I N T E R V I S T A
Articolo di Francesca Marchesini
Anna Berglund, in arte Anna Arco, è una produttrice, polistrumentista e cantante svedese che il 27 agosto ha rilasciato il suo secondo album all’interno di un progetto art pop cupo e intimo. In questa intervista, la Berglund racconta l’evoluzione della sua carriera musicale, cominciata per gioco all’età di appena sei anni per arrivare a studiare jazz al Royal College of Music di Stoccolma, e presenta la sua interpretazione di musica come di un riflesso dell’esperienza umana.

Il tuo nuovo album Sad Secret Songs segue l’LP di debutto Songs Within The Spectrum. Come si è evoluto il tuo stile musicale negli ultimi due anni? La pandemia ha influito sul tuo processo creativo?
Penso che il mio modo di scrivere i brani non sia cambiato molto da Songs Within The Spectrum, mentre è la produzione in Sad Secret Songs a essere differente. L’ultimo album risultava più acustico e, siccome durante il lavoro stavo affrontando un trauma, non vedevo l’ora di concluderlo. Questa volta, invece, ho dedicato molto più tempo e attenzione alla produzione, che, se confrontata con il mio LP d’esordio, risulta più elettronica, con largo impiego di sintetizzatori e paesaggi sonori atmosferici.
Per quanto riguarda la pandemia, questa ha influenzato il mio processo creativo nel senso che mi ha reso disoccupata e frustrata. È stato davvero complesso essere una musicista in Svezia durante questo periodo… dire che il lockdown sia stato “liberatorio” o che abbia “sviluppato nuove linee di pensiero” sarebbe come insultare tutti quegli artisti che hanno avuto serie difficoltà ad arrivare a fine mese.
Hai percorso i primi passi della tua carriera artistica nel mondo del jazz – penso ai tuoi studi presso il Royal College of Music di Stoccolma e all’LP Drifting realizzato con la Berglund Band. Cosa ti ha spinto a cambiare rotta e ad avvicinarti all’art pop?
In realtà, il jazz è stata una deviazione – anche se una deviazione strepitosa! Crescendo non ho mai ascoltato jazz, in casa risuonavano soprattutto Beatles, Simon and Garfunkel, Carole King, Leonard Cohen… quel tipo di musica. Così, quando ho iniziato a scrivere canzoni intorno ai sei anni, erano pop. Ho scoperto il jazz grazie alla mia insegnante di canto a sedici anni, mi sembrava qualcosa di davvero complesso e lo interpretai come un’ottima sfida. Dopo aver terminato il Master in Canto Jazz e aver rilasciato un album jazz mi sentivo, almeno all’epoca, di dover concludere i rapporti con il genere e ritornare alle mie radici: la musica pop.
Comunque, continui a lavorare nel mondo del jazz. Ho letto che sei la prima caporedattrice donna della più antica rivista jazz del mondo; puoi parlarmene?
Sì, ho lavorato come editor per la rivista svedese JAZZ per un anno. Ho sempre percepito la responsabilità di essere parte attiva dell’industria per cui lavoro e il settore del jazz – come quello della musica in generale – risente ancora di una forte diseguaglianza e misoginia. La ragione per cui, inizialmente, ho deciso di farmi coinvolgere in JAZZ, era che in redazione non ci fosse alcuna scrittrice donna. Ho pensato: «se non io, chi?».

Parlando del progetto Anna Arco, quali sono gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Nei Paesi scandivi abbiamo tantissime artiste donne che sono semplicemente eccezionali: Emilie Nicolas, Susanne Sundfør, Björk, Robyn, Lykke Li. Loro mi hanno ispirato molto. Quando compongo, comincio solitamente dai testi e per la scrittura mi sono sempre lasciata guidare da Leonard Cohen. Ma mi è stato detto che nella mia musica si può percepire anche il mio passato jazz; ascolto anche molto hip hop e rap (il mio artista più ascoltato su Spotify è Kanye West), ma anche cose più heavy come Chelsea Wolfe.
Tu sei una musicista svedese il cui nome d’arte di ispira alla cultura greca. Come riescono a fondersi il mondo scandinavo e quello mediterraneo nella tua musica?
È un’ottima domanda, ma è anche complessa. Credo che la mia musica riguardi soprattutto l’esperienza umana. Se qualcuno che ascolta il mio lavoro si sente toccato, se magari lo fa sentire meno solo nella propria sofferenza o se si riscopre felice, so di aver raggiunto il mio scopo. Al di là del fatto che tu viva in Svezia, Italia o in Iraq – siamo tutti uguali: esseri umani che affrontano le stesse esperienze di vita, amore e lutto.
Sad Secret Songs si presenta come un album intimista con cui cerchi di affrontare il lutto per la perdita della tua migliore amica. È corretto interpretare questo nuovo lavoro più come un tuo percorso emotivo piuttosto che un “in memoriam”? Quale canzone rappresenta meglio l’essenza del disco? E invece quella che vorresti dedicare più di tutte alla tua migliore amica?
Quando scrivo i brani per il progetto Anna Arco è come se stessi esprimendo me stessa attraverso la musica, invece che scrivere i miei pensieri su un diario. Quindi credo che Sad Secret Songs rappresenti soprattutto il riassunto di un mio viaggio emotivo. Penso che Remember Remember, la prima traccia del disco, riassuma perfettamente il contenuto di tutto l’album. In questo brano canto «I wonder, I wonder, I wonder – why am I feeling so sad? And then I remember remember, I’ve lost all the love that we had» (Mi domando, mi domando, mi domando perché mi sento così triste? E poi mi ricordo, ricordo che ho perso tutto l’amore che avevamo) e «What do you do when pain conquers you?» (Cosa fare quando il dolore ti conquista?) e questo è, in un certo senso, il focus tematico dell’LP: come puoi continuare a vivere quando tutto il tuo mondo sta collassando? Probabilmente le dedicherei (all’amica deceduta ndr) Trade, perché quella è la prima canzone che ho scritto dopo la sua scomparsa e perché credo che l’avrebbe trovata la più bella.
Photo © Maya Santimano
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