I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

Dagli esordi chitarra e voce alla conquista di una più matura e consapevole dimensione di scrittura, Cristina Erhan è passata attraverso l’infanzia e la prima adolescenza in Moldavia (è arrivata a Milano quando aveva 16 anni e adesso dice di non voler più andare via), una “conversione” poetica, gli accordi sulla chitarra, l’abbozzo delle prime canzoni, la partecipazione all’edizione 2019 del Pending Lips, dove si era presentata ancora in versione Folk Singer. Da qui, l’incontro con Simone Castello di Costello’s Records, che del concorso milanese per band emergenti è l’ideatore e il principale realizzatore. Grazie a lui Cristina comincia a lavorare con Federico Carillo, che produce le sue prime canzoni, avvolgendole di un suono minimale, fatto di piano ed elettronica leggera, che ne accentua la dimensione agrodolce. Melodie indovinate, voce calda e spontanea, in grado di comunicare interi stati d’animo con poche note, un Pop da cameretta che ha però tutta l’intenzione di prendere la vita sul serio.

Ha pubblicato appena tre singoli, Cristina Erhan, ma è abbastanza per intravederne tutto il potenziale. Nell’attesa che arrivi qualcos’altro, l’abbiamo sentita al telefono per farci raccontare un po’ di questi frenetici mesi di attività, da novembre a oggi.

Come è iniziato e come si è concretizzato il tuo progetto di scrittura di canzoni?

Con tutte le domande che mi vengono fatte su come è cominciato tutto, succede che me le faccio anche da sola! Fin da quando sono piccola scrivevo poesie, era una cosa che facevo più che altro per gioco. Verso i sedici anni, avendo comprato la mia prima chitarra, ho iniziato ad abbinare la melodia alle parole: oltre a suonare le canzoni che mi piacevano, ho iniziato ad improvvisare cose mie, a sperimentare un po’ con le parole. Con gli anni, quello che era iniziato come un gioco è divenuto una passione vera e propria, un qualcosa che volevo veramente fare. Circa tre anni fa ho cominciato a pubblicare un po’ di cover su YouTube, mentre le cose mie, fuori dalla mia stanza le ho portate per la prima volta solo nel 2019, nell’ambito del Pending Lips. Da lì poi ho iniziato a lavorare con Simone (Castello, direttore dell’etichetta Costello’s e organizzatore del Pending Lips NDA), il quale mi ha fatto conoscere Federico Carillo, insieme a cui ho iniziato a registrare. E come sai, a novembre è uscito Tempesta, il mio primo singolo.

La tua scrittura è piuttosto minimale, ci sono pochi elementi a livello di produzione e tu stessa sei molto sussurrata nel modo di cantare. È uno stile che hai trovato poco a poco o ti viene spontaneo scrivere così?

Penso mi venga naturale: anche nella vita sono una persona che parla poco, dico il minimo indispensabile, preferisco senza dubbio pensare. La scelta di utilizzare un linguaggio più semplice deriva da quello che sono io, credo. Le canzoni poi nascono chitarra e voce, il testo viene improvvisato mentre cerco la melodia giusta sugli accordi, la struttura della canzone viene fuori così. Anche questo, credo, influenza il mio modo di scrivere perché non sto a pensare troppo al testo, alle metafore, alle varie figure stilistiche per abbellirlo, ma faccio uscire fuori i miei pensieri e sentimenti così come sono. Anche l’arrangiamento assieme a Federico rispecchia lo stile di scrittura: una canzone troppo carica infatti andrebbe a fare contrasto col testo.

La produzione di queste canzoni infatti è sempre molto equilibrata, anche rispetto a come esce la voce. In che modo tu e Federico fate interagire i rispettivi contributi?

Per questi tre brani ho preso delle canzoni che mi piacevano e gliele ho indicate come punto di riferimento di come avrebbero dovuto essere. Ho detto più o meno che cosa mi aspettavo dalla canzone, poi lui ha messo in atto quello che gli ho fatto capire. Da parte mia, mi piacerebbe avere sempre più consapevolezza e praticità dal punto di vista della produzione, infatti quando ho tempo sperimento un po’ coi software sul Pc, in modo da essere più cosciente anche di questo aspetto del lavoro.

