R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

La recensione di questo disco, Sankofa, di Amaro Freitas, pianista e compositore brasiliano, mi ha causato non poco imbarazzo. Mi ero perso l’ascolto dei due precedenti lavori, Sangue Nigro (2016) e Rasif (2018) e mi sono fatto trovare un po’ scoperto quando si è trattato di capire con chi avevo a che fare. Accompagnato da entusiastiche recensioni su tutte le più importanti riviste che si occupano di jazz non nascondo che le mie aspettative erano realmente alte. Freitas viene da Recife, capoluogo del Pernambuco, stato brasiliano situato nella regione nord-est e con sbocco verso l’Oceano Atlantico. Parliamo di un ragazzo cresciuto in periferia che ha dovuto affrontare tutte le difficoltà di chi non ha mai avuto grandi disponibilità economiche volendo però accostarsi seriamente alla musica e a uno strumento tradizionalmente aristocratico e difficile come il pianoforte. In una sua intervista Freitas ha rivelato di aver assorbito numerose influenze, in parte provenienti dal ricco bagaglio culturale di danze e canti popolari tradizionali, in parte facendo riferimento a pianisti jazz moderni, primi fra tutti – come afferma direttamente Freitas – Chick Corea e Thelonious Monk. Ma se il primo sono pronto a sottoscriverlo, il riferimento a Thelonious Monk, per altro controfirmato da gran parte della critica, mi sembra francamente azzardato. Monk aveva una conoscenza profonda dell’armonia musicale che si divertiva ad aggirare e a trasgredire non facendo mai mancare però il filo d’Arianna che riconduceva, quando necessario, alla trama canonica delle leggi strutturali della composizione. Non mi sembra, ad occhio, che la stessa conoscenza appartenga a Freitas. Vi si legge, questo sì, l’intenzione di lavorare in un caleidoscopio di suggestioni e di sempre nuove invenzioni armoniche ma anche un certo spontaneismo, alle volte un po’ ossessivo e chiassoso, che pur non togliendo nulla alla piacevolezza della sua musica, lo rende comunque al momento distante dal grande jazzista della Carolina.

