R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Un rimarchevole gioco di intarsi strumentali è forse la caratteristica che più risalta all’orecchio riguardo alla musica di Patricia Brennan, grande vibrafonista, spesso impegnata anche alla marimba, che ha traslato nelle proprie sonorità i suoni legati alla sua infanzia e adolescenza mescolandoli con i più densi umori metropolitani. In modo particolare, questi ultimi, costituiscono un nodo di influenze esperite a Filadelfia e a New York, le città della sua formazione nell’ambito del jazz soprattutto contemporaneo. Ma la Brennan non proviene dal nulla. Nata in Messico a Veracruz, ha assorbito soprattutto le discorsività ritmiche afro-cubane delle danze latine di cui il padre era appassionato ed è venuta in contatto, come milioni di giovani negli anni ’70, con il rock dei Led Zeppelin e di Jimi Hendrix. Questa mescolanza di tradizione e contemporaneità potrebbe aver influenzato la sensibilità musicale della nostra vibrafonista che tuttavia ha iniziato presto le sue esperienze con le percussioni, all’età di quattro anni, passando però anche tra le maglie dell’insegnamento del pianoforte classico, iniziato per merito della nonna concertista e poi perfezionato in Conservatorio. Dai diciassette anni in poi la Brennan dimostra tutto il suo talento e le sue capacità, venendo coinvolta nell’organico di numerose orchestre, come la Youth Orchestra of Americas e in un secondo tempo con l’Orquestra Sinfonica di Xalapua e ancora con la Orquestra Sinfonica di Mineria. Negli USA la Brennan viene attratta dall’area del jazz contemporaneo e la ritoviamo perciò nell’Ensemble Kolossus del contrabbassista Michael Formanek, comparendo nell’album ECM The Distance (2016) dello stesso Formanek e in un altro disco, All Can Work di John Hollenbeck (2018). Ma al di là di ulteriori altre importanti collaborazioni è con Maquishti (2021) che la Brennan si affaccia in un album di puro solismo nel grande mare del jazz, un lavoro coraggioso senza rete per suoi due strumenti, vibrafono e marimba, al di là di qualche sporadico effetto elettronico. Questo suo ultimo lavoro in quartetto, More Touch, allarga e approfondisce il discorso già iniziato con il disco precedente. La distribuzione del peso creativo ed esecutivo coinvolgendo altri musicisti ha fatto molto bene alla Brennan, rendendo le proprie idee più fruibili ed apprezzabili e regalando alla sua arte una profondità tridimensionale che Maquishti non possedeva. Che musica esce da More Touch? Nonostante il genere possa essere etichettato sotto il termine avantgarde in realtà si tiene ben lontano da corrosivi sperimentalismi, preferendo climi tranquilli con ampi spazi aperti, talora riposanti e alle volte decisamente inquietanti. I centri tonali appaiono instabili e si può avvertire la strana sensazione di un continuo scivolamento verso posizioni tra loro apparentemente lontane, eppure costantemente legate dall’importante pulsazione ritmica di batteria, contrabbasso e percussioni che percorre tutto l’album. A tratti prevale l’impressione che il vibrafono e la marimba siano impegnati in una sorta di evocazione spiritica, completamente o quasi avvolti dalle ombre notturne e da atmosfere magico-misteriche. Altre volte siamo invece proiettati in aliene sale da ballo dove le originarie danze latine e i loro fondamentali hanno subito una radicale rivisitazione nei modi e dei movimenti. Ma a conti fatti, come suggerito all’inizio di questa recensione, tutte le dinamiche e i profili sonori tendono a regolarizzarsi tra loro con ordine geometrico, sotto quell’Ananke la cui presenza rende necessaria quest’amalgama di una forma nell’altra, come un mobile ligneo in cui si leggano le varie intarsiature distinte tra loro in diversi colori. Insieme agli strumenti della Brennan – vibrafono e marimba – lavorano tre musicisti come Kim Cass al contrabbasso, Marcus Gilmore alla batteria – forse il più famoso dei tre, nipote di Roy Haynes e con numerose collaborazioni alle spalle con Chick Corea, Gonzalo Rubalcaba, Nicholas Pyton, Steve Coleman, Vijay Iyer, ecc..- e infine il percussionista cubano Mauricio Herrera.
