I N T E R V I S T A
Articolo di Cinzia D’Agostino
È una fresca domenica di inizio Marzo, siamo a pochi passi dal Golfo di Salò, Lago di Garda, nella nostra casa. In una situazione normale noi e Paolo Benvegnù saremmo forse stati seduti insieme a contemplare il lago, ma riusciamo comunque a creare l’atmosfera nella nostra stanza della musica, poster, scalette, biglietti di concerti appesi e una videochiamata con Paolo, che ci risponde dallo Studio di registrazione di Gabriele Berioli a Magione (PG). Il 14 febbraio è uscito per Black Candy il suo ultimo disco, in solo ed in acustico, intitolato Delle inutili premonizioni vol. 1 – venti anni di misconosciuto tascabile, 12 tracce che ripercorrono la carriera dell’artista gardesano in un contesto raccolto, intimo ed estremamente coinvolgente. Abbiamo avuto l’onore ed il piacere di poter fare una chiacchierata in amicizia con lui, che ci ha un’altra volta illuminato della sua saggezza, scaldato con il suo affetto e la sua grandissima sensibilità.
Cominciamo dal titolo di questo tuo ultimo disco “Delle inutili premonizioni – venti anni di misconosciuto tascabile”. Se cerchiamo la definizione della parola misconosciuto esce questo significato: “Fatto segno di una ostile incomprensione o di una sorda ingratitudine” . Questo sentire è rivolto a te in quanto musicista o fa parte di un discorso più ampio?
Sì c’è dell’amarezza ed io sono molto amareggiato, ma non tanto per me, per la mia posizione nel mondo, quanto per una serie di considerazioni che faccio sugli esseri umani e su come poteva essere la loro vita e come non è. Perciò queste sono delle premonizioni che ho avuto, premonizioni che ha chiunque, ma io le ho messe sotto forma di canzoni. Qualcun altro fa dei tavoli, qualcun altro fa grattacieli ecc.. Sì, non ti nego che c’è amarezza perché penso che la spinta della mia generazione, ed anche la mia personale, sia terminata. E perché il tempo esaurisce le energie, esaurisce il senso e la forza delle idee che mi hanno guidato quando ero bambino. Cioè è un senso della giustezza, un senso della mutua comprensione, un senso della determinazione, della solidarietà, un senso dell’avere poco per avere tutti, che non trovo in questa società. E queste premonizioni sono personali, ma sono anche delle piccole divinazioni del collettivo. E sì, ritengo che queste idee siano state misconosciute e mi dispiace perché fondamentalmente lo sviluppo delle idee e del senso del progresso, dell’intelligenza dell’uomo, non è andata secondo quello che era il mio auspicio. Comunque questo misconosciuto non ha a che fare con me, per i piccoli pensieri e idee che ho avuto sono stato fin troppo riconosciuto, perciò ha più un senso collettivo.
Da dove ti è nata l’esigenza di chiuderti in uno studio d’inverno a Firenze ed abbandonarti così intimamente alla tua musica realizzandone un disco?
Visto che sono terrorizzato dal mettermi a nudo specialmente quando suono da solo, l’idea era di prendermi 24 ore ed estrarre tutto quello che secondo me ha significato di questo percorso che ho fatto in 25 anni e di affrontare questa cosa una volta per tutte. Il senso era questo, ripetere come un mantra le cose che mi hanno cresciuto e nutrito. Ammesso e non concesso che questo possa essere ripetuto. Anche questo Sanremo, che io non ho visto, ma che qualsiasi cosa tu legga ne trai conclusioni. Succede che ognuno ha una letteratura di se stesso, ogni lobby ha una sua chiave di lettura, se hai un fortissimo ufficio stampa questa chiave di lettura viene vista come un’idea dominante, se non esisti non viene vista. E allora l’unico meccanismo quando non vieni visto, come nel mio caso e nel caso di buona parte della mia generazione di ricercatori e di pensatori, l’unica chiave è ripetere, ripetere la stessa cosa. È l’unica arma che abbiamo semplicemente per non lasciare cadere un’idea o una serie di sensazioni sull’umanità.
Rispetto ai tempi in cui eri qui sul lago di Garda, quando eri con gli Scisma negli anni 90 ed avevate un grande successo, senti di avere gli stessi principi di allora, fai la musica con la stessa spinta o la maturità ha portato a nuovi approcci?
