I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

Che sia stato lanciato in orbita a fine 2018 da “Senza di me” di Gemitaiz, con il suo featuring che è indubbiamente la cosa migliore del brano, è abbastanza ininfluente, se non per un oggettivo discorso di numeri. Sin dai suoi primi singoli, confluiti poi nell’Ep “A che punto è la notte”, Venerus si è imposto nel panorama italiano come un’eccellenza assoluta. Si è formato musicalmente a Londra ma è poi tornato in patria, prima a Roma e adesso a Milano, città nella quale è cresciuto e dove attualmente vive. “Magica musica” arriva quasi contemporaneamente a “OBE”, il disco del suo produttore Mace, al quale ha dato un apporto più che consistente ed è, nella sua ora complessiva di durata, un disco che già vale una carriera. Neo Soul infarcito da una produzione moderna e da una scrittura personale e fortemente immaginifica, impreziosita da una serie eterogenea ed efficace di interventi, dai Calibro 35 a Gemitaiz, da Rkomi a Frah Quintale, solo per nominarne alcuni. Un disco così in Italia non ce l’avevamo ancora e potrebbe davvero rivelarsi decisivo nel spostare gli equilibri di una scena che, per quanto in questi ultimi anni abbia espresso grandi cose, sta rimanendo un po’ troppo uguale a se stessa.
Abbiamo raggiunto Venerus per telefono, alla vigilia della partenza del suo nuovo tour, 21 date che toccheranno in lungo e in largo la penisola e che in gran parte sono già sold out, a testimonianza dell’affetto che il suo pubblico nutre per lui, che oltretutto ha già dimostrato che cosa può combinare dal vivo. Qui di seguito il resoconto della nostra chiacchierata, breve ma non priva di spunti interessanti.

Il 1 luglio, dallo Stupinigi Sonic Park di Nichelino (TO), partirà il tuo nuovo tour, dopo un anno e mezzo di stop forzato. Avendoti già visto dal vivo diverse volte, mi piacerebbe capire che cosa ci sarà di nuovo. Oltretutto mi ha incuriosito molto la presentazione che hai fatto di queste nuove date…
Se hai visto i concerti precedenti, vedrai un gruppo abbastanza importante, come numeri e assetto: sono più o meno le stesse persone ma ho cambiato un po’ il set up. Saremo in sei (Danny Bronzini alla chitarra, Andrea Colicchia al basso, Danilo Menna alla batteria, Vittorio Gervasi al sax e Filippo Cimatti che farà da dubmaster NDA), cioè più o meno quelli che hanno fatto parte della formazione allargata dei passati tour. Ho deciso di impostare questo live cercando di liberarmi di tutti quegli elementi che non sono necessari ad un live e quindi, essenzialmente, tutto ciò che non è live (ride NDA)! Abbiamo eliminato computer, metronomi, qualsiasi sequenza o struttura. È stato molto bello perché abbiamo praticamente riarrangiato tutto il disco partendo da ipotetiche versioni demo dei pezzi, inserendo anche tanta improvvisazione, per cui brani che su disco duravano cinque minuti, adesso ne dureranno il doppio…

Splendido!
Abbiamo proprio deciso, di comune accordo coi ragazzi della band, di mostrare quali sono le possibilità che la musica offre quando si suona dal vivo: vogliamo offrire qualcosa di diverso rispetto alla media di quello che c’è oggi. Normalmente, quando si fa una produzione grossa, si tende a riprodurre in ogni minimo dettaglio il disco, mentre invece noi abbiamo fatto l’opposto: abbiamo riarrangiato tutto per poter offrire al pubblico una visione differente.

È importantissimo fare questo, secondo me, perché ultimamente la dimensione live è molto sottovalutata, soprattutto in generi come Rap e Trap, che pure vanno per la maggiore in Italia. E di conseguenza il pubblico giovane non è educato, non è interessato ad altro se non a vedere il proprio idolo muoversi sul palco…
Esatto, rischia di diventare un gigantesco karaoke, se non ci metti del tuo!

