improvviso come un uragano, è un’adrenalinica via di fuga in tonalità post-punk che ha come carburante la distruzione. I Love Berlin, scorre sulle linee di un kraut-rock sintetico portando a galla cornici di passato e ovvi collegamenti che si susseguono veloci come flash in perfetta sincronia con il ritmo incalzante del pezzo: Erich Honecker, gli anni della cortina di ferro con i suoi simboli socio-culturali, la caduta del muro, il conseguente sentimento della Ostalgie di alcuni, inevitabile collegamento al film Good Bye, Lenin! e forse un piccolo omaggio al duo DAF (Deutsch-Amerikanische Freundschaft) e alla loro canzone Kebab Träume. In Friedemann la linea di basso entra in solo, viscerale e seducente, come se fosse uscita dalle sapienti mani di Simon Gallup, per poi confluire in una deriva new wave. Nuovi flash nel testo, Wagner ed il mito di Narciso rovesciato: ”Guarda il riflesso sull’acqua/ l’ombra deforme sono io”. Splendente in tutta la sua cupezza, L’Erba Alta, interpretata da Andrea Chimenti, ci apre lo sguardo su un nuovo scenario apocalittico romano, dominato solo dagli animali e dal senso di putrefazione. L’Essere umano non c’è più in giro, non esce per la paura, unica figura: solo l’angelo della morte che si ferma per un selfie fuori dal Campidoglio. La voce profonda, in un parlato da elegia funebre si muove su un tappeto sonoro minimale riempiendone gli spazi. Ferretti e Zamboni divisi a Berlino è storia della Musica indipendente italiana, le sonorità del brano ricordano quegli anni, forse solo chi ha vissuto quel periodo può carpirne il significato. Siamo alla fine e Novecento, Atto II chiude l’album. È un epilogo che lascia senza parole, nessuna speranza, non la si può trovare nemmeno nell’oblio. La narrazione prende corpo con la voce dimessa e tenebrosa di Umberto Palazzo accompagnato da Riccardo Sabetti (chitarre, basso e samples). Le parole pronunciate ed i suoni si fanno reciproco specchio come nella colonna sonora di un film horror, in una indissolubile cupezza senza lieto fine. Nessun titolo di coda.

Novecento è un grido disperato che scuote l’anima, scorre su trame imprevedibili, rovescia le carte che sono sul tavolo e annienta la posta in gioco, spronando ad azzerare i contatori e ricominciare una nuova partita, un gioco diverso, una nuova vita. E dopo questo sorprendente ed inaspettato esordio, speriamo ci siano altri capitoli sonori da ascoltare in futuro. Altri terremoti che possano inaugurare un nuovo Ciclo, per tutti.

Tracklist:
01. Adhan
02. Il ciclo di Bethe
03. La luna (voce feat. Militant A)
04. Materiale sempre resistente (voce feat. Fabrizio Tavernelli)
05. Suicidio rituale giapponese (voce feat. Enrico Capuano)
06. Se non basta
07. Novecento (voce feat. Miro Sassolini)
08. Maria Desiderata
09. I love Berlin
10. Friedemann
11. L’Erba Alta (voce feat. Andrea Chimenti)
12. Ferretti e Zamboni divisi a Berlino
13. Novecento, atto II (voce feat. Umberto Palazzo. Chitarre, basso e sample Riccardo Sabetti)