C’è una differenza sostanziale. Quando ero sul lago di Garda io ero presuntuoso, ero ambiguo e fuorviante anche con i miei stessi compagni di avventura. Per quanto non lo fossi consciamente, avevo dei desideri che erano dati dalle mancanze che erano mie personali e che erano desideri di rivalsa, perciò da un lato ero trascinante nei loro confronti, dall’altro per mantenere un certo tipo di controllo del gruppo, ero abbondantemente soverchiante dal punto di vista delle informazioni che davo agli altri e non così pulito. E questa cosa l’ho capita poi nel tempo. In realtà dal primo passaggio da Rosemary, quando siamo andati alla EMI, ad Armstrong, già in mezzo a quel periodo dal 98 al 99, avevo capito che avevo sbagliato tutto. In primis dall’atteggiamento verso i miei compagni di avventura e poi e soprattutto verso l’approccio nelle cose, non potevo pensare di essere il motore di un gruppo se non davo loro pieni poteri di adesione alla cosa. Intendo nei termini del “scrivete anche voi, non giudico“. Io all’epoca sono stato un tiranno. Certo, un tiranno prezioso, ma loro sono stati più preziosi di me perché meravigliosamente più umili. Hanno fatto di un’idea di uno psicopatico, un qualcosa di vivente e perciò io devo ringraziarli che non mi hanno buttato giù dal Pizzoccolo (ndr. famosa montagna dell’entroterra gardesano). Poi questa cosa è cambiata, da lì in poi sono stato un uomo pulito ed onesto in questo mestiere, in questo artigianato. Meno lo sono stato nella mia vita privata ma quello è perché non capivo e non ho mai capito molte cose che poi si comprendono lentamente ma inesorabilmente. Penso che negli ultimi dieci anni sono stato molto pulito, ho sofferto per i miei errori, ho sofferto tantissimo e gioito tantissimo e sono in una quinta vita che non avrei mai pensato di poter affrontare quando ero ragazzo. Quando sei ragazzo è tutto molto più bianco e nero ma non lo comprendi. E dopo, quando le sfumature e le stratificazioni della vita ti rendono un po’ più attento da un lato ma anche più fantasioso, a quel punto il fatto di scrivere canzoni e di essere il porta colori dell’inutile, è diventata una cosa per me bellissima e lo faccio per disperazione, lo dico in tutta onestà. È per provare a cercare di tenere incollate le parti che per me sono importanti, non soltanto per me, ma in generale tra gli uomini, nelle idee nella stratificazione della bellezza, nel desiderio di non mistificazione che in questo momento è la cosa soverchiante per tutti noi. Come quando ci dicono che una cosa è bella e noi dobbiamo credere che è bella quando magari non lo è per noi.
Il concerto in streaming del 28 gennaio è stato un’anteprima di questo disco. È stato un momento di estremo pathos per noi spettatori anche se l’atmosfera era un po’ surreale perché non eravamo fisicamente con te ma spiritualmente credo che le nostre anime si siano parlate. Dopo tanto tempo com’è stato esibirti in questa nuova forma? anche perché il tour dell’ultimo disco non lo hai fatto…
Quello era giusto perché è un disco sull’impossibilità (ride). Parlavo prima del mio periodo terribile di tiranno soprattutto verso me stesso, non soltanto verso gli esseri umani con cui stavo e mi vergogno moltissimo di quella fase della mia vita credimi. Sono stato un tiranno orrendo. Detto ciò, all’epoca era il senso dell’esibizione, ora cosa posso esibire? Da tanti anni non è più stata un’esibizione ma un’espressione, è una cosa un po’ diversa. Esibirsi significa prendere una cosa e farne apologia, esprimersi è altro. È un essere umano che ti guarda negli occhi e ti dice guarda io la penso così, che ne pensi tu? La sensazione che ho avuto a Padova, il pathos che avevo io era veramente dato dal fatto che…devo