Venendo al tuo disco, mi ha colpito come, in un’epoca popolata da artisti che puntano molto sulla narrazione di sé, spesso con toni molto egocentrici, tu abbia invece messo al centro la musica ed il tuo amore per essa…
Non nego che anch’io quando scrivo tendo a raccontarmi, però ultimamente sto vivendo un rapporto con la musica molto profondo, penso che sia davvero la madre di tutte le forme d’arte, che si possa avere un dialogo con lei. Ho quindi voluto fare un disco che si ponesse l’obiettivo di parlare alla musica, di entrarci in rapporto; è una sorta di mio tributo personale alla musica, diciamo. Ho cercato di mettere in gioco le mie energie, il mio talento, in questo progetto, perché penso che possa dare molto alle persone.

Hai lavorato nuovamente con un produttore importante come Mace, con cui collabori sin dalle tue prime cose. In questo caso i dischi sono stati addirittura due, visto l’apporto consistente che hai dato al suo album. In che modo i vostri contributi si integrano a vicenda? Dove finisce il tuo lavoro e dove inizia il suo?
Stai parlando di entrambi i dischi o solo del mio?

Te lo chiedevo in generale, se poi ci sono delle differenze tra i due, tanto meglio… C’è un po’ una differenza, sì, perché io sono un artista solista e questa cosa l’ho capita davvero già nel 2015 (ride NDA)! Questo vuol dire che quando lavoro alla mia musica tendo ad essere molto possessivo, per quanto poi io e Mace abbiamo lavorato in modo molto divertente, rilassato, senza quella serietà che spesso non è necessaria. Quando però sentivo che stava nascendo una cosa che era veramente mia, non volevo che nessuno invadesse il mio campo per cui lui di solito stava più defilato. Quando invece si lavorava ad un’idea sua, il mio contributo era di solito più orientato sull’aspetto strumentale, lo aiutavo a sistemare certi dettagli e così via. È un po’ come se guidassimo una carrozza in due: quando uno sa dove andare, è lui che tiene le redini e l’altro gli dà una mano. Poi a livello puramente tecnico, abbiamo lavorato al suo disco e al mio nello stesso luogo e bene o male nello stesso periodo. Però, come ti dicevo, quando scrivo le mie cose sono possessivo, il che non vuol dire che lo escludo, eh! È che sono molto più coinvolto e anche lui tende a darmi spazio. Per esempio, se una roba non lo convince tanto ma a me piace parecchio, mi lascia fare, anche perché io non cambio idea (ride NDA)!

Ti avrei voluto chiedere con quale criterio avete scelto quale pezzo inserire in quale disco, ma direi che adesso è chiaro: sul tuo disco sono finite quelle idee che hai sviluppato tu e viceversa, giusto?
Più o meno è andata così. L’unico pezzo su cui siamo stati incerti era “Canzone per un amico”: inizialmente era nata dall’idea di Mace di fare qualcosa in stile sixties, anche se poi i vari strumenti li ho suonati io. La mattina dopo ci siamo trovati in studio e, come preso da un raptus, ci ho scritto una canzone, che ha al centro la mia storia personale. Quando l’ha sentita e si è accorto che era così personale, che riguardava me, ha capito che sarebbe stato meglio inserirla nel mio disco. È stata l’unica volta in cui siamo partiti da una sua idea ma poi siamo finiti nel mio territorio…

A proposito di temi personali, nei testi di “Magica musica” ti sei messo molto a nudo, hai parlato di amore, di amicizia e anche di fede. In particolare su quest’ultimo aspetto, ci sono alcuni riferimenti interessanti, quando dici per esempio: “Guardo ancora il cielo anche se ho perso Dio”, oppure quando chiedi scusa a Dio di aver perso la fede. Non capita spesso di sentire certe cose nelle produzioni italiane recenti…
La spiritualità, la fede è un argomento che ha un posto significativo nella mia vita. Ho ricevuto un’educazione cattolica anche se poi me la sono scrostata di dosso: non sono diventato propriamente ateo ma ho iniziato a portare avanti una ricerca personale. Mi piace parlare di certe cose, usare certi simboli, perché credo che vadano al fondo dell’esperienza di tante persone. La mia crescita personale nella fede, la coltivazione della mia dimensione spirituale ha voluto anche dire capire che certi concetti che mi erano stati messi in testa, non erano stati da me recepiti in maniera passiva, come io credevo all’inizio, ma erano concetti, idee, oggettivamente esistenti, che era giusto trattare. E quindi da lì ho capito che sarebbe stato interessante parlarne, anche in negativo, che avrei potuto giovare anche ad altre persone. Porto avanti anche un discorso cinico, se vuoi, ma si tratta di un cinismo non violento, tranquillo.