Ma non pensi che ultimamente la produzione nella musica sia un po’ sopravvalutata? Senza nulla togliere all’importanza di avere uno che ne capisce dietro alla consolle, mi pare si stia perdendo un po’ l’idea che in fondo, se una canzone è bella è bella, indipendentemente dal vestito che le metti addosso…

Non ci ho mai ragionato più di tanto però penso che il produttore faccia sì la differenza, ma non più di tanto. Come dici tu, se il brano funziona, in qualunque modo poi venga arrangiato, va bene.

Sulla voce lavori in un certo modo o sei spontanea anche sotto questo aspetto?

In realtà non scaldo nemmeno la voce, inizio direttamente a cantare e faccio un po’ quello che mi viene! Mi piace che le cose funzionino in maniera naturale, le voci troppo impostate, troppo lavorate, mi sanno di falso, ti dirò.

Ti chiedo scusa, questa domanda te l’avranno fatta centinaia di volte: tu hai origini moldave, le tradizioni musicali del tuo paese hanno in qualche modo influenzato la tua musica?

Sono in Italia da otto anni, da quando ne avevo sedici. In effetti me l’avevano già chiesto e ho cercato di ragionarci sopra, anche perché sono cose che da sola non arrivi a pensare, le prendi molto per scontate. Credo che abbia influenzato, sì, però a livello inconscio: siccome la Moldavia ha rapporti stretti con la Romania, visto che storicamente eravamo lo stesso paese ma anche con la Russia, perché ha fatto parte dell’Unione Sovietica per diverso tempo, a livello musicale siamo influenzati sia dalla musica rumena che da quella russa, che sono due stili molto diversi. Credo che questo mi abbia arricchito, visto che mi ha permesso di interagire con proposte molteplici. Da noi ad esempio va ancora molto la musica folkloristica, quella, per inteso, che si suona ai matrimoni e alle feste; anche i compleanni da noi durano tantissimo, si balla tanto, si ascolta tanta musica. Alle elementari poi avevamo un coro, ne ho fatto parte per diversi anni, facevamo le prove diversi giorni alla settimana, facevamo i concorsi… anche questa è stata un’esperienza utile.

Ph: Clizia Borgo

In che modo sono diverse, la musica rumena e quella russa?

Soprattutto a livello melodico: ad esempio in Russia va il Shanson, che ha poi molto influenzato quello che è il Pop russo mentre in Romania vanno molto di più le Manele, che derivano dalla tradizione Rom. Ad esempio l’altro giorno mi è capitato di sentire una canzone rumena ed era tipo una Manela ma arrangiata in maniera moderna…

Se il Shanson è quello che penso io, si capisce come mai Albano o Toto Cutugno da quelle parti riempiano ancora le arene…

(Ride NDA) Sì, ma ai russi piace anche molto la cultura italiana in generale, c’è sempre stato un legame forte tra questi due paesi…

In generale com’è la tua esperienza in Italia? Ti sei sentita accolta? Ultimamente il dibattito sull’immigrazione è diventato parecchio ideologico e si tende a dimenticarsi della voce di chi nel nostro paese ci vive da tempo…

La mia esperienza è stata positiva, non ricordo episodi che mi abbiano fatto stare male. Penso sia anche dovuto alla mia età e al fatto che ho avuto a che fare soprattutto con gente giovane, con una mentalità molto più aperta. Tutto sommato l’Italia sa essere accogliente, basta trovare le persone giuste. Ovviamente ci sarà sempre chi la pensa diversamente ma questo succede ovunque. A Milano poi sto benissimo, la mia vita è qui e non penso proprio di tornare in Moldavia. Anzi, mi fa strano a volte dire che sono moldava perché mi sento italiana a tutti gli effetti. Probabilmente sono stata fortunata perché il colore della mia pelle non fa capire che sono straniera e poi perché parlo bene italiano. Però effettivamente devo dire che c’è gente con cui succede di parlare per un po’ senza che sospettino niente e poi, quando dico che non sono italiana cambiano un po’ l’espressione. A me questa cosa è capitata.

Ma dai?

