L I V E – R E P O R T
Articolo e immagini sonore di Stefania D’Egidio
Tra le band culto degli anni ’80, The Jesus And Mary Chain sono entrati nell’immaginario collettivo come i degni eredi dei Sex Pistols, per lo scompiglio che accompagnava i loro concerti, che spesso si concludevano tra risse, feriti e arresti. Nati nella periferia di Glascow da un’idea dei fratelli Jim e William Reid con Bobbie Gillespie, dei Primal Scream, alla batteria per un breve periodo, non hanno mai negato di ispirarsi a gruppi come Velvet Underground e The Stooges. Già con il primo album del ’84, Psychocandy, riuscirono ad attirare le attenzioni della critica, ma è con l’album Darklands del ’87 che si consacrano definitivamente come capostipite di un nuovo genere musicale, lo shoegaze, grazie alla capacità di fondere le melodie pop con le atmosfere decadenti, le chitarre distorte e i feedback.
La tappa milanese di dicembre ripropone proprio quello che è considerato il loro capolavoro assoluto, dieci canzoni che avrebbero ispirato nel decennio successivo altre band, come i My Bloody Valentine e gli Slowdive. La serata è di quelle fredde e il ritorno all’Alcatraz dopo quasi due anni scalda cuore e mani; la capienza, si sa, è ridotta, ma il pubblico sa come accogliere a dovere non solo gli headliners, ma anche chi li precede, il quartetto Rev Magnetic; i primi trenta minuti scorrono tra atmosfere sognanti e psichedelia.




Quando entrano in scena i JAMC è buio pesto, del resto ogni gruppo postpunk/dark che si rispetti deve suonare al buio, per la gioia di noi fotografi, tanto che faccio fatica a vedere i volti dei protagonisti, ma per fortuna c’è sempre l’inconfondibile chioma di William Reid a guidare gli sguardi. Lo show, come preannunciato da Jim, parte riproponendo i dieci pezzi storici di Darklands, per poi proseguire, nella seconda parte, con altri successi del passato e così, pronti e via, ecco servite subito sul piatto la dolce Darklands, Deep One Perfect Morning e Happy When It Rains, forse la più solare dell’album; l’ordine è lo stesso del disco del ’87, gli ingredienti anche, con un muro del suono che infrange il silenzio dei mesi scorsi, chitarre distorte all’ennesima potenza, riverberi e feedback spinti ai massimi livelli.


I fratelli Reid hanno abbandonato ormai gli eccessi del passato e la tendenza autodistruttiva che li aveva portati alla separazione per inseguire carriere soliste di scarso successo, sembrano finalmente concentrati solo sulla loro musica e l’adrenalina che sprigionano dal palco è contagiosa. Seguono Down On Me, la cupa Nine Million Rainy Days, e la bellissima April Skies. Lo show entra nel vivo con la tenebrosa Fall, per poi proseguire con Cherry Came Too, On The Wall e About You in una versione tutta acustica in cui possono permettersi pure il lusso di cannare l’intro e ricominciare da capo con nonchalance, tanto il pubblico è in visibilio.

Nella seconda parte del concerto si pesca qua e là nella discografia, alcuni brani dall’album di debutto, come Taste of Cindy, poi Happy Place, dalla The Peel Sessions, a I Love Rock’n’Roll e Mo Tucker, dall’album Munki. Chiude la punk Kill Surf City, la mia preferita.
Dopo una breve pausa, in cui i fedelissimi rumoreggiano per farli tornare sul palco, c’è ancora spazio per un paio di brani da Psychocandy: Just Like Honey, celebre per esser entrata a far parte della colonna sonora del film Lost in Translation del 2003, con Scarlett Johansson, e la devastante Never Understand. Concerto bello tirato, senza fronzoli, quasi una terapia d’urto per ricominciare laddove avevamo lasciato all’inizio del 2020, il peggio è passato, non ci resta che guardare avanti.
Setlist della serata:
01. Darklands
02. Deep One Perfect Morning
03. Happy When It Rains
04. Down on Me
05. Nine Million Rainy Days
06. April Skies
07. Fall
08. Cherry Came Too
09. On the Wall
10. About You
11. Happy Place
12. Everything’s Alright When You’re Down
13. Taste of Cindy
14. Drop
15. God Help Me
16. Up Too High
17. I Love Rock ‘n’ Roll
18. Moe Tucker
19. Come On
20. Kill Surf City
21. Just Like Honey
22. Never Understand
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