Hai sempre avuto un modo di cantare molto personale, che mi pare che in questo disco tu abbia notevolmente perfezionato. Se pensi a te come artista, ti concepisci più come compositore o come cantante?
Ho cominciato cantando, lo faccio da quando sono piccolo e l’ho sempre fatto tantissimo. Per assurdo, gli ultimi anni sono stati quelli in cui ho cantato di meno (ride NDA)! Fondamentalmente credo che sia perché cantare mi è naturale, il resto è qualcosa che mi sono guadagnato con lo studio, l’ascolto, la ricerca… per quanto io nella mia testa abbia l’idea di diventare un compositore, a lungo andare vorrei farlo sempre di più, non riesco a schiodarmi dalla testa il fatto che la mia dimensione naturale è quella del canto. Prima di iniziare le prove del tour, c’erano alcune canzoni che non avevo ancora suonato al piano dall’inizio alla fine, le avevo fatte solo in studio. E quando qualcuno mi diceva: “Suonami qualcosa” io suonavo, facevo gli accordi di un pezzo ma finché non iniziavo a cantare era come se non stessi suonando niente! Quindi da una parte, la mia vicenda mi sta portando verso la composizione, lo studio dei vari strumenti, un arricchimento sempre maggiore della dimensione musicale; e poi c’è un’altra parte di me che vorrà sempre cantare e che continuerà a farlo. Ed è un lato di me dove non faccio nessun tipo di lavoro: mi sgorga spontaneo, influenzato dai miei ascolti, ma non mi piace trattarlo come tratto il resto…

In che senso?
Nel senso che la parte cantata sono io, il resto è semplicemente quello che faccio a livello di lavoro e ricerca. Ma i testi, le melodie… non riuscirei mai ad ispirarmi a qualcosa di già esistente, perché mi sembrerebbe di non esserci fino in fondo. Il cantato, proprio perché non ha riferimenti precisi, è forse quello che dà maggiore personalità alla mia musica, che la contraddistingue di più.

Su “Magica musica” ci sono featuring con artisti importanti, anche molto diversi tra loro, e tu stesso hai preso parte a tante canzoni di altri. Come scegli i nomi da invitare nelle tue composizioni e come valuti le offerte che ti vengono fatte?
Sulla seconda cosa, ho capito che non mi interessa più tanto prendere parte ai dischi di altri (ride NDA)! C’entra con quello che ti dicevo prima, che nel 2015 mi sono reso conto di essere un artista solista, perché quando faccio musica sono molto personale, possessivo, la vivo in una maniera tutta mia. Sicuramente fare collaborazioni in questi anni è stato un modo per incontrare persone, conoscere amici, trovare compagni di percorso. Alcune più di altre sono state speciali, ad esempio l’incontro con Gemitaiz (nel brano “Senza di me” NDA) ha dato il lancio alla mia carriera, il lavoro coi Calibro 35 (nel brano “Sei Acqua” contenuto in “Magica musica” NDA) ha secondo me aggiunto tantissimo musicalmente… poi per carità, tutte le collaborazioni che ho fatto sono esperienze di cui sono contento, le ho scelte di cuore e per fortuna (dico per fortuna ma poi magari me la sono guadagnata, questa cosa, non lo so) non vivo la musica come se fosse un vero business, non me ne frega niente, non mi sono mai messo a tavolino a dire: “Ok, devo fare un disco, mi serve il featuring di questo per entrare in quella playlist, il pezzo con quest’altro per entrare in quell’altra…” sai quel tipo di discorsi del cazzo, tipicamente discografici? In casa mia queste cose non sono mai entrate! Ho sempre fatto piuttosto quest’altro tipo di discorso: “Grande, è uscito Frah Quintale, mi piace come canta, ha una grande energia, se facessimo una cosa insieme verrebbe figa, proviamo!”. È stato un discorso molto più istintivo, ho lavorato sempre con persone con cui mi sono trovato, persone che innanzitutto ho conosciuto e con cui in un secondo momento mi è venuta voglia di scrivere assieme”. 