dirlo. Questa è un’altra cosa brutta magari ma…non so se è brutta, ma penso sia davvero molto rispettosa. Cioè, io non penso mai al pubblico, io penso al privato. E non il mio privato, io parlo della mia privazione, di quello di cui siamo stati privati senza accorgercene. Mi hanno messo un ipad per vedere i commenti ma non ho guardato mai, io non devo guardare, io devo fare. In generale secondo me bisogna fare una cosa in maniera scintoista, quasi al 150 per cento delle proprie possibilità, senza cercare di capire dall’altro se sta andando bene, come sta andando e perché sta andando. Lo fai perché devi farlo. Io la vedo così è perciò per me è stato strano perché in quel concerto ho sentito tanto da lontano, ed in maniera assoluta, tanta gente che si voleva bene e che mi voleva bene. Credimi siamo tutti qui perché abbiamo bisogno di essere amati e anche i più grandi. Cioè…Zarathustra non penso fosse un uomo meno interessante di Gesù, solo che Gesù Cristo ha un ufficio stampa notevole. Allora mi viene da pensare che noi abbiamo un grande desiderio di essere amati specialmente chi scrive canzoni, chi si muove nel campo creativo lo fa perché da un lato deve essere amato ma deve essere amato per tutte le sue durezze e non soltanto perché aderisce all’idea di appartenenza di un altro. La differenza tra essere etici nella musica e nella vita secondo me sta proprio in questo. Vedere l’altro come un mezzo per conoscere, non fidelizzarlo, altrimenti sei un prodotto. E ciò va benissimo, se tanta gente è contenta di essere un prodotto, ma non dovrebbe funzionare così. Io penso che gli uomini siano uomini e sono gli uomini che si vedono nei momenti di grande conflitto.
Ho notato che i dischi usciti negli ultimi tempi sono più introspettivi e che ci sia stata una tendenza degli artisti a mettersi più a nudo, forse complice la situazione mondiale che stiamo attraversando. Come sono stati scelti i pezzi che compongono questo album? Ti sei fatto trascinare anche tu da un raccoglimento interiore?
Le cose che faccio in un determinato stato d’animo mi muovono le energie interiori, quelle cose che mi scatenano, che mi fanno andare il sangue alla testa. Per me alcuni pezzi come questi sono inauditi, però ovviamente lo penso io e basta, come ad esempio “In dissolvenza”. “Io ho visto” è un pezzo pesantissimo ma inaudito, sono cose pesantissime ma anche giustissime. Mai come in questo momento ho bisogno di qualcuno che mi tiri uno schiaffo in faccia e mi dica “svegliati!” però l’ho fatto per me, per svegliare me, non per svegliare gli altri. Perciò l’idea è stata quella. Sul discorso dell’introspezione di cui parlavi prima un po’ è questo. Un po’ invece penso sia un momento in cui uno raccoglie, purtroppo o per fortuna, le proprie forze. Credimi, i miei compagni mancano come l’aria, è commovente per me la loro assenza nella mia vita, mi dispiace da morire. Però per essere pronto per quando, ammesso e non concesso che sopravvivremo tutti a questo periodo orrendo, ci ritroveremo di nuovo, mi piacerebbe mi vedessero sereno da un lato, combattivo ed intelligente dall’altro. Perciò quello che sto cercando di fare è essere pronto per i miei compagni, entrare in una stanza, dire una battuta e cercare di capire qual è il loro desiderio ed insieme raggiungerlo. È quello che gli uomini dovrebbero fare, non è che uno diventa padre e lo capisce.
Sei un condottiero, Paolo?
No, non ho le capacità logistiche (ride). I condottieri devono essere anche bravi matematici per capire come portare le salmerie, io sono un non battagliero, io sono per l’adesione alle cose, però rivendico l’essere il ponte tra un certo tipo di etica rispetto alle cose e la mancanza totale di etica che vedo adesso.
