I N T E R V I S T E
Sono le 15 di un giorno d’inverno e stiamo aspettando Hesanobody per poterlo intervistare, guardo l’orologio della stazione alla quale ci siamo dati appuntamento e cerco di seguire la luce del sole per rubare un po’ di tepore. Sono passati quasi due anni da quando lo abbiamo conosciuto, dopo l’ascolto del singolo Roadblock ci colpì e decidemmo quasi a scatola chiusa di farlo partecipare alla nostra versione beta di …e Adesso Live, concerti in diretta sulla nostra pagina Facebook e sul relativo canale Youtube.

Hesanobody è l’evoluzione di Han, pseudonimo scelto all’inizio, quando era ancora solo nella sua cameretta, a 1300 km di distanza da Milano e da ciò che ne sarebbe conseguito, ma come vedremo in seguito, le distanze non sono mai state un problema, anzi si sono riproposte nel momento in cui l’etichetta londinese Street Mission Record distribuita da PIAS, si accorge di lui, o meglio di quelle poche tracce caricate su Soundcloud. L’avventura inizia di lì a poco, dopo un contatto che sapeva più di farsa che di “occasione”, ma alle volte succede e in questo caso cosa fare se non abbracciare la cosa?
Siamo in uno dei quartieri universitari di Milano, e forse non a caso dato che gran parte del vissuto artistico e personale di Hesanobody (Gaetano Chirico anagraficamente parlando), si sviluppa tra questi casermoni rossi, ordinati e modulari tra loro. Ci dirigiamo verso uno dei tanti bar più o meno universitari e poco dopo ci accomodiamo ad un tavolino dove ci racconta vari aneddoti, spaziando dalla musica, alla passione per David Lynch e argomentando il tutto in maniera piacevole ed interessante.
Decidiamo di partire dalle cose più recenti e ripercorrere a ritroso il tutto; una delle ultime cose prodotte è stata l’uscita del singolo e del relativo video “pseudo natalizio” di Night 23, rilasciato proprio in concomitanza con le festività. Quello che ci ha colpito maggiormente è stata una dichiarazione nella quale svela che Night23, è la prima canzone completamente felice che abbia mai scritto.
“Vero, è vero”. Ci conferma la cosa e ci racconta che ha sempre cercato di bilanciare il tutto, “non erano tristi però avevano quel velo di malinconia, grigio, non nero, invece questa è luce, è bianca”, il tutto come naturale evoluzione del percorso che ha iniziato con il primo Ep The Need To Belong, e che insieme a The Night We Stole The Moonshine e il prossimo di cui ci spoilera solo le iniziali…vorrà concludere una trilogia, che contrariamente a quanto ci insegnano al cinema, non per forza deve evolversi in modo tragico, un concept che ad oggi ha trovato il suo sviluppo in qualcosa di felice, di luminoso.
Non vogliamo insistere su sentimenti poco solari, ma vorremmo capire che rapporto hai con la malinconia, con questo grigio di cui ci hai parlato; se ti pesa scrivere di cose personali.
In realtà non mi pesa per due motivi: il primo perché è una sorta di autoterapia, il secondo è che sono tematiche e fatti ispirati ad un vissuto, ma abbelliti e romanzati, la verità è sempre relativa. C’è tanto di me ma non c’è tutto. Ci racconta che cerca di ampliare, di drammatizzare gli episodi raccontati, ma senza togliere nulla al loro valore principale per non sminuire nulla.
The Night We Stole The Moonshine è uscito ormai da circa dieci mesi, guardandolo ora come si pone rispetto all’ep d’esordio?
Era ambientato in una cameretta, in uno spazio chiuso…era più solitario, parlava di solitudine, di fantasticare su cosa c’è fuori, mentre questo parla di quel che succede quando esci e a quel che trovi sulla strada. Dice che era stato pensato un titolo che rievocasse un viaggio in macchina, poi il caso o l’intuizione hanno cambiato le carte in tavola; mentre doveva consigliare ad un gruppo di amici il titolo per un loro Ep, si rende conto di come quello suggerito fosse più adatto al suo. Sembra suggerire un parallelismo sulla sua condizione iniziale e il conseguente trasferimento a Milano, ma invece ci dice che entrambi gli Ep, sono nati qui, a poca distanza da questo caffè, come testimonia la traccia zeroseventwonine, che altri non è che il numero di un citofono particolare…
Hai avuto la fortuna di essere stato contattato in modo quasi fortuito, per non dire a caso, dalla Street Mission Record. Hai pensato a cosa avresti fatto se ciò non fosse successo, avevi già in mente come ti saresti mosso?
Questa è la domanda da un milione di dollari, una sorta di “Sliding Door”. Confessa che all’inizio era tutto fatto alla buona, e di come avesse caricato le prime due tracce su Soundcloud, e che una di queste sia ancora in previsione di rimaneggiamenti futuri. Non so cosa avrei fatto, adesso col senno di poi ho un po’ più idea di come muovermi, tra etichette, uffici stampa…capisci meglio dall’interno come e cosa sia più consono fare…