Immagino che ti stiano chiedendo un sacco di featuring, soprattutto adesso…
Me ne chiedono, sì, ma ho deciso che non voglio più farne. A parte due cose, che ho già inciso, che sono venute bene e di cui sono molto contento, non voglio fare altro perché non mi diverto come mi diverto a fare cose mie, parlo proprio di godimento creativo. Non è una cosa che mi soddisfa davvero, cantare su produzioni di altre persone, ed è per questo che non credo lo farò più, a meno che non sia proprio qualcuno che stimo tantissimo. Con la mia musica sto cercando di fare qualcosa che trascenda me come cantante, per cui ogni volta che mi viene offerto di fare qualcosa dove sono io che canto sopra la musica di qualcun altro, non mi piace, perché io non sono solo questo. È come se ad un pittore fai scegliere i colori ma poi il quadro lo fai tu…. Che senso ha? 

Qualche mese fa parlavo con un addetto ai lavori e mi diceva questa cosa che voglio condividere con te perché mi piacerebbe sapere il tuo parere: parlando del tuo disco, diceva che una proposta come la tua è importante perché potrebbe aprire un nuovo orizzonte in Italia, sdoganando tutta una serie di artisti che sono musicisti preparati, che suonano cose per cui serve una preparazione specifica. Senza nulla togliere a Calcutta e vari, che pure a me piacciono tantissimo, mi sembra che avesse ragione: potremmo davvero essere di fronte ad un momento di svolta per la musica italiana…
Per come la vivo io, è una scommessa con la vita. Ho sempre voluto fare questo, ho sempre saputo che avrei fatto questo, non ho mai avuto nessun ripensamento, ci sono andato dritto dentro. Ho pazientato tanti anni prima di far uscire le mie cose, per capire quale fosse il momento giusto ma non ho mai avuto esitazioni. E ho sempre pensato che se avessi ottenuto qualcosa, l’avrei ottenuto con la mia musica, con le mie canzoni, non con il contenuto dei miei testi. Avere qualcosa da dire è un di più, non è essenziale: ci sono tanti musicisti che stimo che non avevano un cazzo da dire ma la loro musica mi ha parlato ed ha parlato a tante persone. La mia scommessa è stata quella di dire: “Non è vero che per suonare in Italia devi per forza suonare un certo genere, non è vero che bisogna per forza scendere a compromessi!”. Mi dicevo infatti: “In questo momento non vedo nessuno che fa quello che vorrei fare io ma questo non vuol dire che non si possa fare!”. Ora, non mi sento superiore a nessuno però io venivo da cinque anni a Londra e tutta la musica che c’era lì e che mi piaceva, io in Italia non la vedevo, non vedevo niente che avesse la stessa genuinità, profondità. Mi ricordo anche quando ho fatto sentire le mie prime cose e mi dicevano: “Figa sta roba, però non credo che andrai da qualche parte, perché in Italia a nessuno fa queste cose, a nessuno frega niente…”. E io mi dicevo: “Va bene, non ho fretta, mi armerò di un bel po’ di pazienza perché comunque questo è quello che voglio fare”. E alla fine non è che ci sia voluto tutto questo tempo…

Direi proprio di no…
Ho fatto uscire il primo singolo nel febbraio del 2018 su YouTube, siamo a metà 2021 e le cose stanno funzionando, c’è tanta gente che crede nella mia musica e soprattutto ci credo anch’io! Sai, fondamentalmente penso che la questione sia tutta qui: finché uno non crede in quello che fa, è impossibile che funzioni. Ti faccio un esempio stupido ma si capisce: Gesù era convinto di essere figlio di Dio, e quindi la gente gli credeva. Se non fosse stato così convinto, probabilmente non avrebbe avuto lo stesso consenso, no? Ovviamente non sto dicendo che sono Dio (risate NDA)! Sto solo dicendo che credo tantissimo nella mia musica e siccome ci credo io, anche gli altri sono disposti a credere in quello che faccio. Se non ci credessi, il primo discografico che passa potrebbe dirmi: “Perché non fai un featuring con questo artista, che otterresti numeri enormi?” Io gli andrei dietro ma a quel punto sarebbe evidente che non sarei me stesso e la gente non mi crederebbe più. È fondamentale, capisci?