Come mai i tuoi testi, soprattutto degli ultimi tre album, sono pervasi di universo, stelle, materia e antimateria?Penso che i due veri confini che dovremmo andare a conquistare, che sembrano discrepanti ma che invece tendono uno verso l’altro, siano da un lato le neuroscienze e dall’altro la ricerca infinita dell’universo. E noi uomini abbiamo sempre viaggiato per avamposti, abbiamo lasciato indietro molte sacche di conoscenza e l’unione di queste due scienze possono permetterci di capire meglio la nostra posizione. Sì io vado lì, non perché non conosca la terra palmo a palmo ma perché secondo me quella è la metafora della nostra esistenza anche spicciola. Per me il nostro corpo è davvero un’astronave, se ci pensi è così. Noi siamo davvero la nostra mano? La usiamo? La nostra percezione è quello che è la nostra incidenza sulla percezione dell’altro e delle altre cose, non è la mano ma qualcosa che noi sentiamo. Parlare delle stelle è parlare del desiderio estremo, come parlare della luna o parlare dell’antimateria. Quando si inciampa in un sasso e si cade bisognerebbe pensare alla poesia di una caduta o al divertimento, alla gioia di trovarsi per terra a sessant’anni. Noi dovremmo vederci in maniera molto più poetica, il fatto che tutto venga ridotto a numerologia e sindrome di successo od insuccesso è veramente una grave caduta degli esseri umani e specialmente parlo del mondo occidentale dove a queste cose non ci si pensa, prima si pensa a mangiare poi a bere e soprattutto a fuggire ai predatori o a quelli che hanno i mitra, che ancora succede nella terra. È perciò parlerei del cercare di osservare la bellezza dei pianeti. Quando vedo davanti a me un altro essere umano, un’automobile in fila davanti a me, da un lato mi salva perché così non mi deprimo.
Mi hai ricordato una tua canzone, Andromeda “in un giorno qualsiasi nel traffico”
Ma certo, tutto quello che faccio lo faccio per mio conforto, sono un uomo orrendo, diciamolo…
Che rapporto hai con le tue canzoni? Sono figlie? Creazioni, sfoghi?
Io le vedo come delle piccole idee che tutte insieme formano uno scenario che mi ricorda cose che ho visto in altri. Mi ricorda “Miracolo a Milano” di De Sica, mi ricorda “C’era una volta in America” di Sergio Leone, mi ricorda tutto ciò che mi ha fatto piangere e ridere contemporaneamente.
Leggo Cioran e piango e rido contemporaneamente, leggo Calvino e mi succede la stessa cosa, leggo Asimov, che invece ha fatto fiction fondamentalmente, e mi succede la stessa cosa. Mi stupisco dell’intelligenza degli uomini. Della mia non mi stupisco perché non ne ho, ho una serie di stratificazioni di sapere che sono le cose che uno incontra e semplicemente le mette insieme e diventano questa cosa, una traccia. Forse un giorno mia figlia sentirà queste cose e non le piaceranno, magari invece le servirà qualche canzone, qualche frase, non lo so. È quello che mi piacerebbe avere avuto ad un certo punto della mia vita, qualcuno che mi spiegasse delle cose, che mi dicesse di non avere fretta e che bisogna studiare perché così ti fregano di meno. Molti brani di questo disco sono atti di divinazione, cose che sono successe dopo. Il mito dell’anti eroe, che non voglio a tutti i costi cavalcare, però è qualcosa di importante e c’è della piccola saggezza. Tutti abbiamo una grande paura di non essere mai visti e, quando questa si risolve, abbiamo tutti una gran paura di sparire. Quindi sono piccole opere di un piccolissimo essere umano, nulla di che.
Se dovessi mettere un tuo cd a tua figlia, quale sarebbe la prima canzone che le vorresti far ascoltare?
Sono ovviamente sciocco, ma le farei ascoltare Hannah, che ho scritto con due anni di anticipo. Sono cose normali, le abbiamo tutti queste premonizioni.
Ti faccio l’ultima domanda. Non volevo parlare di Sanremo, ma visto che lo hai citato prima, mi sorge spontanea una riflessione. Ci siamo sempre tutti domandati come sarebbe bello vedere Paolo Benvegnù sul palco dell’Ariston, siamo convinti che li ammazzeresti tutti.