Andiamo ancora a ritroso facendoci raccontare quale sia stato il suo primo approccio alla musica, se già cantava o se alle medie odiava la musica, e invece…
Bisogna aspettare le superiori più che le medie, perché anche questa volta quel che lo porta davanti ad un microfono è stato il caso. C’erano questi amici che avevano una band, ma non un cantante, io essendo appassionato di musica li seguivo, mi piaceva andare alle prove, essere a contatto con quell’ambiente, poi un giorno durante un’assenza del cantante, spinto da un amico che mi dice: Ma scusa, la canzone la sai, non ti puoi mettere al microfono? Lo fece e immaginate cosa sia successo poi, e la cosa bella è che non aveva mai preso in considerazione il fatto di cantare, né aveva mai preso una lezione di canto, è sempre stato un grande ascoltatore, fruitore e appassionato di musica. Abbiamo iniziato così per caso, alle feste con qualche cover e poi è nata l’esigenza di scrivere delle cose mie, da solo. Purtroppo nel momento in cui decide di registrare il primo pezzo non trova molte adesioni, chi per un motivo, chi per un altro, e decide così di far da sé, con la nascita dello pseudonimo Han trasformatosi poi in Hesanobody.
Per quanto riguarda il processo creativo delle canzoni, come sono nate?
Ci anticipa e ci spiega che Hesanobody non è solo uno pseudonimo dietro il quale si nasconde lui, all’inizio ha curato e scritto tutto il primo Ep, salvo due tracce alle quali ha collaborato il suo produttore statunitense Mark Eckert. Successivamente volendo portare dal vivo il materiale scritto, ha trovato le tastiere di Matilde Ferrari e le pelli di Francesco Falsiroli, che partecipano attivamente alla stesura di alcuni brani e che ci tiene a sottolineare non siano due semplici turnisti, in quanto fanno parte attiva della band e del processo creativo. Amo sempre contornarmi di amici e di coinvolgerli, mi piace contaminare…così come le collaborazioni con amici producer, con i quali nasce la prima versione di Cliché.
Affrontiamo la classica domanda sullo scrivere in inglese in Italia, ma in realtà chiediamo se e dove possiamo individuare qualche cosa di “italiano” in quel che scrive, o nel modo di farlo, e inaspettatamente…
Nelle tracce finora prodotte no, non per snobbismo, per me è un processo naturale, quello che mi influenza non lo decido in realtà, è una cosa inconscia di cui mi accorgo successivamente…però nelle ultime tracce ammette che stia uscendo da qualche parte lo spettro di Battiato, memore di una passione per l’album Caffè De La Paix, che ora inizia a riecheggiare, ritrovandovi la qualità del sogno: un po’ quel che fa Lynch nel cinema…cose prive di nesso logico ma che colpiscono l’inconscio. Qui una piccola parentesi in cui mi spiega la chiave di lettura di Mulholland Drive e della scatola blu, blu come la tristezza, per finire poi a parlare di Twin Peaks.
Ritorniamo a parlare di musica, sfumando su Lynch e passando a scoprire quali siano gli ascolti nascosti di Hesanobody, non di cui vergognarsi, ma quelli che lo fanno stare bene.
Nulla di cui vergognarsi, ci svela la sua passione per James Blake, “sono in fissa dal 2011, quando è uscito il primo album”, poi i Beach House (band dream pop), per poi tornare su Battiato e Bowie; al che gli faccio notare che hanno tutti la “B”, e di segnarselo per varie ed eventuali dato che il caso ha sempre giocato a suo favore.
Arriviamo quasi in chiusura dove cerchiamo di capire se secondo lui la musica oggi sia ancora in grado di far riflettere, o sia il più delle volte puro intrattenimento.
Purtroppo oggi la musica non ha più il ruolo che aveva anche solo quindici o venti anni fa, quando era un motore culturale importantissimo, o come (citando il film Bohemian Rhapsody), nella scena dove si vede il LiveAid, quel che generava, quando si pensava anche ingenuamente che la musica potesse salvare il mondo, oggi questa cosa è impensabile; c’è questo cinismo e questa considerazione della musica solo come un sottofondo,…si va in una direzione della musica mordi e fuggi, è un peccato perché la musica non ha più il ruolo che aveva prima.

Prima di altre divagazioni, gli chiediamo nel suo piccolo quale voglia essere il suo messaggio, cosa vuol dire per lui scrivere canzoni, date queste premesse.
Non mi sto approcciando a tematiche sociali o politiche, ma più con qualcosa di quotidiano, con cui poter empatizzare ad un livello più intimo, alla fine si parte dal quotidiano per provare a migliorare le cose, nel piccolo si può diventare persone più attive e migliori. Se sei in pace con te stesso, rendi di più e puoi fare grandi cose anche per gli altri.
Dopo questa parentesi filosofico/zen, torniamo con i piedi per terra chiedendogli qualche curiosità sui progetti futuri, e su cosa vorrebbe che succedesse da qui a dieci anni.
Come tutti gli uomini la sua preoccupazione sono i capelli, ma battute a parte mi spiazza dicendo: spero di poter affiancare qualcuno con un registratore interessato a sapere quel che sto facendo. Nell’immediato invece ci anticipa l’uscita di un lavoro acustico, con il rifacimento di alcuni brani di The Night We Stole The Moonshine ma con un punto di vista differente; per il nuovo Ep bisognerà invece aspettare la fine dell’estate, inizio autunno.
Finisce così la chiacchierata, siamo andati a ritroso negli anni e avanti con l’immaginazione, passando per i sogni onirici di Lynch, le visioni di Battiato e le ambizioni di un ragazzo che poco alla volta sta percorrendo la sua strada; noi torniamo sotto l’orologio della stazione, segna ancora le 15.
Articolo di Giovanni Carfì
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