Sì, ecco perché se posso, evito di dire le mie origini, ho sempre un po’ di timore a scoprirmi. Però davvero, la mia esperienza è stata positiva. Poi è anche vero che ho dovuto abituarmi perché lo stile di vita è completamente diverso, anche nelle cose più banali. Per dire, per me mangiare la pasta alle quattro era normalissimo, perché in Moldavia non abbiamo orari, mangiamo quando abbiamo fame, ricordo che le prime volte, se mi chiamava qualcuno e dicevo che stavo mangiando un piatto di pasta, mi prendevano per pazza e non capivo perché!

Forse è un uso del tempo un po’ più sano, no? Soprattutto qui a Milano siamo schiavi del lavoro e sembra quasi che ci vengano i sensi di colpa a staccare un attimo…

Abbiamo effettivamente poco tempo per rilassarci. Soprattutto adesso, che lavoro full time, penso spesso che abbiamo poco tempo per noi stessi. E questo è un peccato perché il tempo per le passioni, per lo svago è davvero importante.

Ph: Clizia Borgo

Hai fatto uscire tre singoli, tutti con mood molto diversi. “Tempesta” e “Temporali” in particolare hanno la stessa immagine esteriore, però quest’ultima è una canzone più pacificata, parla di aver trovato la serenità con un’altra persona. La prima invece è più problematica, anche per il fatto che nel ritornello dici: “La mia vita è tempesta”. A livello di mood però, forse “Tempesta” è paradossalmente più allegra…

Sono due canzoni scritte a distanza di due o tre anni, quindi la differenza forse sta anche nel cambiamento del mio stato d’animo. È vero che sono due immagini simili però io Tempesta la vedo come molto più agitata, molto meno stabile, rispetto a Temporali. Forse perché il temporale lo associo a quei pomeriggi in cui fuori è tutto scuro, in cui senti solo il rumore della pioggia e tu sei lì che leggi sul letto, c’è quella tranquillità, nonostante i tuoni. E poi anche perché Temporali la collego alla tristezza e la tristezza è un’emozione molto più “calma”, rispetto invece alla tempesta, che porta con sé un’immagine più irrequieta. Poi è vero che Temporali, essendo una canzone d’amore, è molto più soft, sia come parole che come melodia, perché parlo di un’altra persona e quindi dei momenti belli passati con lei. Tempesta invece parla solo di me e per giunta di un periodo in cui non ero tranquilla, un momento di particolare agitazione che dovevo in qualche modo tirare fuori. Che poi io nella vita sono una persona estremamente calma: non mi arrabbio mai, non alzo mai la voce… con quella canzone sono riuscita invece a far capire che in realtà dentro di me avevo un po’ di caos, sia come parole che nel modo di cantare.

E invece “Casinò”? Il testo per certi versi è molto curioso…

È tutta improvvisata, penso di avere ancora la registrazione originale da qualche parte. È molto spontanea, stavo cercando di tirar fuori i miei pensieri e ad un certo punto avevo detto quella cosa di non avere soldi, che poi è anche vero (ride NDA), associato al perderli al casinò, il tutto visto in collegamento al tema amoroso: giocando d’azzardo puoi perdere tutto ma anche giocando con i sentimenti ti può capitare, nel senso che il cuore dell’altra persona può essere come il casinò dove ti giochi tutto e di conseguenza ti può anche andare male.

Che poi uno improvvisa, dice la prima cosa che gli viene in mente, ma alla fine quando è così è sempre l’inconscio che parla…

È la spiegazione che mi do sempre anch’io (risate NDA)!

Che succederà adesso?

Sarebbe bello ascoltare un disco intero, non credi? Un disco piacerebbe anche a me, nel senso che adesso sto pensando a cosa far uscire. Nel mio piccolo continuo a scrivere, sto mettendo da parte canzoni, per cui mi piacerebbe quanto meno fare un Ep entro la fine di quest’anno. E mi piacerebbe anche che abbia una sua coesione, un filo da seguire. Al momento non ho niente di pratico, di fissato ma spero anche quest’estate di poter fare qualcosa, a livello di live. Per lo meno su Milano, ecco (al momento è confermata la data del 17 luglio al Mare Culturale Urbano, in compagnia di Acaro NDA).