Io ci ho provato a portare una canzone a Sanremo. Sono andato due volte, con “Avanzate ascoltate“ e con “Orlando“ e non le hanno prese. E ti dirò la verità, anche se mi dispiace un po’ dirlo…io ci ho provato anche quest’anno ad andarci. In una maniera un po’ diversa, con Marina Rei e Cristiano Godano, non abbiamo trovato il pezzo e va bene così. Quest’anno, in tutta sincerità, era per me più che altro divertente avere a che fare con queste persone che stimo e anche per capire più umanamente; e mi sono divertito molto ma sapevo già all’inizio che non sarebbe successo niente. Detto ciò, le prime due volte, specialmente con Orlando ci sono rimasto male, profondamente male. Mi telefonarono e mi dissero “il pezzo è bellissimo però purtroppo chi sei per venire a Sanremo?“ Va benissimo, però nella mia ottica tutti gli esseri umani dovrebbero avere le medesime possibilità. Ricordo che mi fece molto male. Mi fece male perché se una cosa è oggettivamente interessante, penso che Orlando non avesse niente di meno degli altri. La stessa cosa per Avanzate ascoltate, anche se fu diverso perché noi stavamo facendo Hermann perciò mi ha importato relativamente. Con Orlando mi è dispiaciuto perché è un pezzo incredibile e non lo hanno preso perché sono povero. Sei povero ed il puzzo di povertà si sente anche da lontano come diceva il poeta una volta. E allora quello mi ha dato veramente noia, al punto da pensare davvero di smetterla con il fatto di scrivere canzoni. C’è chi si è ucciso nel ’67 per una cosa del genere. E invece, dopo due o tre giorni, così come mi succede ogni volta che presentiamo un disco nuovo e col Tenco arriviamo secondi, radunando le mie poche idee e parlando con le persone che mi sono più vicine, compresi i miei compagni, mi venne l’idea. A quel punto se deve essere così, il puzzo del povero ve lo beccate fino a 95 anni. Non fosse altro che per rompergli le scatole, io continuerò a pensare di poter essere quella piccola anormalità che va a distorcere una realtà più apollinea che voi volete. All’epoca, ci rimasi malissimo perché è una cosa ingiusta. Detto questo, se c’è una cosa che da sempre mi da fastidio è il fatto di sentirmi fuori contesto. Mi capita di andare a una riunione di condominio e lì mi sento fuori contesto perché di sicuro lì non posso mettermi a parlare delle stelle o di Guy de Maupassant o di Tolstoj. Andare a Sanremo è come una grandissima riunione di condominio dove però sono tutti completamente pazzi e completamente accecati da quella follia che c’è intorno. Perciò quest’anno l’ho presa sul ridere sportivamente. Perché andare in un posto e stare male? Preferisco fare un concerto davanti a tre persone che, tra l’altro, mi procura molta più tensione. Perché tutte le cose mediamente grosse che ho fatto, sono state poche, però che so…all’arena di Verona e a Sanremo rock con gli Scisma, un po’ di volte alla televisione con i Benvegnù, sono sempre stato in una condizione dove in tutta franchezza…che c’entravo io? È una situazione non vera, una situazione dove non c’è un meccanismo per cui siamo in due in una stanza, io e te e misuriamo se vogliamo la nostra possibilità di appartenenza al genere umano o a qualsiasi cosa tu voglia appartenere. È un grande gioco che va bene per chi ha bisogno di quella cosa lì. Io in tutta franchezza non ne ho mai avuto bisogno e penso neanche più avanti. Altro sarebbe se invece Sanremo potesse diventare qualcosa di diverso, ma non succederà mai. Ovvero un posto dove c’è davvero espressione dove uno fa e fa quello che è. Ed invece è tutto un travestimento. Max Gazzè ha colto esattamente il punto.
Visto che sei in sala di incisione adesso, dicci che stai facendo…
Adesso sto finendo di mixare un disco con Gabriele Berioli, lui fa il fonico ed io il produttore, perciò fa tutto lui. Sto mettendo a posto i file di un nuovo gruppo di Perugia che si chiamano “Oh! Eh?” I pezzi sono molto belli ed è un disco che mi ha molto appassionato. Un disco che avrei voluto fare io, come scrittura, commovente. Finisco questo e poi cominciamo a fare il disco nuovo che si chiamerà “Trans Miserabilia”.
Ma intendi un nuovo disco di inediti?
Certo.
Mi hai dato uno scoop, posso scriverlo nell’intervista?
Certo. È un po’ come Armstrong ai tempi degli Scisma, finalmente ho capito come si va a chiamare questo disco prima.
Perché di solito il titolo ti viene in mente dopo?
Noo durante. Hermann venne fuori che stavamo suonando dei pezzi, tutto merito di Andrea Franchi, come sempre un genio, quello fu merito suo. In questo caso invece l’ho trovato io, almeno il nome del quadro, poi il resto lo fanno tutto gli altri come sai. Sono contento, sono incinto per l’ennesima volta e va bene così. Ops l’ho fatto ancora…
Ringraziamenti:
Antonio Viscido (www.dkgrafica.com) per gli splendidi scatti (quasi tutti inediti) di Paolo.
Giacomo Ghidinelli per l’importante contributo.
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