R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Qualche volta essere figli d’arte aiuta. Per esempio, essere figli di Don Cherry ha certamente aiutato David Ornette Cherry e il suo formidabile ensemble ad inventare qualcosa come lo straordinario Organic Nation Listening Club (The Continual), disco uscito il 15 ottobre scorso per l’etichetta londinese Spiritmuse Records. David sarà stato sicuramente orientato verso la musica dal padre, magari anche solo per l’aria che si respirava in casa, ma anche perché da buon sciamano, papà Cherry ha dato al figlio un secondo nome piuttosto evocativo, se non proprio profetico: Ornette. Così tra papà Don Cherry, il fantasma di Ornette Coleman e il talento proprio, a David Ornette Cherry, l’impresa di abbattere le frontiere e di confondere le acque, in un pastiche musicale di rara bellezza, riesce perfettamente. Se è difficile scrivere di musica, è ancora più difficile scriverne quando la musica è di ardua collocazione e quindi vengono meno riferimenti, assonanze sonore, citazioni musicali, in una parola quando manca quello che con una certa dose di comoda ipocrisia, chiamiamo “stile”. Organic Nation Listening Club è un disco assolutamente privo di stile, ma soprattutto di stilemi. Difficilissimo rintracciare cifre musicali provenienti da altri ambiti o da territori attigui al jazz e allo stesso tempo è molto facile; il problema è che le dissonanze e le assonanze, le convergenze e le divergenze, i sinonimi e i contrari si trovano tutti nello stesso disco. Un campionario di influenze diverse, digerite, assimilate e poi restituite con rinnovata vitalità che dimostrano tutta l’eclettica genialità di David Ornette Cherry.

Si dovrebbe incominciare dall’inizio, ma in una scatola delle meraviglie quale è questo disco, si può anche pescare a caso (senza pretese di esaustività) constatando che modificando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia. Un lavoro magnificamente e volutamente disorganico, orchestrato come se si trattasse di un’opera unica e, allo stesso tempo, composto di frammenti che contengono altri frammenti di retaggi musicali diversi. Proprio per questo ho cominciato l’ascolto da Frame of Creativity: Cherry al pianoforte vagabondo, in un universo sonoro fatto di gorgheggi di soprani persi in infinità remote, rumori metallici sgangherati e casuali, fanno di questo pezzo una gemma misteriosa; non da meno Eagle Play dove il flauto di Ralph Jones III (non è un faraone egizio, ma un magnifico strumentista di flauto vietnamita e norvegese), costruisce, con le percussioni di John L. Price, un tessuto sonoro orientaleggiante e tempestato da inserti percussivi. Cosmic Nomad è invece pregno di echi free, ma tutti attutiti da una calda e pastosa atmosfera afro ed etno, tanto da ammorbidire tutte le asperità sonore con la presenza-assenza della tromba di Kenichi Iwasa. Con l’iniziale So & So & So and So (continuando sempre in un ascolto randomico), si entra in paesaggi sonori vocali etnici ed elettronici che si interrogano, e interrogano l’ascoltatore, sul senso stesso della musica; le voci sono quelle dello stesso Cherry (che si rivela grande polistrumentista e vocalist) e di Crystal Blackcreek Carlisle. Completamente “nature” è Najour, dove il canto degli uccelli sembra simbiotico con il banjo africano di Joe Janiga. Lineare, poetico e sinuosamente melodico è Cultural Workers, “distrubato” magnificamente dal basso di Ollie Elder Jr. Nel campo di una etnicità “galattica e siderale”, va indubbiamente collocata Hidden Sound, suoni di “altri mondi”, ma soprattutto di “mondi-altri”. Ironico e polemico contro il conformismo (anche) musicale, il monologo ritmico e sottilmente “noise” del pezzo conclusivo, Organic Talk che chiude un lavoro memorabile, fatto di fantasia e capacità non comune di amalgamare non già generi diversi tra loro, ma addirittura le singole “monadi”, di cui questi generi sono composti.

Impossibile non citare tutti i musicisti di questo straordinario ensemble: Crystal Blackcreek Carlisle (messaggio spirituale, voce), Gemi Taylor (chitarra), Joe Janiga (Banjo africano), John L. Price (batteria, dun dun, pahkagudu, timpani), Kenichi Iwasa (tromba con sordina), Nadene Rasmussen (viola), Naima Karlsson (pianoforte elettrico), Ollie Elder Jr. (basso acustico, basso elettrico), Paul Simms (tromba), Ralph Jones III (flauto vietnamita, flauto norvegese), Renato Caranto (sax), Tyson McVey (paesaggi sonori vocali).
Assolutamente consigliato un ascolto con scelta casuale dei brani e assolutamente necessario un ascolto attento di essi. La musica della complessità ci conduce nel porto sicuro della semplicità, che è cosa ben diversa dal semplicismo, in musica, come in tutte le altre cose.

Tracklist:
01. So & So & So and So
02. Parallel Experience
03. Ancestors Are Calling
04. Cultural Workers (The Continual)
05. The Frame of Creativity

06. Eagle Play
07. Hidden Sounds
08. Najour
09. Cosmic Nomad