I N T E R V I S T A


Articolo curato da Luci

L’Associazione Ottavo Giorno nasce nel 1997 su iniziativa di Marina Giacometti ed altri artisti padovani. Il loro intento è di creare un luogo fuori dalle strutture canoniche dedicate alla disabilità dove sia possibile per tutti, indistintamente, incontrarsi e fare danza, fare teatro, insieme. Un posto speciale, in cui, “semplicemente”, considerare le persone come tali, invece di incasellarle nelle solite categorie prestabilite. Qui, grazie alla DanceAbility, una tecnica che, attraverso un percorso di ricerca sfrutta le abilità fisiche ed espressive individuali, è possibile danzare insieme, abili e disabili.
Con grande naturalezza, le cose si fanno insieme, ma senza il dovere di compierle in modo uguale agli altri. Ognuno partecipa per quello che è, e quindi la propria diversità diventa un valore aggiunto che arricchisce l’esperienza del gruppo. Alla musica, che nasce da improvvisazioni, coi movimenti di danza che ispirano la melodia e viceversa, è affidato un ruolo determinante.


Il cantante, chitarrista e compositore Giorgio Gobbo collabora con l’associazione da più di quindici anni. Lo abbiamo contattato per rivolgergli alcune domande a proposito di un’esperienza decisamente particolare…

Come è nato il vostro sodalizio?  
La coreografa Marina Giacometti ha avuto l’idea di far accompagnare le esibizioni dei danzatori dell’associazione dalla musica dal vivo. Un’intuizione brillante perché in questo modo il fattore dell’imprevedibilità, dovuto alle caratteristiche dei danzatori, poteva diventare una risorsa anziché un limite. I musicisti dal vivo, se affiatati, possono improvvisare, modificare in tempo reale un’atmosfera, cogliere la spontaneità di ciò che accade “qui ed ora”. Un gesto fortuito o un errore possono aprire inattese possibilità interpretative. Ho iniziato questo percorso all’interno della Piccola Bottega Baltazar, il gruppo di musicisti che a partire dal 2005 ha curato per un decennio le musiche degli spettacoli e delle performance di Ottavo Giorno.

Quali stimoli ti lascia sia a livello artistico che personale?
Sono sempre stato affascinato dalla dimensione artigianale della produzione artistica. Mi attira cioè l’idea di poter creare degli “utensili musicali” che possano essere utili a chi ne fruisce. Nel caso della danza mi suscita sempre meraviglia vedere qualcosa di impalpabile come la musica farsi gesto, movimento, corpo. Se non fosse sacrilego parlerei di una specie di transustanziazione artistica: l’intangibile che si fa carne. Ma del resto cosa c’è di più sacro del corpo di un essere umano, ancor più quando si manifesta con grazia nel movimento di un danzatore “imperfetto”?

Durante la pandemia di Covid-19, su un progetto di Marina Giacometti e Anna Ruzza, per la regia di Marco Zuin, è stato girato un interessantissimo video, naturalmente con l’apporto delle tue musiche originali. Colpisce la perfetta sintonia fra ogni singola nota e i movimenti in totale libertà dei corpi. Come sei arrivato a questo affascinante risultato?
Il processo creativo ha visto come primo passo la realizzazione della musica. Il fatto di lavorare insieme ad un gruppo di persone per molto tempo favorisce la creazione di un vocabolario comune. Mentre componevo la musica, nella mia testa si materializzavano i volti, le espressioni e poi i gesti che la melodia avrebbe potuto suggerire. Ho immaginato lo struggimento di ogni danzatore nel desiderare l’incontro con l’altro, un incontro negato dalle circostanze. La musica è fluita con naturalezza raccontando il passaggio dall’alienazione di una chiusura forzata (benché necessaria) all’apertura verso gli altri, per quanto ancora lontani. Nella mia esperienza personale il desiderio dell’incontro e della condivisione nasce da un necessario passaggio attraverso la solitudine. “Inside – Outside”: è il titolo che Anna e Marina hanno attribuito alla musica dopo averla sentita per la prima volta. In quel momento ho compreso che ci eravamo intesi anche senza troppe spiegazioni, che si era creata una sintonia spontanea che poi è stata percepita anche da ciascun danzatore.

L’esibizione che vi proponiamo per la visione, diventa uno splendido puzzle umano ed artistico, in cui ciascuno esprime, con sorprendente spontaneità fisica, ciò che sente di essere in quel preciso momento, rimanendo “singolo” ma allo stesso tempo elemento determinante di un “tutto”. Il video diventa così quasi una terapia, poiché trasmette un immediato senso di liberazione, una speciale rispondenza fra ciò che accade dentro e fuori di chi guarda…
Questa interpretazione mi parla della sensazione che provo quando partecipo ed assisto ad una performance dell’Associazione Ottavo Giorno. È una danza che si compone di gesti capaci di tessere una rete di incontri muti e profondi. L’individualità non vi si stempera in una disciplina uniformante ma partecipa ad una creazione collettiva dove ogni danzatore è prezioso, e ogni suo gesto splendente manifestazione di umanità.