Articolo di Giovanni Carfì
Se la cercaste su You Tube, trovereste delle performance live eccezionali; per la musica, per la capacità di sincronizzare i vari loop, che genera e sovrappone con assoluta naturalezza ed una buona dose di groove. Proprio quelle performance diffuse online, sono rimbalzate da un capo all’altro, e fortunatamente anche da queste parti.
Lei si chiama Tash Sultana, e arriva da Melbourne; giovane, molto giovane, in linea con altri talenti, non troppo precoce ma 23 anni è di sicuro una bella età per immergersi in questo mondo, un mondo che è stato redenzione, come spesso accade con la musica.
Tash ha avuto una storia difficile a causa dell’uso/abuso di sostanze, che ne hanno minato seriamente il suo equilibrio psicofisico. Senza essere morbosi, senza giudicare usi e consumi, la cosa curiosa è il classico rovescio della medaglia; decide di venirne fuori e di concentrarsi ulteriormente sulla musica, decidendo così di imparare a suonare quanti più strumenti le fosse possibile.
Beh, a distanza di qualche anno non solo è riuscita nel suo intento di “venirne fuori”, ma in tutto questo è diventata una polistrumentista, in grado di sapere cosa, come e quando suonarlo, grazie anche all’uso delle sue loop station.
Cappellino a trattenere lunghi capelli mossi, e degli occhi che creano imbarazzo nell’essere incrociati, con quel colore così chiaro e affascinante, e al collo la sua Fender con quel suono funk e le ritmiche serrate.
Flow State è il suo debutto ufficiale dopo un primo Ep, una sorta di punto fermo, per poter mettere un po’ di ordine, o per mettere in bella le sue capacità; di sicuro un debutto anomalo, perché di gavetta ne ha già fatta, ha suonato su grandi palchi e ha milioni di visualizzazioni online, ma un disco è qualcosa che ognuno gestisce a modo suo, non c’è qualcosa da vedere, se non la cover psichedelico/caleidoscopica, simile ad un totem dal sapore tribale, e l’ascolto è il più delle volte privato.
Il risultato è un lavoro che si compone di 13 tracce, per un’oretta piena di ascolto, fatto dei suoni a cui già ci aveva abituato, ma il tutto confezionato e servito in modo molto calibrato, o almeno all’inizio.
Già dall’intro Seed, graduale, quasi intimo nel suo sviluppo essenziale, fatto di voce e chitarre, abbiamo quel suono, il suo, quello di molti altri affezionati a quel tipo di chitarra, e che lei usa spessissimo. Seguono un paio di tracce, dove accende le sue drum machine, e inizia a sovrapporre ritmiche pulite, echi e soli che si palesano a sorpresa verso 2/3 della canzone; la cosa bella sono le incursioni, o cambi di rotta che li precedono, creando movimento e attesa.
Le doti compositive, o di stratificazione nel suo caso, sono ereditate dal periodo di busker che la videro suonare per strada, ampliando l’arte dell’arrangiarsi, in termine pratico e teorico. Una bellissima prova di queste sovrapposizioni, e soprattutto la capacità di virare, si ha con la traccia Seven: cinque minuti dove si passa almeno tra tre atmosfere differenti, e che per pianificare tra loro, serve sicuramente fantasia e gusto. Il disco si snoda con un’ambivalenza che troviamo con il passare dei minuti; ci sono brani dove le sonorità si fanno più raffinate o ricercate, e altri pezzi più “classici”, o almeno per quello a cui eravamo abituati. Troviamo Salvation con la classica batteria Hip Hop, le tastiere che si sovrappongono ad archi, e l’immancabile chitarra che fa capolino verso il termine, o come in Free Mind, dove l’arrangiamento è più ricco, si aggiungono armonizzazioni vocali, basso, snap e piccoli riff di chitarra sui quali l’uso della voce diventa più articolato.
Ma l’animo vocale di Tash, lo ritroviamo in tracce come Pink Moon o Harvest Love, dove il classico connubio voce e chitarra, diventa unico ed esaustivo, c’è ritmo, c’è raccoglimento, emozione e delicatezza, per poi esplodere con un solo, o un gioco di vocalizzi che si librano come urla in un luogo isolato e incontaminato.
Quello che si avverte, è proprio una sensazione liberatoria, soprattutto dal punto di vista chitarristico, anche perché tra tutti è stato il primo strumento, e le influenze sono molteplici, con un uso ponderato di ogni tecnica. Ne è un chiaro esempio Blackbird, che parte con suoni accecati dal sole spagnolo, che corrono in modo selvaggio, fino ad incontrare la voce ammaestratrice di Tash; quelle note vengono inglobate, arricchite e domate, in un crescendo vocale, ritmico e strumentale di grande effetto. Il tutto su quella povera chitarra, le cui corde vengono spesso messe a dura prova, ma d’altra parte, resistono e vibrano sostenendo il groove, il funk, l’emozione e la musica più interiore e liberatoria di Tash.
Tracklist:
01. Seed (Intro)
02. Big Smoke
03. Cigarettes
04. Murder to the Mind
05. Seven
06. Salvation
07. Pink Moon
08. Mellow Marmalade
09. Harvest Love
10. Mystik
11. Free Mind
12. Blackbird
13. Outro
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