Mi stupisce, inoltre, di come non venga citata – o almeno così mi risulta – come fonte ispirativa anche indiretta, la musica dei trii del nord Europa, come Martin Tingvall Trio, ma soprattutto E.S.T, con i quali il gruppo di Freitas condivide l’abitudine ai ritmi composti e spezzettati, i cambi di marcia improvvisi, un certo minimalismo espressivo con brevi frasi pianistiche reiterate e arpeggiate. Questo pianista di Recife ha caratteristiche percussive, cosa che lo accomuna a molti maestri latini cubani e dominicani come Valdes, Camilo e in parte Rubalcaba. Alle volte, in effetti, si ascoltano delle vere e proprie sovrapposizioni ritmiche tra tastiera e batteria. Freitas possiede inoltre un buon senso melodico, una buona tecnica esecutiva anche se frequentemente e volontariamente ama incagliarsi in ripetizioni senza uscita, forse cercando di riproporre qualcosa che ricordi le trame ipnotico-ritmiche delle danze brasiliane. Viene affiancato, in questo lavoro, da un batterista che trovo molto al di sopra della media come Hugo Meldeiros e dall’altrettanto bravo contrabbassista Jean Melton, senza di cui il pianismo di Freitas rimarrebbe tutto sommato un po’ aleatorio.
L’album inizia molto bene con Sankofa, termine che si riferisce ad una figura simbolica e tradizionale di un uccello, ritratto sempre col capo rivolto all’indietro che spesso sostiene un uovo nel becco. Come spiega lo stesso Freitas, Sankofa, nella sua postura, invita il popolo brasiliano a guardarsi alle spalle per recuperare la sua vera Storia risalendo alle origini dello schiavismo e riferendosi simbolicamente a quel simbolo di unità etnica rappresentato dell’uovo stesso. Il brano inizia con una suadente e atmosferica linea melodica ben armonizzata anche dall’apporto discreto ed essenziale del contrabbasso. Se però ascoltassimo questa traccia “a cieco” dubito che riusciremmo a differenziarla da una impostazione come quella di Esbjorn Svensson – per inciso. Ma la musica prosegue nella sua linea molto suggestiva fino ad aumentare i propri ritmi attraverso un crescendo parossistico in cui annotiamo i meriti della ritmica che ha il compito di variare la voluta staticità delle parti pianistiche. Un buon lavoro con la mano sinistra dà respiro ad un galoppante ostinato gestito sulle note più alte dalla mano destra. Poi, terminata la corsa, tutto rientra nell’ambito originario e melodico dei momenti iniziali. In Ayeye, Freitas comincia con una serie di accordi di cui arpeggia le note componenti ma di seguito si esibisce nelle sue capacità tecniche organizzando un continuum di suoni che spaziano velocemente per tutta la tastiera, terminando in una serie di convincenti accordi discendenti e in una veloce serie di scale. Lungo il tragitto troviamo qualche accordo dissonante di sapore “monkiano”, se così possiamo definirlo: ma basta questo per rimarcare eventuali analogie con lo stesso Monk?? Baquaqua, il brano successivo, è il nome di uno schiavo, Mahommah Gardo Baquaqua, famoso perché riuscì a fuggire dal lavoro forzato per raggiungere New York nel 1847 dove scrisse la sua biografia, che resta ancora oggi l’unico documento conosciuto sulla schiavitù nera in Brasile. L’intera traccia, centrata sulla ripetitività di poche note di piano ribattute con insistenza sopra una trama omogenea di sostegno impostata con la mano sinistra, rende l’idea di una corsa, di una fuga che si protrae fino a un momento di apparente quiete in cui uno stesso accordo, in opportuno rivolto, sembra quasi rimarcare il cambio di prospettiva di Baquaqua che l’ha portato dalle catene alla libertà. Si tratta presumibilmente di un brano illustrativo, che ha bisogno di raccontare una storia, senza la quale tutto quanto appare sotto un velo di tracimante ardore ossessivo. Momento di quiete contemplativa in Vila Bela, oggi località turistica del Mato Grosso. Qui le note vengono centellinate come gocce di vin santo. Freitas cerca una musica che in questo caso diventi quintessenziale, che segua quasi lo sguardo sulla Natura, sia quella esteriore del paesaggio sia quella interiore su cui soffermarsi in meditazione. Accordi rarefatti, affascinanti, lasciati cadere sulla tastiera con liquido impressionismo. Cazumba inizia con vigore e con quel leggero stato d’ansietà che abbiamo già avvertito in Baquaqua, provocato dal forse eccessivo utilizzo di reiterazioni ritmico-melodiche che innesta una certa sensazione claustrofobica. A metà percorso il brano, però, diventa realmente interessante, molto rallentato e stupefatto, con note che ricordano certi interventi alla Satie. Sullo sfondo effetti elettronici a simulare un canto di uccelli nella foresta. S’innesca un sentire che sa di visione magica, in cerca di un’insolita rarefazione di umori. Se non il brano migliore è sicuramente tra i più interessanti e stimolanti. Batucada è un tipo particolare di samba, con tempi più veloci rispetto alla tradizione. L’aspetto percussivo dello stile di Freitas qui lo si coglie nel pieno del suo carattere. Infilarsi nei soliti cicli ristretti e minimali di note, abbondantemente ripetute, diventa quasi un tratto essenziale del pianismo dell’autore. Il suono si fa schiumoso, ribollente in un frastagliato gioco percussivo suddiviso tra il piano e l’incredibile battito del contrabbasso e della batteria. Accordi astratti preludono a Malakoff dove ancora si rinnovano le performance ritmiche tra gli strumenti e, manco a dirlo, gli schemi melodico ossessivi che abbiamo imparato ad ascoltare lungo l’intero percorso dell’album. Si rischia la stucchevolezza e un po’ di presunzione dalla metà in poi, quando sembra che la musica perda il filo del discorso disperdendosi in una serie di esuberanze eccessive. Nascimento recupera un po’ di dolcezza, il ritmo rallenta e ci si concede qualche spazio di riflessione in più. Freitas è capace anche di costruire melodie semplici e devo dire che quando diventa meno frenetico riesco ad apprezzare maggiormente il suo pianismo. Come concludere questa disamina su Sankofa? Il rischio, riscontrabile per tutti i musicisti più giovani, è sempre quello della sopravvalutazione. Freitas è certamente un bravo pianista e un discreto compositore ma non mi sembra …”un talento assoluto” come ho letto su un importante rivista di jazz, e la sua musica è sicuramente interessante e stimolante ma non credo rappresenti nessun “…mirabolante processo creativo”. Un pianista di questa caratura sicuramente non potrà che crescere. Ma per la sua completa fioritura penso occorrerà ancora un po’ di tempo.

Tracklist:
01. Sankofa
02. Ayeye
03. Baquaqua
04. Vila Bela
05. Cazumbá
06. Batucada
07. Malakoff
08. Nascimento